Emozioni multiple, sé multipli: sedute di terapia focalizzata sulla compassione

terapia focalizzata sulla compassione

La terapia focalizzata sulla compassione (CFT) è un modello di psicoterapia integrativa fondato sulle neuroscienze affettive, sulla teoria dell’attaccamento e sulla scienza evolutiva (Gilbert, 2020). L’obiettivo generale della terapia è coltivare la compassione nei suoi vari flussi: da sé ad altri, da altri a sé e da sé a sé.

La terapia è nata originariamente per affrontare la vergogna e l’autocritica. Ma si è trasformata in un trattamento efficace per una varietà di presentazioni cliniche (Craig et al., 2020) e popolazioni non cliniche (Irons e Heriot-Maitland, 2020).

Terapia focalizzata sulla compassione e sulla multi-mente: metodo

In pratica, la terapia focalizzata sulla compassione attinge a vari metodi per sviluppare competenze compassionevoli e stati mentali, tra cui pratiche meditative, immaginazione guidata, esercizi focalizzati sul corpo e tecniche di recitazione del metodo (Gilbert, 2010). Nell’applicare la compassione alle difficoltà della vita, la terapia focalizzata sulla compassione integra una serie di interventi basati sull’evidenza, compresi gli approcci cognitivo comportamentali.

La fase iniziale della terapia focalizzata sulla compassione prevede la generazione di intuizioni sulla natura complessa del cervello e della mente umani evoluti. Gilbert (2005) descrive la ‘multi-mente’ umana come un multiplo di motivazioni, emozioni e competenze cognitive che danno origine a conflitti e angoscia.

Tali conflitti possono verificarsi tra le motivazioni di base (e le loro mentalità associate): ad esempio, la tensione tra la cooperazione in un gruppo e la competizione per lo status e le risorse (Gilbert, 2017). Il conflitto può anche sorgere tra antiche emozioni, pulsioni e impulsi di azione del “vecchio cervello” che condividiamo con altri animali e abilità cognitive del “nuovo cervello” evolute più di recente: ad esempio sentirsi ansiosi ed evitare un conflitto e poi criticarsi per tali sentimenti e comportamento (Gilbert, 2010).

Scopo della multi-mente

Uno degli scopi dell’evidenziazione di questi conflitti intrinseci è quello di spersonalizzare e decentrare i processi della nostra mente biologica. Si riduce così l’attribuzione individuale di colpa. Un altro è sviluppare la “consapevolezza mentale” per differenziare i vari modelli e potenziali che strutturano la mente e alla fine modellano il suo output (Gilbert,2020).

La Terapia focalizzata sulla compassione e sulla multi-mente adotta anche un approccio funzionale evolutivo alle emozioni, raggruppandole in tre gruppi interattivi dipendenti dai motivi primari che servono: minaccia, protezione ed evitamento del danno; ricerca e acquisizione di risorse basate su pulsioni; e riposare, digerire e calmare (Gilbert, 2020).

Un corso di terapia focalizzata sulla compassione includerà un focus sul bilanciamento di questi sistemi emotivi con un’enfasi sul miglioramento degli stati sentimentali ed emotivi parasimpatici “calmanti” che, nei mammiferi, sono interconnessi con la sicurezza e la cura sociale (Gilbert, 2014; Porges, 2017).

Gilbert (2020) suggerisce che “poiché le nostre esperienze riguardano modelli di funzioni e processi” (p. 14), le nostre emozioni hanno ciascuna i propri stati corporei, modi di pensare, impulsi comportamentali, attenzione, ricordi associati e motivazioni collegate.

Terapia focalizzata sulla compassione e sulla multi-mente: emozioni come mini-sé

Le emozioni possono quindi funzionare come “mini-sé” che modellano la nostra esperienza interna e le interazioni esterne in modi molto diversi. Per aggiungere ulteriore complessità, lo stesso evento/stimolo può innescare più emozioni che sorgono in conflitto o una forma mista e indifferenziata che può essere difficile da comprendere (Gilbert, 2010).

Le emozioni possono anche essere ‘fuse’ l’una con l’altra – diventando dominanti o assenti nella nostra consapevolezza – attraverso il condizionamento classico (Ferster, 1973). Ad esempio, un cliente che si è ripetutamente vergognato per le espressioni di rabbia da bambino potrebbe, da adulto, provare vergogna o ansia per i propri sentimenti di rabbia al punto in cui è difficile accedere a tale rabbia nella consapevolezza cosciente (Gilbert, 2007).

Terapia focalizzata sulla compassione e sulla multi-mente: sé multipli

Un intervento  di  terapia focalizzata sulla compassione che affronta tale complessità emotiva è chiamato “sé multipli” (Gilbert 2020; Kolts2016). Questo esercizio comporta la differenziazione delle “tre grandi” emozioni di minaccia: paura/ansia, rabbia/ira e tristezza.

I pazienti tipicamente devono identificare una disputa con qualcuno a cui tengono. E in terapia si esplora la situazione attraverso le reazioni di ogni “sé” emotivo. Ad esempio, “Cosa pensa il sé arrabbiato, si concentra, cosa vuole fare?”

Viene anche chiesto quali sono i loro ricordi di ogni emozione (per determinare le storie di apprendimento associate). E cosa vuole in definitiva ogni sé emotivo (per identificare i motivi correlati).

Una recente aggiunta include chiedere di cosa ha bisogno il sé emotivo per “sistemarsi” (evidenziando le possibilità di regolazione). Vengono quindi esplorate le interazioni e le relazioni tra i sé emotivi (ad esempio, “cosa pensa il sé arrabbiato del sé ansioso?”). Per riflettere sul potenziale conflitto emotivo e sul modello di risposta emotiva dell’individuo (ad es. il sé arrabbiato potrebbe bloccare l’accesso di un cliente al dolore del sé triste).

Infine, si accede al sé compassionevole con esercizi che supportano l’attivazione vagale-ventrale (come la respirazione ritmica rilassante) e collegano i clienti alla loro motivazione compassionevole e alle relative qualità mentali (Gilbert e Choden, 2013).

Il sé compassionevole riflette quindi sulla situazione (con una maggiore capacità di mentalizzare entrambe le parti). Ed entra in contatto in modo compassionevole con ciascuna emozione a turno.

