Alessitimia e sessualità: quando l’emozione non ha voce

Psicologa, psicoterapeuta, sessuologa clinica. Consigliera dell’Ordine degli Psicologi del Lazio e coordinatrice del Gruppo di Lavoro Psicologia e Sessualità. Socia fondatrice della Società It...
Alessitimia e sessualità

 

Non si vede bene che con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi.”

(Antoine de Saint-Exupéry, 1943)

Con questa frase la Volpe salutò il Piccolo Principe nell’opera di Antoine de Saint-Exupéry (1943) dopo avergli insegnato l’importanza di coltivare, alimentare e nutrire i propri sentimenti. Ciò che i nostri sensi ci comunicano, non solo viene memorizzato e meccanicamente elaborato nella nostra mente, ma il più delle volte viene filtrato dalle nostre emozioni per aiutarci a leggere gli eventi della vita e per farci cogliere anche gli elementi più piccoli che distinguono le nostre giornate.

Quante volte, però, abbiamo ascoltato frasi come “Non riesco a spiegarti cosa provo”, “Non so perché sono diventato rosso” o ancora “Non capisco perché te la prendi così”. Dare un nome alle proprie emozioni o comprendere lo stato d’animo dell’altro sembrano processi estremamente naturali e spontanei al punto che è difficile immaginare che per qualche persona possa essere impossibile metterli in atto.

Eppure, a volte, esprimere a parole ciò che si prova può risultare estremamente faticoso. In alcuni casi è la paura o l’ansia a limitarci in tali espressioni, altre volte, invece, vi è una radicata e profonda incapacità della persona a riconoscere e verbalizzare il proprio vissuto emotivo.

In questi casi l’individuo si trova costretto a guardare il mondo solo con gli occhi della ragione, incapace di interpretare un tremore come indice di paura, un rossore come simbolo di vergogna o di rabbia, e una lacrima come espressione di dolore o di gioia.

Non saper dar voce e comprendere con il cuore ciò che invece è “visibile agli occhi” racchiude il soggetto in un limbo emozionale, in cui all’incapacità di interpretare il proprio mondo interno si accosta, in modo prepotente, un raffreddamento relazionale esterno, fatto solo di agiti e pensieri. Questa condizione, i cui effetti sulla sessualità sono facilmente intuibili, è meglio conosciuta con il termine di “alessitimia”.

Ovviamente, accanto a situazioni in cui questa chiusura emotiva è fortemente generalizzata, si possono accostare casi in cui tale difficoltà si presenta in modo più o meno pervasivo, magari circoscritta unicamente ad uno o più settori specifici della propria vita. Tra questi spicca ovviamente quello della sessualità, già di per sé fortemente intriso di passioni, sentimenti travolgenti ed emozioni tra loro contrastanti, in cui la presenza di tale disregolazione può bloccare il normale processo di elaborazione emotiva che accompagna le fasi fisiologiche della risposta sessuale, concorrendo all’insorgenza di specifiche disfunzioni.

Pillole di storia

A partire dagli anni ’40, all’interno del settore della medicina psicosomatica, numerosi autori, tra cui Ruesch e Mc Lean, iniziarono a notare che i pazienti affetti dalle classiche malattie psicosomatiche e da patologie croniche manifestavano, all’osservazione clinica, uno specifico pattern comportamentale caratterizzato da difficoltà ad esprimere verbalmente e simbolicamente gli affetti, da uno stile di pensiero tendente alla passività e dalla presenza di fantasie primitive e stereotipate. Nel 1963, sempre in riferimento a tali peculiarità, Marty e de M’uzan, dell’Ecole Psychosomatique de Paris, coniarono il termine pensèe operatoire (pensiero operatorio) per descrivere il tipico pensiero orientato all’esterno individuato nella loro esperienza clinica con i pazienti fisicamente malati, e iniziarono ad ipotizzare l’esistenza di una specifica personalità psicosomatica.

