Terapia di esposizione e psicofarmaci. Ha veramente senso il trattamento combinato?

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La nuova prospettiva sul funzionamento dell’esposizione, non più spiegato in termini di “abituazione alla paura” o di “disconferma delle convinzioni fobiche” ma come un processo di apprendimento di nuove “memorie antagoniste ed inibitorie” (Toso, 2019, in pubblicazione), ha portato, negli ultimi anni, a prendere in seria considerazione la possibile influenza del suo utilizzo combinato con gli psicofarmaci (ansiolitici e antidepressivi).

L’ associazione terapia espositiva e psicofarmaci rappresenta, infatti, una pratica clinica comune sebbene, ad oggi, si sa che risulti ancora poco esplorata e dunque non sia chiaro se il trattamento combinato sia più efficace della sola esposizione, se non serve a nulla o se, paradossalmente, l’abbinata possa inficiare addirittura gli effetti della terapia psicologica. Non più considerando l’esposizione come un trattamento finalizzato alla riduzione dell’ansia (durante le sedute) ma alla formazione di un nuovo apprendimento inibitorio (capace, alla fine della terapia, di inibire la paura), e tenendo conto del fatto che per favorire tale apprendimento è necessario mantenere elevate le aspettative di minaccia (e dunque l’ansia), non potrebbero gli psicofarmaci (in particolar modo ansiolitici) essere di ostacolo?

In linea con tali considerazioni sembrerebbe, dalle poche indagini a disposizione, che l’esposizione fosse efficace comunque da sola e che la combinazione mostri per lo più vantaggi modesti se non addirittura, esiti negativi.
I dati esistenti, provenienti da studi sugli animali e da alcune sperimentazioni cliniche sulle principali psicopatologie ansiogene, dove si è soliti intervenire con entrambe le terapie, descrivono il seguente quadro:

 

Relativamente alle fobie…

…in un loro articolo dal titolo: “Behaviour Therapy and Benzodiazepines: Allies or Antagonists?”, Wardle et al. (1990) esprimono la loro perplessità sulla combinazione di benzodiazepine ed esposizione ritenendo che il farmaco possa interferire negativamente sugli effetti di quest’ultima.
Successivamente altri studi hanno confermato, completamente o in parte, queste considerazioni. Wilhelm et al. (1997), ad esempio, hanno indagato gli effetti dell’ Alprazolam associato all’esposizione su pazienti con fobia di volare mostrando che il tranquillante ostacola gli effetti terapeutici dell’esposizione al volo. Coldwell et al. (2005) in un loro studio svolto per indagare se l’uso di benzodiazepine favorisca la terapia di esposizione nel trattamento della fobia del dentista, non hanno trovato alcun vantaggio da tale combinazione.Anche riguardo la fobia sociale, i pochi studi a disposizione suggeriscono che i soggetti trattati con benzodiazepine ed esposizione non raggiungono risultati clinici migliori di quelli trattati con il solo trattamento espositivo (Clark e Agras 1991; Gelernter et al 1991).

Questi (seppur pochi) risultati sull’uomo sostengono le precedenti osservazioni fatte negli animali dove emerge che le benzodiazepine interferirebbero sia con l’acquisizione che con la conservazione di nuove informazioni apprese durante l’estinzione (equivalente processo dell’esposizione clinica). In uno studio sui topi, ad esempio, Bouton et al. (1990) hanno evidenziato una relazione dipendente dalla dose tra i livelli di benzodiazepine ed estinzione. Maggiori erano i livelli ematici, tanto più difficilmente l’estinzione perdurava tra una seduta e l’altra. Da queste prime osservazioni, dunque, le benzodiazepine dovrebbero essere usate con cautela durante il trattamento espositivo per le fobie. Rispetto a tali considerazioni, occorre evidenziare anche, però, che l’uso sequenziale e non combinato di benzodiazepine ed esposizione (prima una e poi l’altra), non sembra portare ad alcuna interferenza negativa sull’efficacia clinica dell’esposizione (Rosen 2013).

Sull’ uso di antidepressivi in combinazione alla terapia espositiva per le fobie invece, interessante è un recente lavoro di Bughardt et al. (2007). I ricercatori hanno somministrato ad un gruppo sperimentale di topi (precedentemente “condizionati” alla paura) il Citalopram (antidepressivo SSRI) mentre, invece, ad un gruppo di controllo è stata data una soluzione salina. Dallo studio è emerso che solo la somministrazione del farmaco ha inficiato il funzionamento dell’ estinzione della paura. Un successivo studio clinico sulla combinazione antidepressivo ed esposizione, per la terapia della fobia sociale (Davidson et al. 2004), ha suffragato tali risultati, evidenziando che i soggetti trattati con la combinazione di entrambe le terapie non vanno meglio di quelli trattati con il solo trattamento espositivo ma, bensì, peggiorano.

Relativamente al disturbo post traumatico da stress (PTSD)…

… diverse ricerche suggeriscono che le benzodiazepine possono interferire con la terapia di esposizione (Guina et al. 2015; Makkar et al. 2010; Otto et al. 2010). Le BZD possono inibire gli effetti terapeutici della terapia espositiva riducendo l’intensità delle emozioni correlate al trauma, promuovendo l’evitamento, inibendo l’elaborazione cognitiva e l’estinzione della paura (Rosen et al. 2013). Per questi motivi e per la mancanza di studi che supportano l’efficacia di BZD per i sintomi di PTSD, la maggior parte delle istituzioni per la salute mentale (ad es. l’American Psychiatric Association, la British Association for Psychopharmacology, l’ International Consensus Group of Depression e Anxiety e l’ International Society for Traumatic Stress Studies) consigliano di non utilizzare BZD associandole alla terapia di esposizione (Baldwin et al. 2005; Ballenger et al. 2000).

