Nel infortunio sportivo gli aspetti psicologici giocano un ruolo importante nelle fasi successive e influenzano il recupero.
La carriera sportiva implica un rapporto con il proprio corpo assai complesso, per un atleta professionista, di fatto, è il principale strumento di lavoro. Portare al limite il proprio corpo per anni implica un’usura assai più veloce rispetto a chi fa una vita sedentaria o pratica attività fisica modesta.
In ogni caso il pericolo di un infortunio è in agguato sia per chi pratica sport sia per tutte le persone che hanno una vita priva di attività fisica.
Partendo dal presupposto che nessuno sportivo è immune dalla possibilità di infortunarsi; è un’evenienza che fa parte della normalità dello sport di prestazione e potremmo dire che non esiste atleta che nella sua carriera, in misura minore o maggiore, non ci si sia confrontato almeno una volta.
In questo ambito c’è un importante filone di studio legato alla psicologia dello sport che approfondisce da decenni le implicazioni psicologiche legate all’infortunio: si va dai casi di gravi infortuni ai dolori cronici, ovviamente la maggior parte delle ricerche riguarda atleti, ma negli anni si sono cercate correlazioni interessanti tra stili di vita, stati emotivi e momenti dell’esistenza con problematiche di infortuni fisici. Questo filone di studio in passato è stato spesso sottovalutato in virtù della credenza che il trauma fisico riguardasse prettamente aspetti medico-riabilitativi.
Approfondendo gli aspetti psicologici degli sportivi infortunati possiamo soffermarci al senso d’identità atletica della persona e al suo grado di investimento nell’attività, ed è tanto maggiore quanto più gli atleti sono coinvolti in maniera esclusiva nello sport praticato, sperimentando la maggior parte della propria identità, efficacia e autostima solo in quest’ambito (Mitchell et al., 2005).
L’infortunio è un evento multifattoriale, di tipo bio-psico-sociale, e necessita di un approccio olistico e multidisciplinare, comprensivo sia delle funzioni fisiche sia dei fattori emotivi e cognitivi.
Il suo essere fuori dalla logica di attesa e prevedibilità lo rende davvero incisivo per chi si trova ad affrontarlo.
Le reazioni principali sono quelle di smarrimento, rabbia, tristezza, senso di colpa (verso se stesso o terze persone), paura, non accettazione dell’accaduto, chiedersi costantemente se e quando sarà possibile ritornare ad una vita sportiva “normale” ad un ritorno “sicuro” all’attività, ma anche la possibilità di abbandono dello sport praticato, di compromissione del normale funzionamento negli studi, sul lavoro o nelle relazioni interpersonali. Queste risposte fanno parte del nostro modo di reagire ad un cambiamento inaspettato e variano molto a seconda della personalità dell’atleta, della gravità dell’infortunio (in particolar modo per come viene percepita), dal periodo agonistico nel quale accade (così come il ruolo che magari quell’atleta sta rivestendo o la fase di carriera sportiva che vive) e dall’esperienza (il fatto che sia o meno il primo infortunio o che vi sia esperienza di recidività).
Quando si parla di analisi psicologica di un infortunio si può fare una distinzione in tre fasi temporali: la fase acuta di post-infortunio, la fase di riabilitazione e la fase di ritorno allo sport. (Conti, Di Fronso, Bertollo, 2015).
Ognuna di queste tre fasi ha numerosi risvolti psicologici che influenzano il recupero nella quotidianità nell’attesa del ritorno all’attività. (Bernardi, in press)
La fase post-infortunio
Nella fase acuta post-infortunio le emozioni sono molto intense, lo shock iniziale è solo l’inizio di un processo emozionale ed è spesso accompagnato da paura, rabbia e smarrimento.
Queste emozioni sono spesso inserite in un contesto cognitivo di pensieri catastrofici (es. non tornerò più all’attività).
Questa fase è stata approfondita in psicologia da due principali filoni di studio, i modelli di risposta al dolore (Hardy e Crace, 1990) che vedono l’infortunio come una forma di perdita e i modelli di valutazione cognitiva (Cognitive appraisal models), secondo i quali le risposte emotive e comportamentali all’infortunio sono dettate dalle valutazioni cognitive e dalle soggettive interpretazioni: queste sono mediate da fattori personali e situazionali ed influenzano il modo in cui si fronteggia lo stress derivante dalla situazione (Ardern et al., 2015).
