L’importante ruolo delle funzioni esecutive e dell’autoregolazione nell’ADHD

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Russell A. Barkley (1949) è uno psicologo e professore universitario statunitense. È autore di svariati libri sull'ADHD. È ricercatore dal 1973 e psicologo professionista dal 1977. Insegna psicolog...
funzioni esecutive autoregolazione ADHD

Presentiamo questo articolo di Russell A. Barkley, Ph. D.,  autore di nostre Masterclass, che tratta del ruolo delle funzioni esecutive e dell’autoregolazione nell’ADHD. 


È probabile che i genitori e gli educatori che lavorano con bambini (o adulti) con l’ADHD abbiano sentito negli ultimi anni aumentare la frequenza del termine “funzioni esecutive” (FE) e “autoregolazione”. In questi anni sono apparsi molti libri che si concentrano su questi temi, così come centinaia di articoli scientifici che si sono occupati della relazione tra questi due costrutti e l’ADHD.

Si sente spesso che l’ADHD sia un disordine delle funzioni esecutive, o che l’ADHD porti a una scarsa auto-regolazione. Ma cosa significa? Questo influisce in qualche modo sul modo in cui si dovrebbe gestire il disturbo?

L’ADHD di tipo combinato

La forma più comune di ADHD è conosciuta come “Tipo Combinato”. Dai 2/3 ai 3/4 delle persone a cui viene diagnosticato l’ADHD rientrano a un certo punto in questa tipologia, in età infantile o adulta. Questo tipo di ADHD implica problemi significativi con le capacità di:

  • mantenere l’attenzione;
  • persistere verso il raggiungimento di traguardi;
  • resistere alle distrazioni;
  • svolgere attività eccessivamente irrilevanti (iperattività);
  • fermare azioni, pensieri, ed emozioni che sono socialmente inappropriati per la situazione o non utili al fine di obiettivi a lungo termine o il benessere generale.

L’autoregolazione

Il termine “autoregolazione” in psicologia ha una definizione relativamente specifica. Normalmente viene considerato il motivo per il quale un individuo riesce a gestire se stesso per raggiungere i propri obiettivi. Si può pensare all’autoregolazione come costituita da tre componenti. L’auto-regolazione implica:

  1. qualsiasi azione che un individuo direziona a se stesso, così come
  2. per risultare in un cambiamento del proprio comportamento (rispetto a quello che potrebbero fare invece) in modo da
  3. cambiare le possibilità delle conseguenze future o dell’obiettivo.

L’autoregolazione: un esempio

Quando entrate in un caffè e vedete una vetrina piena di dolci e pasticcini, affrontate una situazione che potrebbe tentarvi a comprare queste cose, rovinandovi i piani della dieta di quel mese. Per affrontare questa tentazione mentre aspettate che il vostro caffè sia pronto, potete distogliere lo sguardo dalla vetrina, andare verso un’altra parte del bar lontano dalle tentazioni, intraprendere una conversazione con voi stessi sul perché non avete bisogno di comprare questi prodotti, e anche immaginarvi più snelli in seguito alla dieta.

Tutte queste sono azioni auto-direzionate che usate per provare a evitare la possibilità di cadere in tentazione e quindi aumentare le possibilità di andare incontro alla perdita di peso progettata.

Questa situazione richiama un certo numero di abilità mentali distinte ma che interagiscono tra di loro per riuscire a negoziare con successo la situazione. Dovete essere consapevoli che:

  1. c’è un dilemma che si è posto quando siete entrati nel bar (auto-consapevolezza);
  2. dovete limitare la voglia di prendere dei dolci per accompagnare il caffè che state ordinando (inibizione);
  3. state indirizzando la vostra attenzione lontano dagli oggetti tentatori (attenzione esecutiva o gestione dell’attenzione);
  4. parlate con voi stessi mentalmente (auto-istruzioni verbali o memoria operativa);
  5. visualizzate l’immagine del vostro obiettivo e di come sembrerete quando lo otterrete con successo (memoria operativa non verbale o immaginario visivo).