Bisognerà aspettare ancora un decennio perché nel panorama scientifico internazionale faccia finalmente la sua comparsa il termine “alessitimia”, coniato nel 1973 da Sifneos del Beth Israel Hospital di Boston e consacrato ufficialmente nel 1976 alla XI European Conference on Psychosomatic Resarch di Heidelberg.

Ma la visione dell’alessitimia come di una categoria nosografica legata in modo esclusivo al campo della psicosomatica è andata radicalmente evolvendosi negli ultimi decenni, grazie in particolar modo alla costituzione, negli anni ’80, del cosiddetto Gruppo di Toronto, un nucleo di ricerca canadese composto da Graeme J. Taylor (psicoanalista), R. Michael Bagby (esperto di psicometria) e James D.A. Parker (psicologo clinico). Favorito dal radicale cambiamento di prospettiva che si andava evolvendo all’interno della medicina psicosomatica, che vedeva il passaggio da una riduttiva visione della malattia organica ad eziologia psicologica ad un’interpretazione circolare che tenesse conto del costante interscambio tra psichico e somatico, il Gruppo di Toronto ha proposto un’apertura nella prospettiva teorica del costrutto, prevedendo la possibilità di indagare l’alessitimia indipendentemente dalla ristretta nicchia dei disturbi psicosomatici.

Cos’è l’alessitimia?

Il termine alessitimia o alexitimia deriva dal greco (“a-” mancanza, “lexis” parola e “thymos” emozione) e si può tradurre letteralmente con l’espressione «non avere le parole per le emozioni».

Più in generale con questo termine si è soliti descrivere le persone caratterizzate da una generale difficoltà ad esprimere i propri sentimenti, una scarsa capacità di fantasticare e uno stile comunicativo che può risultare noioso e incolore.

Essi descrivono le proprie esperienze o i propri vissuti come se fossero spettatori più che attori della propria vita, focalizzandosi sui dettagli e sulla cronologia degli eventi, senza dare la sensazione di esserne emotivamente coinvolti.

Ma per comprendere al meglio il nucleo basilare del costrutto dell’alessitimia è fondamentale riportare una distinzione concettuale fra emotions (lett. emozioni) e feelings (lett. sentimenti).

Le emozioni (emotions) possono essere definite come fenomeni biologici innati, geneticamente programmati, funzionali alla sopravvivenza della specie e basati su segnali non-verbali come la mimica facciale, la gestualità, la postura corporea e il tono vocale. Rappresentano, fondamentalmente, la componente biologica dell’affetto. I sentimenti (feelings), invece, sono fenomeni psicologici individuali molto più complessi, poiché implicano un’elaborazione personale dell’individuo. Questi permettono di dare un senso alla risposta emotiva a stimoli esterni ed interni, e di comunicare intenzionalmente quanto si sta provando mediante il linguaggio e la gestualità simbolica (es. sorriso).

Partendo da questa fondamentale distinzione, possiamo affermare che la persona alessitimica non è un individuo senza emozioni, ma un soggetto con scarsa o nessuna possibilità di ricorrere a strumenti psicologici, quali immagini, fantasie e pensieri, per poterle rappresentare.

Questa condizione, comunque, non può essere considerata come un fenomeno del tipo “tutto o nulla” ma come un costrutto che si estende lungo un continuum secondo l’idea che individui diversi possano presentare aree alessitimiche diverse.

Quali rischi per la sessualità?

Alcuni elementi possono aiutarci a comprendere la correlazione esistente tra questi due costrutti, apparentemente differenti tra loro.

In primis, l’importanza della dimensione emotiva e cognitivo-immaginativa nella sessualità umana, duramente compromessa nell’alessitimia, è oggi comunemente riconosciuta come fondamentale per il benessere della persona, al punto che nella definizione della World Health Organization la salute sessuale viene descritta come uno stato di benessere fisico, emotivo, mentale e sociale legato alla sessualità, e non semplicemente come un’assenza di malattia, disfunzione o infermità (2002).

Inoltre, di fondamentale importanza per una percezione ed un vissuto più positivo delle proprie esperienze sessuali, è la qualità della relazione interpersonale con il partner, fortemente compromessa nelle relazioni alessitimiche.