La struttura dei ‘sé multipli’ può essere introdotta tramite un esercizio sulla lavagna ma è anche intrapresa tramite un lavoro sulle sedie (chairwork). Utilizzando i processi e le procedure del metodo per migliorare la differenziazione emotiva e nuove forme di relazione interna.

Il chairwork per la terapia focalizzata sulla compassione

Il chairwork è definito come una “raccolta di interventi esperienziali che utilizzano le sedie, il loro posizionamento, movimento e dialogo per portare al cambiamento, principalmente attraverso la facilitazione delle interazioni qui e ora con parti del sé” (Pugh et al., 2020; pag. 2).

Le sue origini sono nell’approccio psicodrammatico di Jacob Moreno (1948) con notevoli sviluppi in Gestalt (Perls, 1973), esperienziale (Greenberg et al., 1993) e terapie integrative (Young et al., 2003).

Formalmente, il chairwork può implicare dialoghi con sedia vuota (ad esempio parlare con “altri” immaginati/ricordati tenuti simbolicamente su una sedia vuota), tecniche multi-sedia (in cui il cliente si muove tra tali parti o rappresentazioni, recitando entrambi i ruoli) e giochi (in cui il cliente e il terapeuta esplorano e provano le interazioni interpersonali o intrapersonali) (Pugh, 2020).

Funzionalmente, la sedia viene utilizzata per vari scopi terapeutici, tra cui migliorare la motivazione e risolvere l’ambivalenza (Pugh e Salter, 2018), affrontare le interiorizzazioni di “altri” critici o abusivi (Kellogg, 2015) o elaborare schemi di sé alternativi, positivi. (Chadwick, 2003). Il chairwork è stato incorporato in vari trattamenti basati sull’evidenza (ad es. Paivio e Nieuwenhuis, 2001) ed è efficace come intervento autonomo ( Shahar et al., 2012).

Chairwork: unificazione e separazione

Date le molteplici applicazioni del chairwork, attraverso una vasta gamma di modalità terapeutiche, Pugh e Bell (2020) hanno suggerito principi e processi alla base che unificano il metodo. Essi concettualizzano il chairwork come fondamentalmente basato sul principio di auto-molteplicità, sostenuto dal processo di separazione. Cioè l’esteriorizzazione e la differenziazione di parti del sé in posizioni stabilite.

Una volta separate, le parti del sé possono scambiarsi informazioni attraverso il processo di animazione. Ciò potrebbe comportare la personificazione di aspetti del sé (es. immaginare la forma e il carattere dell’autocritico su una sedia di fronte). Oppure incarnarli (es. spostarsi sulla sedia del critico e assumerne la postura, i gesti e il tono di voce).

Infine, la trasformazione si realizza attraverso il dialogo. Per esempio, coltivando o integrando aspetti del sé attraverso la comunicazione verbale e sensoriale.

Il chairwork nella terapia focalizzata sulla compassione

Il chairwork può essere utilizzato durante il corso di una Terapia focalizzata sulla compassione e sulla multi-mente. Ma è tipicamente associata a “pezzi fissi”: auto-compassione a due sedie, chairwork per affrontare l’autocritica e sé multipli (Kolts, 2016; Bell, in stampa).

Il chairwork della terapia focalizzata sulla compassione  è unico nel concentrarsi sul sé/sedia compassionevole, che viene utilizzato per tollerare, integrare e trasformare altri aspetti del sé. Precedenti ricerche sul chairwork sull’autocritica nella CFT (Bell et al., 2020a; Bell et al., 2020b) hanno evidenziato come le qualità uniche del chairwork supportino l’applicazione della compassione.

Ciò include la personificazione dell’esperienza interna per facilitare l’empatia e la mentalizzazione autodirette; l’embodiment per identificare i modelli della mente e le funzioni che servono; e la separazione delle parti del sé per testimoniare e modificare le relazioni tra di loro. Si ipotizza che la struttura dei sé multipli fornita tramite il chairwork (delineato nella Tabella 2) trarrà ugualmente beneficio dalle procedure, dai processi e dalle proprietà dei metodi, al servizio della consapevolezza mentale e della differenziazione emotiva.

Obiettivi e enfasi sulla depressione

Questo è il primo studio sull’intervento chairwork multi-sé. In quanto tale, la ricerca è di natura esplorativa e cerca di comprendere l’esperienza dell’approccio da parte dei clienti con l’obiettivo di migliorarne l’applicazione clinica.

La metodologia qualitativa dell’analisi fenomenologica interpretativa (IPA) è stata scelta per la sua enfasi sull’esperienza vissuta e sulla relativa creazione di significato (Smith et al., 2009) e per la precedenza del suo utilizzo negli account dei clienti di terapia focalizzata sulla compassione (ad esempio Bell et al. , 2017).

Lo studio si concentra sui clienti con depressione a causa della natura complicata delle emozioni in questa presentazione. Sebbene la depressione sia stata definita una “tristezza maligna” (Wolpert, 1999), è uno stato mentale e cerebrale emotivamente complesso ed emergente, formato da interazioni multistrato tra la biologia, la psicologia e il mondo sociale di un individuo (Gilbert, 2007).

La depressione può quindi avere molteplici percorsi ed essere formata da varie combinazioni di diverse esperienze che danno luogo agli stessi sintomi e diagnosi (Irons, 2014).

Nel sottolineare le basi evolutive della depressione, Gilbert (1992) ha suggerito che la depressione è legata a difese bloccate/arrestate/inefficaci, che possono creare problemi nelle diverse emozioni. Ad esempio, la depressione è associata ad un aumento della rabbia e dell’irritabilità, ma anche a problemi nell’essere assertivi nelle interazioni con gli altri e all’interiorizzazione dell’autocritica e della vergogna basate sulla rabbia (Gilbert e Miles, 2000).

Problematiche associate alla depressione

La depressione è anche associata a sentimenti di intrappolamento e fuga bloccata, nonché alla ricerca di aiuto arrestata e al congelamento delle espressioni di dolore e tristezza (Gilbert, 1992; Gilbert e Gilbert, 2003). C’è anche l’attenuazione dei sistemi affettivi positivi legati alla sicurezza (Gilbert et al., 2008).

La depressione può quindi essere concettualizzata come un evitamento o uno spegnimento degli affetti fondamentali, che sono legati alle difese, ai bisogni e alle motivazioni umane fondamentali (Greenberg e Watson, 2006). Il chairwork sui sé multipli è quindi un’opportunità per aiutare i clienti ad accedere, tollerare ed esprimere le proprie emozioni basate sulla minaccia e per lavorare in modo compassionevole per trovare nuove soluzioni adattive.

