“Cosa devo sapere o saper fare se voglio lavorare con una coppia in terapia?”
Questa la domanda che mi sono posta ad un certo punto del processo di costruzione della mia identità professionale.
Dopo anni ad aver osservato famiglie intere arrivare nel mio studio e spostare le loro difficoltà dalla coppia coniugale alla coppia genitoriale, ho deciso di approfondire l’ampissimo mondo relazionale delle coppie.
L’idea di base era aiutare i figli aiutando in primis i genitori a ritrovare la loro essenza di persone, di partner, di amanti, che è la parte primordiale di un rapporto dal quale poi un giorno potrebbe nascere una famiglia. La base solida da cui possono poi ergersi le altezze.
La credenza spesso citata sui rapporti amorosi è che la coppia si basi sull’unione di due persone che si incastrano perfettamente, come se uno fosse la parte mancante dell’altro. Un concetto che fa riferimento al mito di Platone.
In questo mito, Platone immagina che ci sia stato un primo tempo in cui esistevano esseri androgini, dalla forma cilindrica, che avevano entrambi i sessi. La loro esistenza sarebbe stata un simbolo di totale autosufficienza, nessuna mancanza, nessuna dipendenza, nessuna gelosia.
Tuttavia, proprio perché questi esseri erano così completi, manifestarono arroganza nei confronti di Zeus, tentando l’assalto al cielo. Zeus, irato per l’affronto, decise di dividerli in due parti, rendendoli due esseri infelici alla continua ricerca della metà mancante.
La riunificazione delle due parti in una totalità d’essere, come in origine, rappresenta l’immagine dell’amore romantico, alla continua ricerca di un’anima gemella che corrisponde perfettamente a noi stessi, che si incastra, ricompatta e unifica.
Come tutti però sappiamo, questo mito è ampiamente superato rispetto alle conoscenze che si hanno oggigiorno della coppia. Inoltre tutti riconosciamo che una buona unione tra due partner si basa sull’integrazione delle differenze piuttosto che sulla ricerca di uguaglianze.
Questo tema apre ad un’altra domanda che riguarda la scelta del partner.
Su quali basi quindi ognuno di noi sceglie il proprio compagno o la propria compagna di vita? E quanto questa scelta è casuale?
Leggendo questa domanda con un’ottica Sistemico Relazionale, non posso che fare riferimento alle fasi del ciclo di vita della famiglia, che, così come E. Scabini le ha definite, si suddividono in cinque momenti di vita:
- Creazione della coppia
- Nascita dei figli quindi famiglia con figli piccoli
- Famiglia con figli adolescenti
- Svincolo del figlio adulto dalla famiglia d’origine
- Famiglia con genitori anziani
Ognuna di queste fasi di vita ci appartiene in uno o più ruoli che noi stessi possiamo riconoscerci secondo il proprio momento di vita, ma, allo stesso modo, le coppie che chiedono aiuto allo psicologo o allo psicoterapeuta si trovano in una di quelle fasi, in uno o più di quei ruoli interessati dai tanti cambiamenti che l’individuo è impegnato a vivere nel passaggio evolutivo tra una fase di vita e l’altra.
Si tratta di momenti critici, nel senso che richiedono l’attivazione di numerose risorse personali per affrontare il cambiamento in atto. Tutto questo può riversarsi sul rapporto a due ed essere un ostacolo al proseguimento del progetto della coppia.
La prima fase, la creazione della coppia, è particolare proprio perché rappresenta il momento della scelta e della conferma della scelta stessa. Ognuno dei partner si mostra esattamente come l’altro vorrebbe che fosse, senza vedere poi chi realmente è.
L’effetto di risposta a questa illusione è quindi la delusione rispetto alla consapevolezza che l’altro è oggettivamente intriso dei suoi difetti e non è poi così simile all’idea di lui che ci eravamo fatti. Subentra quindi la disillusione, attraverso la quale si rende visibile ciò che ha legato i due sconosciuti: i bisogni più profondi che l’uno chiede di all’altra di soddisfare al suo posto, e viceversa.
Molte persone raccontano delle grandi aspettative di raggiungimento della “felicità” che si hanno attraverso la presenza del partner. Gli si dà quindi il compito di riscattare le mancanze e riempire i vuoti legati alla propria infanzia o adolescenza, un compito quindi impossibile da portare a termine, per chiunque.
Conoscere le difficoltà, e i compiti evolutivi ad esse annessi, di ogni fase del ciclo di vita della coppia e della famiglia rappresenta una buona base di partenza quindi per un clinico che si appresta ad entrare in contatto con la coppia.
L’atteggiamento del terapeuta
Altro punto a mio avviso importantissimo da conoscere è il proprio, del clinico, personale concetto di coppia, di infedeltà, di patto coniugale e di separazione, perché ognuno di questi elementi può essere presente in stanza di consulenza o terapia, e la padronanza dei propri vissuti a riguardo è fondamentale per poter fornire un aiuto autentico alla coppia.
Questo presuppone un’attenta autoanalisi dei propri vissuti, una consapevolezza di base che noi psicologi per primi dobbiamo sottoporci ad una psicoterapia, qualunque sia stato il dramma della nostra vita, e che durante la pratica clinica la supervisione indiretta è una risorsa inestimabile a nostra disposizione, qualunque sia il livello di esperienza raggiunto.
Tantissime altre sono le cose da sapere su come lavorare con le coppie, ma ne cito adesso una legata all’aspetto più pratico, se non tecnico, del nostro lavoro, soprattutto per chi esercita attraverso la libera professione. Bisogna sapere come far arrivare le coppie al nostro studio, e come farle restare nel delicato processo dell’affidarsi a noi, in una società come questa odierna in cui il numero di psicologi in Italia è sopraelevato e quindi la concorrenza molto alta.
Un’attenzione particolare quindi va data al modo in cui “Io” racconto al mondo circostante che esisto come professionista e quali competenze mi contraddistinguono, oltre che al modo in cui decido di interagire con il partner che mi ha scritto o telefonato al primo contatto. I dettagli qui fanno la differenza.
Tutti gli aspetti che ho citato di questa specifica branca del lavoro dello Psicologo/Psicoterapeuta con le Coppie tentano di dare una risposta alla domanda iniziale “cosa devo sapere o saper fare per lavorare con le coppie?”.
Tuttavia, ritengo che una risposta ancora più centrata sia “saper esserci”, inteso come esserci in seduta con tutta la nostra persona, esserci con noi stessi rispetto ai nostri vissuti che i pazienti ci risvegliano, esserci rispetto ai nostri limiti che vanno riconosciuti e migliorati, esserci nella costante formazione che consolida le competenze. Esserci, infine, nella più chiara e concreta definizione dell’identità professionale, oltre che personale. Buon lavoro a tutti!
Dott.ssa Ivana Siena
One thought on “Cosa sapere o saper fare con le coppie in terapia?”
Antonio Scuglia says:
Cara collega, ti segnale un piccolo errore, ma cose che capitano a tutti, nulla di che: “esseri androgeni”, lì ci vuole androgini. Complimenti per essere partita da Platone: più vado avanti e più verifico che la mancanza dello studio della Filosofia in molti Corsi di Laurea in Psicologia è qualcosa di … incredibile. Un caro saluto e buon lavoro da un collega Psicoterapeuta ad orientamento Sistemico Relazionale. Antonio Scuglia, Caserta.