Infatti l’abilità a stabilire e mantenere una relazione soddisfacente richiede, inequivocabilmente, un’abilità nell’identificare le emozioni e una capacità di apprezzare e modulare i sentimenti propri ed altrui.

Non è raro assistere a situazioni in cui, pur agendo un conflitto nella coppia, la persona non sia in grado di definirsi arrabbiata o delusa, al punto da essere percepita dal partner come assente, distante o non interessata alle dinamiche di coppia. Il soggetto alessitimico può essere descritto dal partner come egoista e sfuggente, aumentando, di conseguenza, la frustrazione dell’altro che si sente ingiustamente privato di attenzioni e intimità.

Ad oggi sono pochi gli studi che indagano specificatamente il ruolo dell’alessitimia nell’ambito più circoscritto delle disfunzioni sessuali, anche se nella pratica clinica l’evidente correlazione tra i due costrutti è piuttosto frequente. Alla luce dei risultati emersi in letteratura è lecito ipotizzare che l’alessitimia contribuisca, a vari livelli, all’origine, al mantenimento e al grado di severità delle disfunzioni sessuali. Non potendo rilevare, comunque, un rapporto di causalità lineare tra i due ambiti, è possibile affermare che l’alessitimia rappresenta un importante fattore di rischio per l’insorgenza, il mantenimento e la gravità di alcuni disordini sessuali – in particolare il Disturbo del Desiderio Sessuale, la Disfunzione Erettile, l’Eiaculazione Precoce e l’Anorgasmia – non solo influenzando l’atteggiamento del soggetto di fronte alla difficoltà, ma inibendone le capacità di gestione all’interno della relazione di coppia.

Esistono differenze di genere?

La risposta è sì! Numerosi studi hanno sottolineato una maggiore incidenza dell’ alessitimia nell’universo maschile.

Una possibile causa della presenza di maggiori livelli di tale costrutto negli uomini piuttosto che nelle donne può essere spiegata anche tramite la differente natura dei messaggi culturali, denominati “sexual scripts”, che agiscono come linee guida nel comportamento sessuale.

L’attenzione maschile alla performance (agency), che si contrappone storicamente alla maggiore competenza emotiva attribuita al mondo femminile (communion), è conseguenza di un’atavica educazione all’indipendenza, alla forza e alla ristretta espressione emozionale. L’acquisizione del potere richiede, ad esempio, che l’uomo sopprima i propri bisogni e rifiuti di ammettere o di riconoscere il proprio dolore, mentre nella donna l’espressione dei propri sentimenti è incoraggiata fin dai primi mesi di vita come indice di sensibilità ed empatia.

La differente costruzione dell’identità di genere maschile e femminile, con i conseguenti mandati culturali ad essa associati, può fornire un’interessante ed importante chiave di lettura delle manifestazioni alessitimiche nei due generi.

Come intervenire?

Lavorare con i pazienti alessitimici può risultare, come facilmente immaginabile, di notevole difficoltà ma non per questo impossibile. Nella maggior parte dei casi non è il singolo a rivolgersi ad uno specialista, proprio a causa della sua incapacità di individuare gli effetti della sua condizione, ma la coppia, in cui il partner si fa portavoce di una frustrazione generale spesso verbalizzata con espressioni tipo “non riesco ad entrare in contatto con lui”, “io piango e lui è lì che mi guarda come se niente fosse”, “quando facciamo l’amore lui è presente fisicamente ma è come se non ci fosse davvero”.

Instaurare relazioni terapeutiche focalizzate unicamente sull’introspezione e sulla consapevolezza emotiva può generare un senso di frustrazione tanto per l’utente quanto per il clinico. Invece, un approccio che integri a processi di alfabetizzazione emotiva anche interventi più strutturati (quali le fantasie guidate, le tecniche di rilassamento, l’ipnosi e il training autogeno) può indurre una maggiore aderenza del soggetto al percorso, rinforzando la consapevolezza delle proprie emozioni corporee e il legame tra queste e gli eventi ambientali.