La depressione è anche associata a difficoltà nel differenziare le emozioni valutate negativamente, in particolare nel contesto di un’elevata esposizione allo stress (Starr et al2020a).

La depressione è tipicamente vissuta come un disagio generalizzato e globale con i clienti “inconsapevoli che il loro malessere è esacerbato dalla loro incapacità di discriminare ed elaborare le loro emozioni fondamentali” (Greenberg e Watson, 2006; p. 44).

Una minore differenziazione delle emozioni negative (NED) è anche associata a una maggiore depressione dei genitori, a uno stile genitoriale più autoritario e a una minore sicurezza nell’attaccamento genitoriale (Starr et al., 2020b). Lo sviluppo di un intervento basato sulla compassione che supporti il NED può quindi essere particolarmente vantaggioso per i clienti con depressione.

Metodo

Reclutamento e idoneità

A causa delle restrizioni COVID-19 al trattamento di persona, i ricercatori hanno potuto includere solo nove partecipanti nello studio.

I criteri di ammissibilità richiedevano ai clienti di avere una “diagnosi provvisoria” di Disturbo Depressivo Maggiore e un punteggio di 10 o superiore sul Questionario sulla salute del paziente (PHQ-9) (Kroenke et al., 2001) all’inizio del trattamento.

Tutti i partecipanti stavano ricevendo la terapia focalizzata sulla compassione e l’intervento sui sé multipli come parte del loro trattamento.

Idoneità e caratteristiche del terapeuta

I terapeuti dovevano aver seguito un minimo di una formazione introduttiva alla terapia focalizzata sulla compassione (di solito tre giorni). Oltre alla formazione specifica sull’intervento (come parte di un seminario sulle abilità CFT avanzate, in genere di tre giorni, o tramite un seminario di due ore tenuto da il primo autore sui servizi presenti).

I sei terapeuti coinvolti nello studio includevano: quattro donne e due uomini; quattro bianco-britannici, uno britannico-pakistano e uno bianco-altro; e una fascia di età di 30-63 anni (media = 40,83). Tutti i partecipanti hanno praticato la CBT, oltre alla terapia focalizzata sulla compassione, come principale modalità di terapia.

Intervento

L’intervento dei sé multipli è avvenuto durante una singola sessione faccia a faccia. Prima dell’intervento, tutti i partecipanti avevano completato la psicoeducazione e la formulazione della terapia focalizzata sulla compassione , oltre alle pratiche del “sé compassionevole” in cui i clienti sono guidati a incarnare e mettere in atto la loro motivazione compassionevole (tramite esercizi basati sul corpo, immaginazione guidata e tecniche di recitazione) (Gilbert, 2010). La sessione dei sé multipli è stata audioregistrata e rivista dal primo autore.

Raccolta dati

Un’intervista separata, faccia a faccia, è stata condotta con ciascun partecipante immediatamente dopo la sessione. L’intervista è stata semi-strutturata, audio registrata e trascritta letteralmente dal primo autore.

Risultati

Tema 1: Apprezzare la complessità emotiva

Molteplicità e differenziazione

Tutti i partecipanti sono stati in grado di accedere ed esprimere le esperienze di ciascun “sé” emotivo in un modo che ha evidenziato modelli mente-corpo distinti per ciascuna emozione.

L’identificazione di tali modelli individuali ha dato origine a un’impressione del sé come multiforme: formato da “parti” agentiche, “insiemi mentali” separati, “quadri mentali” o “modi” dell’essere.

Si è scoperto che questi sé emotivi offrono prospettive e modi di ragionamento diversi, impulsi e motivazioni comportamentali alternativi, oltre a stati di sentimento separati.

Tali sé venivano spesso definiti “personaggi” autonomi, con Alice che faceva ripetutamente riferimento alle emozioni personificate nel film “Inside Out” (Docter e Del Carmen, 2015).

In relazione al problema scelto per l’esercizio, questi sé offrivano nuove prospettive e potenzialità, e un focus su aspetti alternativi del carattere (Amy: “apre davvero la tua mente a diverse sfaccettature della tua personalità”).

Il lavoro sui Sé nella terapia focalizzata sulla compassione: reazioni dei partecipanti

I partecipanti hanno anche identificato come muoversi tra emozioni e mentalità e ha aiutato ad abbattere esperienze globali “cattive” che in precedenza erano indistinte, indifferenziate o singolari. I partecipanti hanno identificato la separazione strutturata delle emozioni come chiave per chiarire il loro “accozzaglia” iniziale di reazioni:

‘È difficile per me decifrare, sento tutte queste cose allo stesso tempo, difficile capire tutto, ho solo bisogno di filtrarlo un po’ di più … perché sento che tutto è come un vortice di vento, il mio cervello è come un uragano, girando subito, magari rallentando o come se fossi nel mezzo in modo da poter individuare i bit’ [Charlie]

Allo stesso modo, Anya ha delineato come il processo di rallentamento e separazione del suo “miscuglio” di esperienze l’abbia aiutata a “sbrogliare” le sue emozioni in un modo che ha portato chiarezza e opzioni.

Universalmente, i partecipanti hanno identificato come la natura ordinata dell’esercizio consentisse un’analisi deliberata delle loro reazioni per “affinare” il particolare:

“Scomponilo nei suoi elementi costitutivi, invece di pensare che ho solo l’ansia, beh, almeno scomponilo, per affrontarlo effettivamente a un livello più elementare” [Chris]

Tale analisi ha anche permesso ai partecipanti di distinguere tra emozioni che erano state precedentemente confuse (James: “a causa del crossover tra di loro”).

Imparando ad “apprezzare” le sfumature e i dettagli di una maggiore complessità emotiva, i partecipanti hanno riportato un senso di giocosità, curiosità e scoperta, che loro stessi hanno trovato sorprendente:

‘Letteralmente nel giro di pochi minuti, è abbastanza divertente vedere quanto il tuo cervello possa capovolgersi in quel modo davvero’ [Emma]

Dominio, assenza e interazione

Dopo aver separato le emozioni, i partecipanti hanno identificato che alcune emozioni erano dominanti e immediatamente disponibili mentre altre erano assenti, di difficile accesso o evitate. L’ansia era la più dominante (n = 5), seguita dalla rabbia (n = 3), mentre la tristezza era la più assente o evitata (n = 5), seguita dalla rabbia (n = 4).