Potrete anche ritrovarvi a pensare se siete riusciti a gestire le tentazioni adeguatamente (problem solving) e forse anche ad avere usato parole di incoraggiamento verso voi stessi per aumentare le probabilità di proseguire con i vostri piani (auto-motivazione). Queste ed altre attività mentali sono solitamente incluse nella comprensione moderna dell’autoregolazione umana.

L’ADHD e il deficit nell’autoregolazione

Sin dai primi anni ‘70, i ricercatori clinici come Virginia Douglas, Ph.D. che stavano studiando l’ADHD hanno asserito che il disturbo con molta probabilità implicava un serio deficit nella capacità di autoregolazione. Perché?

Perché avevano già iniziato a documentare con varie misure i discorsi auto-diretti e il seguire le regole, l’auto-motivazione e anche la auto-consapevolezza. Se l’ADHD implica difficoltà per queste capacità e queste sono abilità mentali dell’uomo che implicano la regolazione dei nostri comportamenti, logicamente allora l’ADHD dovrebbe essere un disturbo dell’autoregolazione. Da allora, la ricerca è proseguita per affermare il coinvolgimento di questi deficit in queste e altre capacità mentali che sono essenziali per l’autoregolazione nelle persone con l’ADHD.

Il risultato è la tacita accettazione dell’idea che l’ADHD è in realtà l’SRD (disturbo dell’autoregolazione). Mentre il nome ufficiale del disturbo non verrà più cambiato per molto tempo nei manuali ufficiali dei disturbi mentali, è importante però che le persone capiscano che c’è un’equivalenza dell’ADHD con il deficit dell’autoregolazione.

Le funzioni esecutive (FE)

Inoltre, negli ultimi 30 anni i ricercatori, studiando l’ADHD, hanno documentato sempre maggiormente i deficit nei test e negli altri metodi di misurazione delle FE.

Sfortunatamente, non c’è coerenza in questo momento sul significato del termine “funzioni esecutive”, nonostante sia usato frequentemente negli articoli delle riviste scientifiche, le presentazioni e i libri riguardo l’ADHD. Una definizione comunemente usata nel campo dell’ADHD si riferisce alle FE come “quei processi neuropsicologici di cui si ha bisogno per sostenere attività di problem-solving verso un obiettivo”.

Relazione tra funzioni esecutive e autoregolazione

Ora, possiamo cominciare a vedere la potenziale relazione tra le FE e l’autoregolazione. Esse condividono una definizione simile, ma non identica. Entrambe implicano azioni rivolte a un obiettivo o orientate verso il futuro. Entrambe implicano il problem-solving come parte di queste azioni rivolte a un obiettivo. Inoltre, quando osserviamo la lista dei processi mentali solitamente elencati come parte della nozione di FE, questa include:

  • l’inibizione;
  • la resistenza alle distrazioni;
  • l’auto-consapevolezza;
  • la memoria operativa;
  • l’autocontrollo emotivo;
  • l’auto-motivazione.

Queste sono abilità esclusivamente mentali che sono già state identificate come fondamentali nell’autoregolazione. Infatti, ogni funzione esecutiva può essere considerata una forma o un tipo speciale di autoregolazione. In breve, una FE è un tipo specifico di azioni che rivolgiamo a noi stessi ai fini dell’autoregolazione.

Possiamo, quindi, considerare ogni FE identificata dai ricercatori e ridefinirla come un tipo di azione diretta a se stessi:

  • l’inibizione diventa auto-restrizione;
  • l’auto-consapevolezza è un’attenzione verso se stessi;
  • la memoria operativa verbale è un discorso a se stessi (parlare a se stessi, usando la voce mentale);
  • la memoria operativa non verbale è vedere se stessi o usare un immaginario visivo con le altre forme di percezione auto-direzionale (riascoltare vecchie conversazioni con voi stessi, ri-percepire odori già sentiti o sapori già provati, ecc.)
  • il problem-solving può essere pensato come un gioco auto-direzionale (dividere e ricombinare le cose e le idee per creare nuove forme).