Nonostante queste premesse le benzodiazepine sono prescritte per il 30 – 50 % dei pazienti (Rosen et al. 2013).Relativamente alla combinazione di esposizione con antidepressivi, per il trattamento del PTSD, i dati empirici a disposizione risultano assenti oppure scarsi ma i pochi a disposizione riportano un modesto miglioramento sui sintomi rispetto all’esposizione da sola (DE Llein et al. 2013; Simon et al. 2008; Rothbaum et al. 2006).

 

Nel trattamento del disturbo ossessivo-compulsivo…

… gli ansiolitici, da soli, sembrano di scarsa utilità; essi non agiscono sulle ossessioni ma solo, eventualmente, sull’ ansia generale degli ossessivi e quindi vengono usati in pochi casi e solamente come palliativo. Un tale uso, però, riducendo l’aspettativa di minaccia e l’ansia, ostacola il processo di estinzione e l’apprendimento inibitorio. Per tale motivo andrebbero sconsigliati durante la terapia espositiva.Gli antidepressivi, da soli, hanno effetti anti-ossessivi e per tale motivo vengono di prassi abbinati alla terapia espositiva. Seppur alcuni studi suggeriscono che un approccio combinato (esposizione e antidepressivi) sia più favorevole rispetto alle due terapie distinte (Cottraux 1993; Hohagen et al. 1998), altri non hanno rilevato alcuna differenza di esito (Da Haan et al. 1998; Van Bolkom et al. 1997) ed altri ancora hanno evidenziato persino effetti negativi (Kobak et al. 1998).

In una più recente rassegna (Albert et al. 2012) non è stato rilevato alcun vantaggio nell’associare il farmaco antidepressivo alla terapia comportamentale, ad eccezione di pazienti adulti severamente depressi e pazienti bambini o adolescenti. Al contrario, l’integrazione sequenziale delle due strategie si è dimostrata efficace sia nel portare a remissione completa i pazienti con sintomi residui, sia nel determinare una risposta clinica nei pazienti resistenti.

 

L’efficacia della terapia combinata di esposizione e benzodiazepine per il disturbo di panico, con o senza agorafobia, non è ancora chiara nonostante il suo uso diffuso.

Dalla loro ricerca Watanabe et al. (2007) hanno evidenziato la scarsità di prove di alta qualità a favore o contro la psicoterapia combinata per il disturbo di panico con agorafobia. Secondo precedenti altre osservazioni (Lee et al. 2006) le benzodiazepine interferirebbero addirittura negativamente sui risultati dell’esposizione. Secondo Foa et. al. (2002) in un modello di trattamento combinato per il disturbo di panico la riduzione dell’ansia da parte del farmaco ansiolitico può bloccare l’attivazione della paura ostacolando il processo di estinzione.Riguardo l’ uso combinato di antidepressivi ed esposizione, alcuni studi indicano un certo potenziamento degli effetti di quest’ ultima sui sintomi del panico in particolar modo a breve termine (Baccker et al. 1998; Lee 2006; Mavissakalian 1993;Van Balkom et al. 1997) ma vi sono anche prove che sostengono l’ esatto contrario (Bridler 2001) o comunque l’assenza di effetti favorevoli a lungo termine rispetto alla sola esposizione (Lee et al. 2006). Barlow et al. (2000) da un loro studio hanno notato solo un vantaggio limitato conseguente alla combinazione dei due trattamenti.

Allo stato attuale delle conoscenze, possiamo dire che dalla combinazione di esposizione e psicofarmaci non si evidenziano particolari migliorie ma anzi, in certi casi, si notano addirittura effetti negativi. Considerando l’esposizione come un processo di apprendimento e ritenendo che alcuni psicofarmaci possono ostacolarlo, tali risultati risultano quindi coerenti.

Se da una parte, però, questi dati possono orientare il clinico a non utilizzare i farmaci in questione, dall’altra, a parer di chi scrive non bisogna escludere, comunque, che nella pratica di esposizione l’utilizzo dei psicofarmaci può comportare alcuni importanti vantaggi come, ad esempio, quello di aumentare la compliance dei pazienti, fornendo quel minimo di sollievo iniziale dall’ansia (nel caso degli ansiolitici), oppure migliorando il tono dell’umore (nel caso degli antidepressivi).

Concludendo, è necessario puntualizzare, comunque, che esaminare gli effetti dei trattamenti combinati non è semplice e sono necessarie ulteriori ricerche per delineare meglio gli effetti della combinazione delle due terapie. Qualunque raggruppamento corre il rischio di mettere insieme categorie differenti ad esempio farmaci diversi della stessa classe, differenti dosaggi, differente durata della somministrazione, differenti tipi di esposizione. Considerando i vantaggi e svantaggi, la decisione finale sulla scelta di abbinare l’esposizione a psicofarmaci, dunque, dovrebbe basarsi sulla valutazione del clinico riguardo il caso e sulla specifica condizione clinica del paziente.

Con centinaia di studi clinici e decine di meta-analisi che ne attestano l’efficacia, la terapia di esposizione è il trattamento psicologico più empiricamente supportato per i disturbi d’ ansia. I recenti progressi nelle aree di apprendimento ed estinzione della paura hanno portato alla formulazione di un suo nuovo modello concettuale (apprendimento inibitorio) e ad un conseguente potenziamento del metodo.
Un adeguato aggiornamento sulla “nuova terapia di esposizione” risulta dunque essere importante per lo psicologo clinico e lo psicoterapeuta. Vi aspetto il 9 e 10 novembre a Milano.

 

Bibliografia

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