I partecipanti si sono presentati con profili emotivi idiosincratici, rivelati dalle loro esperienze in ciascuna sedia.

“Queste sono le mie modalità predefinite, quindi sono le più facili in cui scivolare … ma per il sé triste ci vuole molta analisi” [Anya]

Come nella riflessione di Anya, tali esperienze in seduta sono state ritenute indicative di modelli e tendenze personali più ampi.

Per alcuni partecipanti questo ha fornito nuove intuizioni e modi per descrivere il loro funzionamento quotidiano; Alice, ad esempio, ha usato la metafora di conducenti e passeggeri per descrivere come la sua vita fosse diretta dall’ansia “per tutto il tempo al posto di guida”.

Per altri, le emozioni sono state riconosciute come completamente assenti dalle loro vite e consapevolezza o, come ha spiegato Tim, sono state attivamente “controllate” in modi che hanno avuto conseguenze interpersonali (ad esempio, difficoltà a essere assertivi quando la rabbia è stata limitata).

Conflitti emotivi nella terapia focalizzata sulla compassione

I partecipanti hanno anche identificato che le loro emozioni potrebbero essere dirette verso l’interno o verso l’esterno, bloccate o assenti a livello interpersonale o intrapersonale.

Chris, ad esempio, ha identificato che la sua rabbia era bloccata esternamente ma espressa internamente sotto forma di autocritica:

«No, sempre rabbia con me stesso. Raramente mi arrabbio con le altre persone’.

Le emozioni sono state anche vissute come interattive e dinamiche, con un’emozione che “prevaleva”, “travolgente” o reagiva a un’altra. Questo è stato nuovamente sperimentato come un processo in sessione mentre i sé si trasformavano in altri e le “voci” lottavano per essere ascoltate.

Come ha spiegato Amy, questo processo ha fatto sembrare l’esercizio un mezzo “esplicativo” per “valutare” e testimoniare i conflitti emotivi in ​​tempo reale. I partecipanti hanno sperimentato varie sequenze emotive che hanno evidenziato la natura ciclica delle loro reazioni, con ciascuna emozione che fungeva da “carburante” per l’altra. Tali cicli includevano rabbia egocentrica per la vulnerabilità del sé ansioso o, a sua volta, ansia per gli impulsi distruttivi del sé arrabbiato.

Per Charlie, la tristezza era carica di ansia a causa della paura di essere assorbita dall’emozione:

“Tristezza, perché mi ritrovo ad approfondire quell’emozione e mi spaventa come posso diventare così triste … sembra di nuotare e stai solo affondando e non puoi nuotare fino in cima” [Charlie]

Tim, allo stesso modo, ha identificato un evitamento della tristezza a causa della profondità del dolore associato a più lutti. Per gli altri partecipanti, è stato possibile accedere a determinate emozioni solo dopo aver sperimentato ed espresso altre emozioni, con l’esercizio che offre un mezzo per accedere alla “radice” emotiva del problema (Emma: “da dove viene effettivamente”).

Benefici dell’esercizio

Uno dei benefici dell’esercizio è stato ritenuto essere il bilanciamento attivo delle emozioni, riducendo alcune emozioni mentre si tiene spazio per altre:

“È passato molto tempo con un lato dominante, quindi l’ho davvero apprezzato, dando i lati di me stesso che non hanno un cane nella lotta perché non sono mai in giro” [Amy]

Ciò ha aiutato i partecipanti a guardare al di sotto dell’emozione predominante di “superficie”. Hanno così dato voce ad aspetti del sé inaccessibili o sconosciuti.

Tema 2: Il ruolo del processo di presidenza

Incarnazione per identificare e accedere a se stessi

I partecipanti hanno particolarmente apprezzato l’enfasi posta dalla presidenza sull’incarnazione e la messa in atto. Quando è stato richiesto di “diventare” ogni sé emotivo, i partecipanti hanno riferito universalmente la capacità di “attingere”, identificare ed esplorare le esperienze corporee associate. Sensazioni del genere sono state vissute intensamente, in maniera immediata “amplificata”: come se “si potesse premere un interruttore” (Charlie).

I partecipanti hanno anche notato come l’essere ogni sé emotivo ha avuto un impatto sull’intero corpo e ne ha modellato l’espressione:

“Tutto, dal linguaggio del corpo al tono della mia voce è cambiato perché stavo accedendo a un’emozione diversa, era piuttosto marcato… puoi vedere e sentire molto la differenza nella mia voce e la differenza nel modo in cui ero seduto e i miei movimenti erano molto evidente’ [Kerry]

Come nella descrizione di Kerry, tali espressioni tangibili hanno offerto ulteriori intuizioni sulla natura di ogni emozione poiché sono state letteralmente viste e ascoltate sia dal partecipante che dal terapeuta.

I sé emotivi divennero conosciuti e differenziati dai loro creatori somatici e dalla ricca granularità delle sensazioni vissute. I partecipanti hanno anche riferito una maggiore consapevolezza dei corrispondenti cambiamenti nella mentalità, nella motivazione e nella “funzione” attraverso cambiamenti nelle tensioni e negli impulsi fisici [ad es. il sé arrabbiato “che vuole spaccare le cose” (Charlie)].

I partecipanti hanno associato il sé compassionevole a un tono di sentimento “più leggero”, “più luminoso” e a un senso di “pace”.

Il chairwork ed il vivere nel “qui ed ora”

I partecipanti hanno anche trovato l’esercizio utile per passare da una discussione astratta o cerebrale delle emozioni a un’esplorazione radicata nel corpo e nel momento presente:

‘Cominci a sentirti, davvero genuinamente. Nell’esercizio non era solo ipotetico, era qualcosa di reale, mi ha fatto sentire triste, nell’esercizio ho provato tutte e tre le emozioni, in un lasso di tempo abbastanza breve’ [James]

Un sentimento simile è stato condiviso da Chris che ha messo in contrasto l’attenzione dell’intervento sull’affetto in seduta e la sensazione interna con la “disconnessione” emotiva dei precedenti interventi cognitivi.