Funzioni esecutive, autoregolazione e ADHD

Usiamo diverse FE per l’autoregolazione (AR) al fine di ottenere degli obiettivi (alterare le conseguenze future): FE = AR.

Adesso possiamo osservare che se l’ADHD è SRD allora l’SRD è anche il disturbo delle funzioni esecutive (EFDD). Sono nomi intercambiabili per lo stesso disturbo. Le persone con l’ADHD hanno gravi difficoltà nell’uso delle loro FE per scopri di autoregolazione e ottenere i loro obiettivi.

Sintomi principali dell’ADHD

Possiamo adesso comprendere che l’ADHD coinvolge molto di più dei semplici sintomi di inattenzione/distrazione o impulsività/iperattività. È ovvio che le difficoltà psicologiche evidenziate che danno origine a questi sintomi implicano dei deficit in tutte le principali FE, e ognuna di queste FE è un tipo di autoregolazione, una forma speciale di azione autodirezionale.

Quindi, l’ADHD implica dei deficit in:

  • auto-restrizione;
  • auto-consapevolezza;
  • discorso a se stessi;
  • sensorialità e immaginario;
  • autocontrollo delle emozioni;
  • auto-motivazione;
  • attività autodirezionali di problem-solving.

Ciò che caratterizza chi ha l’ADHD sembra il fatto di apparire meno maturo, non appropriato alla propria età, nelle capacità di utilizzare l’autoregolazione per raggiungere obiettivi. Per aiutare qualcuno affetto da ADHD è necessario gestire questi ritardi nello sviluppo e/o compensarli, creando delle strategie. In questo modo, saranno più efficaci e avranno maggior successo nella gestione di se stessi, ottenendo i loro obiettivi e svolgendo i loro compiti, e diventando più preparati per il loro futuro in generale.

Quattro principi della gestione dei deficit nelle FE e nell’autoregolazione

Primo principio

Il processo di regolazione del comportamento rappresentato da forme di informazione interne (memoria di lavoro o interiorizzazione del comportamento) è compromesso o ritardato nelle persone con deficit nelle FE. Allora è possibile aiutarle “esternalizzando” quelle forme di informazione.

Fornire rappresentazioni fisiche di tali informazioni sarà necessario nel momento dell’esecuzione dell’azione. Rendere tali informazioni esplicite e pubbliche può aiutare a rafforzare il controllo del comportamento.

Secondo principio

L’organizzazione del comportamento dell’individuo nel tempo è una delle disabilità causate dal disturbo. I deficit nelle FE creano una miopia temporale in cui il comportamento dell’individuo è focalizzato solo sul presente e non c’è sguardo verso eventi futuri a lungo termine. Se si ha poca considerazione per gli eventi futuri, gran parte del proprio comportamento sarà finalizzato a massimizzare le ricompense immediate e sfuggire a difficoltà immediate o circostanze avverse senza preoccuparsi delle conseguenze ritardate di quelle azioni.

Queste persone potrebbero essere assistite rendendo il tempo stesso più rappresentato esternamente, riducendo o eliminando gli intervalli di tempo tra le componenti di una contingenza comportamentale (evento, risposta, esito) e colmando tali lacune temporali legate ad eventi futuri con l’assistenza di caregiver e altri.

Terzo principio

Il modello ipotizza un deficit nella motivazione a livello di rappresentazioni interne. Perciò, le persone con deficit nelle FE avranno bisogno di fonti di motivazione esternalizzate. Ad esempio, la fornitura di ricompense artificiali, come i gettoni, può essere necessaria durante l’esecuzione di un’attività o di un altro comportamento diretto a un obiettivo quando le conseguenze immediate associate a tale prestazione sono altrimenti scarse o nulle.

Tali programmi di ricompensa artificiale diventano per la persona con deficit nelle FE ciò che i dispositivi protesici come gli arti meccanici sono per i disabili fisici, consentendo loro di svolgere in modo più efficace alcuni compiti in contesti nei quali altrimenti avrebbero notevoli difficoltà. La disabilità motivazionale creata dai deficit nelle FE rende tali protesi motivazionali quasi essenziali per la maggior parte dei bambini, ma possono essere utili anche con gli adulti.

