Essere psicologi del lavoro oggi

Essere psicologi del lavoro oggi

Ciao, mi sono appena laureato e vorrei lavorare come psicologo del lavoro. Hai dei libri da consigliarmi per avvicinarmi alla professione?”

Mi hanno chiesto di fare una selezione in un’azienda, quali test utilizzo?”

Devo fare un intervento formativo di tre ore sullo stress, come lo progetto?”

Queste sono alcune delle domande che giornalmente ricevo dai giovani colleghi. Ed è comprensibile perché diciamo la verità, non sempre quando usciamo dall’Università o dal tirocinio abbiamo quelle competenze pratiche che ci permettono di muoverci operativamente su terreni aziendali.

Questo non necessariamente per colpa delle Università o delle sedi di tirocinio. Dal mio punto di vista quello che manca è la condivisione. Di cosa chiederete voi? Prima di tutto di linee guida.

Chi si avvicina alla psicologia del lavoro, e non solo a quella purtroppo, raramente ha delle linee guida di riferimento a cui appoggiarsi. Spesso si ha a che fare con professionisti più anziani che hanno sviluppato il loro metodo…ma è il loro metodo! Altre volte impariamo a conoscere e a lavorare con un certo tipo di target (ad esempio fare formazione agli insegnanti sullo stress) ma non ci vengono dati strumenti e linee guida per avvicinarsi ad altri tipi di target. Così la formazione e la crescita professionale/personale viene lasciata all’iniziativa dei singoli giovani professionisti che devono scegliere quale strada intraprendere in un ginepraio di corsi, master, perfezionamenti ecc.

Ma come reagiscono gli esseri umani all’incertezza (dai che la sapete)? Esatto! Proprio con quell’ansia lì che abbiamo ritrovato su decine di libri (alla faccia di chi pensa che siccome siamo psicologi siamo estranei da qualunque tipo di disagio!).

A me l’ansia è venuta tante volte quando mi immaginavo a progettare un assessment, preparare un corso di formazione o progettare un colloquio di selezione. Banalmente perché non sapevo dove cercare, non sapevo a chi chiedere e quando sapevo a chi chiedere, raramente ricevevo due informazioni coerenti l’una con l’altra. Non so voi ma personalmente sento tanta gente andare in supervisione nella clinica (io per prima) ma andare in supervisione quando siamo psicologi del lavoro è quantomeno più raro.

Quando ci sentiamo in ansia e inadeguati, lo sapete, si chiude il campo percettivo, perdiamo di vista i nostri bisogni, guardiamo a noi stessi in modo distorto, sviluppiamo pensieri catastrofici e, nel caso specifico, corriamo il rischio di muoverci più in funzione di ciò che pensiamo possa essere approvato dall’esterno (il modo del lavoro, le aziende ecc) piuttosto che in funzione di ciò che vogliamo/sappiamo fare. Con il risultato che più che costruire la nostra identità professionale accumuliamo titoli, consigli e competenze in cassette degli attrezzi che si riempiono sì, ma in modo disordinato, frammentato e che, spesso, non ci fermiamo a guardare o a mettere in ordine.

Se mi posso permettere di dare un consiglio ai giovani colleghi, fate lo sforzo di fermarvi e capire prima di tutto cosa volete fare voi, chi siete e chi volete essere. Già, perché fare lo psicologo del lavoro non vuol dire solamente accumulare titoli (sfera del sapere) o essere capaci di mettere in piedi una selezione, saper fare colloqui, saper fare una giornata d’aula ecc (saper fare); vuol dire prima di tutto essere psicologi…essere capaci di riconoscere i nostri bisogni e quindi quelli degli altri, vuol dire essere capaci di mettersi in ascolto senza colludere, vuol dire riuscire ad osservare e formulare ipotesi, vuol dire stare nel vissuto di impotenza senza cedere alla tentazione di dare consigli, vuol dire essere capaci di essere centrati su di sé, capire quali sono i nostri limiti e i nostri desideri. (il saper essere).

Poi, chiaramente è importante anche puntare sul sapere e sul saper fare ma in funzione anche delle aree in cui ci sentiamo più comodi; esaminando ciò che ci viene trasmesso con senso critico e un occhio su di sé.

Personalmente mi piacciono i test psicologici, mi incuriosiscono, mi interessa approfondirli quando c’è qualcosa di nuovo e in funzione di questo mi sento comoda nell’utilizzarli. Inizialmente avevo più difficoltà, invece, nell’osservazione di dinamiche di gruppo perché mi prendeva l’ansia di perdere i pezzi; così cercavo strategie per farmi affiancare, chiedevo feedback. Mentre fare analisi dei dati su analisi dei dati per scrivere report sullo stress lavoro-correlato mi piace decisamente meno.

Ho accettato di farlo ma dandomi un tempo, consapevole che non poteva essere la mia principale area di lavoro.

Si capiscono con il tempo e con l’esperienza queste cose, è vero, però vi consiglio davvero di entrare in questo ordine di idee per non perdervi di vista come psicologi, come psicologi del lavoro e, soprattutto, come persone.

Il 26 Marzo partirà il mio corso su:

test assessment organizzativoL’uso dei test nell’assessment organizzativo

In questo corso, verrà affrontato il tema della costruzione dell’assessment aziendale ponendo il focus sulla scelta dei test e di come questi si inseriscano nei diventi percorsi di valutazione.

Parleremo quindi, non solo di test diversi ma anche di come gli stessi test possano avere funzione diversa in percorsi di assessment diversi.

Ti aspetto in aula ;)

Luisa Fossati

 

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