Tale incarnazione e concentrazione alla fine hanno reso ogni emozione più memorabile e più facile da ricordare. Kerry ha descritto in particolare l’esercizio come una sorta di campionamento sensoriale, con la sua esperienza vissuta che risuona nella sua memoria in contrapposizione al richiamo lessicale e immaginale:

“Ricordando come ci si sentiva piuttosto che come appariva, è quasi come entrare in un negozio e annusare tutte le diverse candele profumate, è stata come un’esperienza sensoriale piuttosto che immaginarmi” [Kerry]

Il corpo ha interrotto deliberatamente la connessione tra i sé emotivi. I partecipanti hanno apprezzato i suggerimenti per la pulizia del palato per “sbarazzarsi di tutti i resti” (Charlie) quando si spostano tra le sedie, rallentando il respiro e “scuotendolo via” mediante un gesto fisico.

Anche i cambiamenti intenzionali alla postura, alla respirazione e all’espressione facciale (“sorriso”) erano importanti per accedere al sé compassionevole.

In piedi, guardando indietro: il vantaggio di spostare le sedie

Oltre al ruolo dell’incarnazione, i partecipanti hanno sottolineato come l’atto fisico di muoversi tra le sedie ha supportato i cambiamenti nelle emozioni e nella mentalità. Quando si sono alzati da una sedia, i partecipanti hanno riportato un senso simbolico di uscire dal loro sé emotivo e lasciarli ancora “parcheggiati” dietro.

Allo stesso modo, camminare verso una nuova sedia è stato sperimentato come un mezzo attivo e intenzionale per assumere nuovi aspetti del sé (James: ‘entrare in quelle scarpe, essere quella persona’). Questo fenomeno è stato particolarmente utile per i partecipanti che si sono sentiti fusi con un’emozione specifica.

‘Non credo che nessuno sarebbe in grado di fare questo esercizio se fosse seduto su una sedia, sarebbe molto più difficile saltare in una nuova struttura mentale o in un nuovo sé, penso che tu debba avere le tre sedie’ [Anya]

Un sentimento simile è stato condiviso da Amy, che si è sentita energizzata dagli elementi attivi della sessione, che le hanno fornito un senso di agentività e flusso in contrasto con la natura “stagnante” della sua risposta abituale:

“È davvero facile rimanere stagnanti quando sei in una posizione e sei in una mentalità … il fatto che ci siamo spostati attraverso la stanza non sembrava affatto statico, penso che fosse la chiave per mantenere il sangue che scorre e assicurandoti che il tuo cervello sia costantemente acceso ‘[Amy]

L’esteriorizzazione e la concretizzazione delle emozioni su sedie fisse, in posizioni fisse, non solo ha creato il potenziale per muoversi tra le emozioni a piacimento, ma ha anche permesso nuove prospettive decentrate.

Alcune reazioni al chairwork nella terapia focalizzata sulla compassione

I partecipanti sono stati in grado di guardare indietro al loro sé emotivo con il beneficio della distanza e della separazione fisica e psicologica. La possibilità di esplorare l’interno “dall’esterno” (Charlie). Per Kerry, tale distanza ha fornito una panoramica delle sue emozioni da una nuova posizione riflessiva, a una distanza dalla consueta intensità delle sue reazioni corporee:

“Era quasi come guardare in uno schermo CCTV e hanno tutti i diversi schermi di tutte le diverse immagini … guardando fuori dal corpo, dove guardi la scena e distingui le emozioni che stanno contribuendo” [Kerry]

Come nell’esempio di Kerry, relazionarsi con sedie vuote, dove erano state messe in scena parti del sé, ha generato livelli significativi di immagini mentali. Le immagini dei sé emotivi erano in genere rappresentazioni visive del sé nei momenti di alto affetto (James: “Ho potuto vedere il mio sé più giovane”).

Vedersi rappresentati esternamente ha permesso ai partecipanti di incontrarsi “faccia a faccia”, come se interagissero con un altro essere umano (Tim: “non tu ma sei tu”). Questo ha permesso ai partecipanti di dialogare con sé stessi in modi nuovi, applicando le competenze socio-relazionali al proprio mondo interno:

“Questa immagine di come sembreresti seduto lì, in realtà sembrava che mi stessi dando qualcosa con cui parlare. Mi ha dato qualcosa con cui sentirmi reale con cui parlare. Potrebbero essere tre persone sedute su quelle tre sedie” [Emma]

I partecipanti alla fine hanno identificato una maggiore capacità di essere compassionevoli con se stessi e le proprie emozioni quando esternati o personificati in questo modo.

Tema 3: Integrazione compassionevole nella terapia focalizzata sulla compassione 

Empatia, accettazione e integrazione

In contrasto con i sé emotivi, il sé compassionevole è stato sperimentato come più lento, riflessivo, razionale e ragionato. Il sé compassionevole era anche capace di empatia per le reazioni e le esperienze degli altri sé ed era associato a una “mente e prospettiva più saggia” (Kerry).

Tale empatia era evidente quando i partecipanti riflettevano su fattori contestuali più ampi che spiegavano la presenza e l’intensità delle loro emozioni. Questo includeva la considerazione dei fattori scatenanti della situazione, una comprensione delle esperienze dell’altra persona e un riconoscimento dell’impatto delle relazioni dell’infanzia.

Amy, per esempio, ha identificato che la sua rabbia era diventata così dominante nel corso della sua vita “solo per essere in grado di sopravvivere”. Altri partecipanti hanno scoperto che mettere in relazione le loro emozioni con la loro origine e funzione evolutiva ha aiutato a comprendere e prevedere i loro modelli di pensiero e sentimento:

Sapevo qual era il loro ruolo e potevo usarlo per andare fuori da quello che stava succedendo nella mia testa ed è stato onestamente molto utile” [Alice].

Convalidare le emozioni grazie alla terapia focalizzata sulla compassione

Accompagnare tali intuizioni era una riduzione globale dell’autocritica e della colpa. I partecipanti hanno convalidato le loro emozioni come esperienze umane ‘normali’ e attese, piuttosto che come difetti o problemi personali:

Chiunque si sarebbe sentito allo stesso modo, e mi rendo conto che se avessi visto quello scenario svolgersi con chiunque altro, avrei immediatamente preso le mie parti. Così sono stato in grado di lasciare quel sentimento di rabbia a quella persona e dire “sai cosa, non è mai stata colpa mia”‘ [Kerry]

Nella loro forma personificata, i sé emotivi sono stati trattati con accettazione, cura e sostegno. I partecipanti hanno sperimentato il sé compassionevole come un ruolo di “genitore”. Infatti, hanno equiparato la loro cura per se stessi alla loro relazione con la famiglia o gli amici.