Quarto principio

I medici dovrebbero rifiutare la maggior parte degli approcci all’intervento per le persone con deficit nelle FE che non implichino aiutare i pazienti con un intervento attivo al momento della prestazione. Il punto della performance è quel luogo e tempo nella vita in cui la persona non riesce a impegnarsi efficacemente nelle FE e nell’autoregolamentazione.

Le attività di AR esauriscono risorse

La ricerca indica che ogni implementazione di AR (e quindi FE) in tutti i tipi di AR (memoria di lavoro, inibizione, pianificazione, ragionamento, risoluzione dei problemi, ecc.) esaurisce temporaneamente un limitato pool di risorse. Ciò si traduce in un individuo che è meno capace di autoregolarsi in periodi di tempo immediatamente successivi. Quindi, è più probabile che abbia problemi o fallisca completamente nei suoi sforzi di AR e resistenza alla gratificazione immediata. Tali esaurimenti temporanei possono essere ulteriormente aggravati da stress, uso di alcol o altri farmaci, malattie o anche bassi livelli di glucosio nel sangue.

La ricerca indica anche quali fattori possono servire per ricostituire più rapidamente il pool di risorse:

  • l’esercizio fisico regolare;
  • fare pause periodiche di 10 minuti durante situazioni faticose di AR;
  • rilassarsi o meditare per almeno 3 minuti dopo tali attività di AR;
  • visualizzare i premi o i risultati mentre coinvolti in attività che coinvolgono le funzioni esecutive o l’autoregolazione;
  • impegnarsi in affermazioni auto-affermative di autoefficacia prima e durante tali attività;
  • sperimentare emozioni positive;
  • consumare bevande ricche di glucosio durante l’attività.

Farmaci per la gestione dei deficit in AR e FE

Per la gestione dei deficit nelle FE dal punto di vista dell’autoregolamentazione, solo un trattamento farmacologico può essere in grado di comportare il miglioramento o la normalizzazione dei substrati neurologici e persino genetici. Farmaci come gli stimolanti o i non stimolanti, come l’atomoxetina o la guanfacina XR, migliorano o normalizzano i substrati neurali nelle regioni prefrontali e le reti correlate che probabilmente sono alla base di questi deficit.

La ricerca mostra che il miglioramento clinico del comportamento si verifica nel 75-92% dei casi di persone con ADHD e si traduce in una normalizzazione del comportamento in circa il 50-60% di questi casi, in media. Quindi il farmaco non è solo un approccio terapeutico utile per la gestione di alcuni deficit, ma può essere un approccio di trattamento predominante tra i trattamenti attualmente disponibili. Infatti è l’unico trattamento noto fino ad oggi in grado di produrre tali tassi di miglioramento/normalizzazione, anche se temporaneamente.

Esternalizzazione delle informazioni

Se i deficit nelle FE determinano una diminuzione del controllo del comportamento da parte di forme di informazione rappresentate internamente, allora quell’informazione deve essere “esternalizzata” il più possibile, quando possibile, nei punti critici della prestazione nell’ambiente naturale.

“Esternalizzare” le informazioni significa renderle fisiche al di fuori dell’individuo. Le forme interne di informazione generate dal sistema esecutivo, se sono state generate, sembrano essere straordinariamente deboli nella loro capacità di controllare e sostenere il comportamento di coloro che hanno deficit nelle FE.

La soluzione a questo problema non è tormentare coloro che hanno difficoltà e spingerli a fare di più oppure ricordare loro cosa dovrebbero fare. Si tratta invece di farsi carico di quel contesto immediato e riempirlo di spunti fisici paragonabili alle loro controparti interne che si stanno rivelando così inefficaci.

Fonti di distrazione che possono servire a sovvertire o interrompere attività rappresentate mentalmente dovrebbero essere minimizzate quando possibile. Al loro posto dovrebbero esserci spunti, suggerimenti e altre forme di informazioni altrettanto salienti e attraenti, ma che sono direttamente associati o sono una parte intrinseca del compito da svolgere. Tali informazioni esternalizzate servono a indurre l’individuo a fare ciò che sa di dover fare.