Per approfondimenti

Borsci G., Boccardi M., Rossi R., Rossi G., Perez J., Bonetti M., Frisoni G.B. (2009), “Alexithymia in healthy women: a brain morphology study”, Journal of Affective Disorders, 114: 208-215.
Caretti V., La Barbera D. (a cura di), (2005), Alessitimia. Valutazione e trattamento, Astrolabio, Roma.
Grabe H.J., Schwahn C., Barnow S., Spitzer C., John U., Freyberger H.J., Schminke U., Felix S., Volzke H. (2010), “Alexithymia, hypertension, and subclinical atherosclerosis in the general population”, Journal of Psychosomatic Research, 68: 139-147.
Humphreys T.P., Wood L.M., Parker J.D.A. (2009), “Alexithymia and satisfaction in intimate relationship”, Personality and Individual Differences, 46: 43-47.
Marty P., de M’uzan M. (1963), “La pensèe opèratoire”, Revue Francaise de Psychanalyse, 27: 1345-1356.
Mattila A.K., Saarni S.I., Alanen E., Salminen J.K., Kronholm E., Jula A., Sintonen H., Joukamaa M. (2010), “Health-related quality of life profiles in nonalexithymic and alexithymic subjects from general population”, Journal of Psychosomatic Research, 68: 279-283.
Mc Lean P.D. (1949), “Psychosomatic disease and the visceral brain: recent developments bearing on the Papez theory of emotion”, Psychosomatic Medicine, 11: 338-353.
Mezzich J., Hernandez Serrano R. (a cura di) (2006), Psychiatry and sexual health: an integrative approach, World Association of Psychiatry, New York.
Michetti P.M., Eleuteri S., Giuliani M., Rossi R., Simonelli C. (2013), “Delayed ejaculation and alexithymia: what is the relationship?”, F1000 Research, 2: 81.
Ruesch J. (1948), “The infantile personality”, Psychosomatic Medicine, 10: 134-144.
Scimeca G., Bruno A., Pandolfo G., Micò U., Romeo VM. et al. (2013), “Alexithymia, negative emotions, and sexual behavior in heterosexual university students from Italy”, Archives of Sexual Behavior, 42(1): 117-127.
Sifneos, PE. (1973), “Alexithymia: past and present”, The American Journal of Psychiatry, 153(7): 137-142.
Taylor G.J., Bagby R.M., Parker J.D.A. (1997), Disorders of affect regulation: alexithymia in medical and psychiatric illness, Cambridge University Press, Cambridge, (tr. it. I disturbi della regolazione affettiva, Fioriti, Roma, 2000).
Wise, TN., Osborne, C., Strand, J., Fagan, PJ. & Schmidt, CW. (2002), “Alexithymia in patients attending a sexual disorder clinic”, Journal of Sex and Marital Therapy, 28(5): 445-450.
World Health Organization (2002), Defining sexual health: report of a technical consultation on sexual health, WHO Press, Ginevra.

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0 thoughts on “Alessitimia e sessualità: quando l’emozione non ha voce

  • daniela says:

    finalmente dopo quasi ben 3 anni , grazie a questo articolo ho capito il mio compagno, e ora che devo fare, io sono sul punto di non farcela piu’
    aiuto..

    • cara Daniela, mi sa che siamo in tante in questa situazione…mio marito non mi sfiora neanche..per lui il massimo della vita è leggere un libro sul divano in compagnia
      Simona

  • ortensia says:

    bell’articolo.. e interessante !!! grazie per i suggerimenti delle strategie terapeutiche da utilizzare.

  • Francesca Scalzo says:

    bellissimo e interessante articolo su una problematica che spesso non viene focalizzata ,purtroppo molto diffusa nelle problematiche sessuali e relazionali della coppia…

  • margherita marra says:

    Convinta della differenza tra emozioni e sentimenti, ho trovato molto utile evidenziare detta differenza che a tutti i livelli (cerebrale, mentale e fisiologico) si evidenzia con una netta differenza di produzione chimica che va ad aumentare o meno la produzione neurale del cervello

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