Un affetto genuino è stato anche sentito come i partecipanti hanno espresso il desiderio di “abbracciare”, tenere e calmare i loro sé emotivi. Piuttosto che criticare, evitare o tentare di sopprimere le loro emozioni, i partecipanti hanno suggerito di “formulare una motivazione più forte” (Chris) nel loro sé compassionevole, per accettarle e lavorare con esse in modo “costruttivo” o “sano”.

I partecipanti hanno identificato il sé compassionevole come una forza integrativa che collega e connette insieme le loro varie emozioni. Tale connessione di molteplici filoni di esperienza interna ha creato un senso di coesione e integrità personale:

‘È solo uno, è tutto il sé, tutto combinato insieme’ [Anya]

Il Sé compassionevole come “olistico”

Il sé compassionevole è stato enfatizzato come ‘olistico’ nell’orientamento, e capace di catturare la funzione unificante e gli scopi delle emozioni di minaccia:

Riconoscere che si tratta di tre facce della stessa medaglia, e come si intrecciano e si relazionano tra loro” [Amy]

I partecipanti hanno sottolineato l’importanza di separare e districare le loro emozioni per il sé compassionevole per comprenderle, riorganizzarle e coordinarle in un insieme coerente (Kerry dice: ‘rimettermi insieme’).

Questo senso finale di unità non è stato raggiunto rimuovendo la complessità o la differenza tra le emozioni, ma piuttosto trovando un equilibrio e un bilanciamento per creare una vita più ‘ricca’ e più intenzionale.

Per me si tratta dell’ultimo sé compassionevole che riconosce che tutte queste cose insieme formano un individuo… Combinarle tutte e far sì che tu sia un umano adulto pienamente funzionante, capace di prendere decisioni e di vivere la vita come vuoi tu” [Amy].

Discussione

Questo è il primo studio che indaga l’approccio della Terapia focalizzata sulla compassione ai sensi multipli delle emozioni. Ed è il primo ad esplorare la sua realizzazione attraverso il chairwork (=lavoro sulla sedia). I risultati di un’analisi interpretativo-fenomenologica dell’esperienza dei partecipanti hanno generato tre temi sovraordinati che interagiscono: complessità emotiva, processo di chairwork e integrazione compassionevole.

Insieme, i temi suggeriscono che il chairwork offre meccanismi specifici che facilitano gli obiettivi principali del formato: la differenziazione e l’esplorazione delle emozioni di minaccia e la loro integrazione con la compassione.

Sostenuti dalla struttura di base dell’esercizio, i partecipanti sono stati molto capaci di sperimentare ed esprimere modelli affettivi distinti su ogni sedia. Facendo eco alla letteratura precedente sulle emozioni nella depressione (Greenberg e Watson, 2006), i partecipanti hanno descritto la loro reazione iniziale al ricordo scelto come indifferenziato e globalmente “cattivo”, o come un confuso “miscuglio” e “guazzabuglio” di sentimenti.

Separazione delle emozioni

La separazione delle emozioni ha aiutato a scomporre le reazioni dei partecipanti in “blocchi”. In modo da chiarire le loro parti costitutive per ulteriori analisi e approfondimenti. Mentre forniva un certo grado di organizzazione e di filtraggio, tale differenziazione creava anche un senso di espansione e di possibilità in quanto nuove prospettive e modi di rispondere erano attualizzati, tollerati ed esplorati.

Come ha affermato Gilbert (2020): i modelli affettivi funzionano come “mini-sé” con mentalità discrete, desideri, sentimenti e storie. I partecipanti hanno ben accettato questa nozione di molteplicità del sé. Infatti, hanno sperimentato le loro emozioni come “parti” con diversi caratteri e menti.

Sé emotivi e depressione

I partecipanti si sono sorpresi dalla loro capacità di accedere e verbalizzare la realtà soggettiva di sé emotivi distinti. E hanno riferito esperienze di curiosità e giocosità (“è abbastanza divertente”) per questa nuova capacità.

Le esperienze di cui sopra sono particolarmente notevoli dato il profilo bio-psico-sociale della depressione clinica. La sua sottomissione, l’immobilizzazione e l’associazione con la variabilità della frequenza cardiaca abbassata e la tonalità emotiva limitata (Licht et al., 2008).

La depressione è anche legata a:

  • paure e soppressione delle emozioni (Beblo et al., 2012);
  • difficoltà di identificare e differenziare le emozioni (Demiralp et al., 2012),;
  • problemi di modulazione delle emozioni (Feldman Barrett et al., 2001);
  • inibizione delle risposte di difesa adattive, come una sana assertività o la ricerca di aiuto (Gilbert, 1993).

Anche se il campione attuale è piccolo, i risultati offrono la promessa di impostare un intervento strutturato e ben tollerato per indirizzare questi problemi. L’esercizio sembra generare un apprezzamento della granularità emotiva e una capacità di etichettare gli stati affettivi. Un’opportunità di cambiare le emozioni in rapida successione, e un mezzo con cui avvicinarsi ai sentimenti evitati e all’esperienza interiore. L’esercizio fornisce anche un metodo sicuro per esprimere e “giocare” una serie di risposte di difesa innate: la “lotta” della rabbia, la “fuga” dell’ansia e l’elaborazione adattiva della perdita associata alla tristezza.

Speranze per il trattamento, depressione e gestione delle emozioni

C’è la possibilità che questa attivazione esperienziale delle risposte protettive possa sostenere l’ampliamento del repertorio di coping dei partecipanti e la formazione dei ruoli. Si inverte così il senso di intrappolamento e di sconfitta associato alla depressione (Gilbert e Allan, 1998).

La separazione delle emozioni durante l’esercizio ha anche evidenziato la natura complessa e idiosincratica delle emozioni nella depressione. I partecipanti hanno descritto emozioni specifiche come dominanti o “predefinite”, con l’ansia che era la più prominente. Mentre la tristezza e la rabbia erano più frequentemente descritte come assenti, evitate o “controllate”.