Strategie per l’esternalizzazione delle informazioni

Le regole possono essere esternalizzate affiggendo cartelli sulla scuola o sull’ambiente di lavoro e l’adulto dovrebbe riferirsi spesso ad esse. Anche il fatto che l’adulto dichiari verbalmente queste regole ad alta voce prima e durante queste prestazioni lavorative individuali può essere utile. Si possono anche registrare questi promemoria su un registratore digitale che il bambino o l’adulto ascolta tramite un auricolare mentre lavora.

Le strategie possibili sono molte, ma l’obiettivo è unico: mettere informazioni esterne intorno alla persona e nei suoi campi sensoriali che possano servire a guidare meglio il comportamento. Con le conoscenze fornite da questo modello e un po’ di ingegnosità, molte di queste forme di informazioni rappresentate internamente possono essere esternalizzate per una migliore gestione del bambino o dell’adulto con deficit nelle FE, come nell’ADHD.

Ciò che deve essere riconosciuto, come stabilisce questo modello di ADHD, è che:

  1. le forme di motivazione interiorizzate e auto-generate sono deboli nell’iniziare e sostenere un comportamento diretto all’obiettivo;
  2. le fonti di motivazione esternalizzate, spesso artificiali, devono essere organizzate nel contesto al momento della performance;
  3. queste forme di motivazione protesica compensativa devono essere sostenute per lunghi periodi.

L’esternalizzazione delle informazioni: un avvertimento

Tuttavia, c’è un importante avvertimento a tutte queste implicazioni per l’esternalizzazione delle forme di informazione rappresentata internamente. Questo avvertimento deriva dalla componente del modello che si occupa dell’autoregolazione della motivazione (e dell’eccitazione). Non importa quanto i medici, gli educatori e i caregiver esternalizzino suggerimenti, spunti e altri segnali di forme interiorizzate e informazione con cui desiderano guidare la persona con deficit nelle FE. È probabile che abbia successo solo parzialmente. Anche allora lo dimostrerà solo temporaneamente.

Le fonti interne di motivazione devono essere aumentate anche con forme esterne più potenti. Queste fonti di motivazione sono fondamentali per guidare il comportamento diretto all’obiettivo verso i compiti, il futuro e il risultato previsto in assenza di motivazione esterna nel contesto immediato.

Lamentarsi con queste persone per la loro mancanza di motivazione (pigrizia), spinta, forza di volontà o autodisciplina non sarà sufficiente per correggere il problema. Allontanarsi dall’assisterli per lasciare che si verifichino le conseguenze naturali, come se questo insegnasse loro una lezione che correggerà il loro comportamento, è anche una ricetta per il disastro. Invece, i mezzi artificiali per creare fonti esterne di motivazione devono essere disposti nel punto della prestazione nel contesto in cui si desidera il lavoro o il comportamento.

Autoregolazione, funzioni esecutive e gestione del tempo

La principale tra queste forme di informazioni rappresentate internamente che devono essere esternalizzate o rimosse completamente dai task è quella relativa al tempo. Il tempo e il futuro sono i nemici delle persone con difficoltà nelle funzioni esecutive quando si tratta di portare a termine un compito o prestazioni verso un obiettivo.

Una soluzione ovvia, quindi, è ridurre o eliminare questi elementi problematici in un’attività. Ad esempio, piuttosto che assegnare una contingenza comportamentale che ha grandi divari temporali tra i suoi elementi a qualcuno con un disturbo nelle FE, questi divari temporali dovrebbero essere ridotti quando possibile. Piuttosto che dire che un progetto deve essere fatto nel mese successivo, aiutali a fare un passo al giorno verso quell’eventuale obiettivo. Così, quando arriverà la scadenza, il lavoro sarà stato svolto in piccoli periodi di lavoro quotidiano con feedback immediati e incentivi per farlo.

 

Articolo liberamente tradotto e adattato. Fonte: The Important Role of Executive Functioning and Self Regulation in ADHD© – Russell A. Barkley, Ph.D. (2011)

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