Questo supporta le affermazioni che la depressione non è legata a una singola emozione. Piuttosto “è una sindrome, e spesso l’evitamento dell’emozione principale è un aspetto di questa sindrome” (Greenberg e Watson, 2006; p. 55).

Le emozioni hanno anche dimostrato di essere dinamiche, interattive e conflittuali, con emozioni secondarie che limitano l’accesso alla “radice” primaria del problema. Gli esempi includevano la rabbia per la vulnerabilità associata all’ansia, o la paura e l’evitamento della tristezza legata al lutto.

Partecipanti e reazioni

Le reazioni complesse tra le reazioni di minaccia inter- e intra-personali sono state anche catturate nello spostamento tra fuochi esterni e interni.

Evidenziando i modelli idiosincratici alla base della depressione di un paziente, i terapeuti potrebbero usare l’esercizio dei sé multipli per adattare e individuare il trattamento per un approccio più mirato.

I partecipanti hanno scoperto tali interazioni e conflitti durante il processo dell’esercizio, nelle difficoltà che hanno sperimentato nell’entrare, uscire, tollerare o chiarire emozioni specifiche.

Piuttosto che essere un “problema”, tali difficoltà hanno presentato ai partecipanti un mezzo vivo per identificare e “valutare” il loro profilo individuale di risposta emotiva. I terapeuti che offrono un lavoro di chairwork a più sé possono quindi trarre beneficio dal considerare il metodo sia come intervento che come valutazione. Per cui i blocchi o le complicazioni nel compito sono valutati terapeuticamente per le intuizioni che forniscono al funzionamento più ampio del paziente e alla sua storia di apprendimento.

Questo è parallelo al modo in cui la Terapia focalizzata sulla compassione utilizza la presenza di paure, blocchi e resistenze alla compassione durante l’addestramento della mente compassionevole, vedendoli come una forma di “saggezza intuitiva” che rivela aree chiave di minacce e bisogni personali (Gilbert, 2020).

Mentre le osservazioni di processo potrebbero evidenziare i conflitti emotivi fondamentali nell’esercizio dei sé multipli (ad esempio, il paziente diventa lacrimoso quando si arrabbia), le domande di valutazione per i terapeuti potrebbero anche includere: quali emozioni sono più e meno accessibili?

Lavoro con le sedie nella terapia focalizzata sulla compassione ed emozioni

Quando si accede a un’emozione, le altre si intromettono? Ci sono sequenze distinguibili di attivazione emotiva (per esempio, la tristezza si trasforma in disperazione crollata)? Cosa evitano? Le emozioni si concentrano internamente o esternamente? E, dato quello che sapete delle esperienze di vita del vostro paziente, come hanno senso questi modelli?

I processi di chairwork includono:

  • la separazione di “parti” o voci sulle sedie;
  • l’animazione di tali parti attraverso l’incarnazione o la personificazione;
  • la facilitazione del dialogo tra loro (Pugh e Bell, 2020).

In termini di embodiment (chiedendo al paziente di cambiare posto e diventare la parte) i partecipanti hanno riportato intense esperienze corporee di ogni sé emotivo. I partecipanti hanno elaborato e amplificato tali esperienze nell’adozione di posture corporee associate, toni di voce e gesti.

Come nei precedenti studi di chairwork (Bell et al., 2020a; Bell et al., 2020b), l’embodiment e l’enactment hanno fornito espressioni ed esperienze tangibili di ciascun sé. Li hanno resi “reali” e memorabili. E hanno offerto anche “intuizioni d’azione” nelle loro corrispondenti mentalità e motivazioni (Kellerman, 1992).

I partecipanti potevano letteralmente ‘sentire’ il carattere del sé emotivo nel modo in cui la loro voce suonava. Oppure ‘sentire’ la funzione protettiva del sé arrabbiato nel suo impulso di ‘spaccare’ e attaccare.

Incarnare parti del sé e partecipare a spunti propriocettivi, offre quindi un nuovo accesso a fonti implicite di informazione. E mette in evidenza modalità “dal basso verso l’alto” di elaborazione delle informazioni (Kashdan e Farmer, 2014; Michalak et al., 2012).

Lavoro con le sedie ed esperienza corporea

L’interazione dinamica tra corpo e mente è stata anche utilizzata, intenzionalmente, sia per lasciare che per entrare negli stati del sé. “Scrollarsi di dosso” ogni ruolo tra una sedia e l’altra, mentre si coltivavano (attraverso i cambiamenti di postura, espressione e respirazione) le condizioni biologiche e affettive favorevoli alla compassione (Gilbert, 2010).

Quando si lavora con l’esercizio dei sé multipli, i clinici possono quindi beneficiare dell’intuizione che “l’espressione motoria può intensificare l’emozione congruente, ma anche smorzare altre emozioni” (Greenberg e Watson, 2006; p. 88).

La pratica del chairwork, di muoversi tra le sedie per separare la connessione e il contatto con ogni sé è stata utile, in particolare per i partecipanti che si sentivano ‘stagnanti’ e bloccati in una singola ‘posizione’.

I partecipanti hanno vissuto la procedura fisica di alzarsi e allontanarsi dalla sedia come uno spostamento simbolico e psicologico dell’essere, un passaggio intenzionale da un ruolo a quello successivo.

Fenomenologicamente, i partecipanti sperimentavano ancora il sé precedente come saldamente ‘parcheggiato’ sulla sedia precedente, il che ha portato a una riduzione dell’intensità affettiva.

Questo processo di separazione e de-centramento è proposto come un meccanismo d’azione chiave per il chairwork (Pugh, 2017). E si collega alla letteratura sull’immersione e il distanziamento che suggerisce che la flessibilità tra le prospettive e l’elaborazione in prima persona (ego-centrica) e in terza persona (osservatore) può essere benefica nel trattamento dei pazienti con depressione (Barbosa et al., 2020).

Cambiamenti

Il cambiamento concreto e incarnato nella prospettiva ha fornito una nuova visione riflessiva del problema (il mondo interno visto ‘dall’esterno’). Con complesse relazioni interne mappate nello spazio in una forma gestibile. Data l’importanza data allo ‘spazio’, alla ‘posizione’ e alla ‘distanza’, un’innovazione all’esercizio potrebbe includere adattamenti dei metodi sociometrici dello psicodramma (Cruz et al., 2018). Per cui le relazioni tra le emozioni possono essere rappresentate ed esplorate alterando la vicinanza, la disposizione e l’ordine delle sedie.

L’esercizio ha anche beneficiato della personificazione delle emozioni, e l’immaginario spontaneo generato quando si guarda indietro a una sedia vuota. Come identificato in precedenti ricerche sul chairwork (Bell et al., 2020b), tali immagini hanno aumentato l’esperienza di un incontro dialogico. Hanno creato così un focus “faccia a faccia” per lo scambio relazionale.

Nel rappresentare i segnali sociali di sofferenza, l’immaginario personificato dei sé emotivi è stato particolarmente favorevole alla compassione, consentendo l’applicazione di abilità e risposte socio-relazionali che i partecipanti di solito riservano agli ‘altri’ (come i loro amici o membri della famiglia).

Questo comportava capacità di empatia e mentalizzazione, tenendo conto dei fattori situazionali e delle cause, così come sentimenti di connessione simpatica e un impulso a regolare ogni sé con il tocco fisico. L’immaginazione non è un compito di processo esplicito nell’esercizio dei sé multipli, ma i clinici possono trarre beneficio dall’incoraggiare le rappresentazioni immaginarie di ogni emozione per aggirare i blocchi tipici dell’autocompassione.

Come evidenziato nell’esercizio, la minaccia sociale e il sentirsi minacciati possono portare a risposte stereotipiche segregate e conflittuali (ad esempio, lotta, fuga o congelamento) e “in casi estremi, disintegrazione e dissociazione” (Gilbert, 2017; p. 35).

Effetti della terapia focalizzata sulla compassione

Al contrario, la compassione può fornire esperienze di sicurezza sociale e cura che “permette l’integrazione di sistemi intrinsecamente disparati e segregati” (Gilbert, 2017; p. 35).

Poiché la compassione nasce dall’evoluzione della cura interpersonale e dell’attaccamento (Gilbert, 2015), è associata all’effetto del dare e ricevere cura sulla regolazione di una serie di processi neurobiologici che sono favorevoli all’impegno sociale, alla flessibilità psicologica e all’integrazione (Keltner et al., 2014; Porges, 2011).

Si ritiene che la compassione “riorganizzi la mente” e crei una mentalità che si concentra sulla comprensione empatica e sul sostegno (Gilbert e Choden, 2013). L’esercizio dei sé multipli dimostra come una tale mentalità basata sulla cura potrebbe relazionarsi esternamente, tracciando una distinzione tra il suo orientamento pro-sociale e i modelli disparati di pensiero e sentimento generati dai sé emotivi.

Internamente, il sé compassionevole ha dimostrato di operare come un “aspetto della mente che forma le relazioni” (Gilbert, 2017; p. 62). Assume così una posizione premurosa e “genitoriale” verso vari aspetti del sé in difficoltà.

Il sé compassionevole è visto funzionare in questo modo genitoriale e agire come “base sicura” interna e “porto sicuro” da cui costruire il coraggio di impegnarsi nuovamente con aspetti impegnativi della propria vita, come le proprie emozioni (Gilbert, 2020).

Il sé compassionevole era anche associato a un senso di rallentamento e alla capacità di essere ragionato, riflessivo e “saggio”. Tale saggezza si traduceva in intuizioni evolutive e di sviluppo più ampie integrate dalla psico-educazione e dalla formulazione della Terapia focalizzata sulla compassione (Gilbert, 2010).

Queste includevano un apprezzamento della funzione evolutiva e del ruolo protettivo di ogni emozione. E il modo in cui erano state plasmate nel corso della vita dell’individuo.

Il ruolo della compassione

Queste intuizioni hanno agito per togliere la vergogna e de-personalizzare la presenza e l’intensità delle emozioni dei partecipanti. Hanno fornito così anche una cornice esplicativa per capire, accettare e prevedere i modelli di pensiero, sentimento e motivazione.

Nel catturare la comune funzione protettiva delle emozioni-minaccia, la compassione ha creato un grado di coerenza personale e un senso di riorganizzazione e coordinamento dei “mattoni” dell’esperienza differenziata in un insieme equilibrato.

Kolts (2016) suggerisce che il sé compassionevole funziona come un “capitano della nave“. Ha il ruolo “sovraordinato” di navigare le tempeste della vita mentre si prende cura delle emozioni come se fossero passeggeri allarmati.

Questa metafora fa eco a quella usata da un partecipante che ha sperimentato l’ansia al ‘posto di guida’ della sua vita. Come identificato dai partecipanti, il beneficio di dare al sé compassionevole questo ruolo di guida centrale non è quello di negare o sopprimere le emozioni-minaccia. Ma di costruire una “motivazione più forte” con cui accettare e lavorare con esse per un obiettivo comune.

Limiti dello studio sulla terapia focalizzata sulla compassione

Nonostante i benefici riportati dai partecipanti, lo studio ha una dimensione limitata del campione e pone una serie di domande senza risposta. Come ad esempio se l’intervento crei qualche cambiamento empirico nella riduzione dei sintomi o nelle misure di differenziazione o regolazione emotiva (ad esempio Licht e Chabot, 2006).

Non è nemmeno chiaro se tali benefici siano mantenuti nel tempo. E se la struttura possa essere utilizzata contemporaneamente dai pazienti in presenza di un fattore di stress.

La differenziazione emotiva è associata a:

  • una maggiore capacità di comprendere e navigare il proprio mondo interno;
  • calibrare risposte sociali utili ai fattori di stress interpersonali (Feldman Barrett et al., 2001; Gohm, 2003).

La ricerca futura può quindi concentrarsi sulla valutazione dei legami specifici tra differenziazione emotiva e flussi di compassione.

I partecipanti hanno particolarmente enfatizzato il ruolo del chairwork nel facilitare il quadro dei sé multipli.

I metodi alternativi (come le rappresentazioni sulla lavagna bianca) non sono stati testati.

Dato il contesto della pandemia di COVID, potrebbero essere sviluppati e valutati degli adattamenti digitali del chairwork a sé multipli per assicurare il mantenimento delle sue qualità e processi unici, consentendo al contempo un maggiore accesso al metodo.

Articolo liberamente tradotto e adattato. Fonte: Bell, T., Montague, J., Elander, J., & Gilbert, P. (2021). Multiple emotions, multiple selves: Compassion focused therapy chairwork. The Cognitive Behaviour Therapist, 14, E22. doi:10.1017/S1754470X21000180

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