La fase di riabilitazione
Nella fase di riabilitazione le emozioni negative molto forti sperimentate dall’atleta nella fase acuta dell’infortunio si riducono progressivamente con l’inizio della riabilitazione (Johnson, 2000) ri-accentuandosi, talvolta, nel momento in cui si avvicina il rientro all’attività, principalmente per le preoccupazioni di un re-infortunio e l’incertezza di quello che potrebbe succedere.
In questa fase la condizione psicologica è legata alla perdita di identità come atleta e la difficoltà maggiore è cambiare obiettivi e mantenere un livello di fiducia accettabile nel recupero pieno delle proprie abilità.
La parola chiave in questa fase è “aderenza”, di fatti, maggiore sarà l’aderenza al programma riabilitativo, maggiore sarà la probabilità di tornare alla condizione pre-infortunio.
La spinta maggiore all’aderenza al programma è di certo la motivazione intrinseca dell’atleta, che va rafforzata costantemente durante questa delicata fase.
La fase di ritorno allo sport
Nella fase del “ritorno allo sport” lo stato di prontezza fisica e quello di prontezza psicologica non sempre coincidono; nonostante l’avvenuto recupero sul piano fisico, infatti, una percentuale piuttosto ampia di atleti (30-60%), non è in grado di riprendere l’attività con le stesse potenzialità e prestazioni precedenti l’infortunio (Ardern, Webster, Taylor e Feller, 2013). Ciò dipende da numerosi fattori, sia fisici come la gravità della lesione, sia psicologici come la predominanza della paura del ritorno in campo.
Il recupero non implica, dunque, solo la guarigione dal punto di vista fisico. I fattori psicologici, infatti, hanno un peso notevole e influenzano, direttamente o indirettamente, la natura, l’efficacia e la qualità della gestione immediata dell’infortunio, del percorso riabilitativo e del successivo ritorno allo sport (Podlog et al., 2014).
Lo psicologo in questo quadro generale ha una funzione specifica, in particolare il confronto periodico con lo staff sanitario può aiutare notevolmente il percorso di guarigione dell’atleta a partire dall’assesment delle dimensioni psicologiche post-infortunio ad interventi diretti e indiretti nelle diverse fasi del recupero con interventi informativi, educativi, tecniche di ristrutturazione cognitiva e self talk, goal setting, imagery e l’utilizzo di strumenti come il biofeedback.
Attraverso le tecniche psicologiche che fanno parte del background dello psicologo dello sport l’atleta avrà dei vantaggi notevoli su due aspetti fondamentali, la motivazione e l’aderenza al protocollo di recupero.
Di seguito riporto 2 tra i primi casi clinici studiati dagli psicologi dello sport negli anni 80, questi esempi sono emblematici di quanto la collaborazione tra medici e psicologi sia importante nel cogliere aspetti della personalità dell’atleta amatoriale legata all’infortunio.
Caso clinico 1 (Deutsch, 1985)
Il signor Y
Il signor Y, 42 anni richiede una consulenza ortopedica per un dolore lieve e intermittente al ginocchio sinistro.
Si è lamentato del fatto che il dolore a volte fosse acuto e ha dichiarato che si è verificato regolarmente per tutto l’anno passato.
L’esame obiettivo rivelò una certa tenerezza lungo la linea di giunzione mediale anteriore e i raggi X erano essenzialmente normali.
Il signor Y ha riferito di aver giocato a calcio due volte a settimana.
Era preoccupato di continuare questa attività che era importante per lui e
ha anche espresso preoccupazione per la possibilità di cedimento del ginocchio durante l’attraversamento della strada.
Il medico notò che il signor Y. era molto agitato e preoccupato.
Rimase così anche dopo che gli fu assicurato che poteva continuare a giocare a calcio e la possibilità di un crollo fosse remota.
Il signor Y sembrava insoddisfatto delle risposte del medico, anche se era chiaro che comprendeva gli aspetti tecnici del problema. Il medico si sentiva frustrato nel trattare con questo paziente e si chiedeva se potesse fare di più.
Dopo la consultazione, il signor Y. ha chiamato lo studio medico diverse volte ed è tornato il mese successivo per un’altra visita. Dopo che la discussione rivelò che la situazione non era peggiorata, il medico menzionò come gli infortuni sportivi, sebbene non gravi da un punto di vista fisico, potessero causare preoccupazione mentale a qualcuno e suggeriva di
vedere qualcuno con cui discutere di questo da un punto di vista psicologico.
Il signor Y. rimase in psicoterapia orientata psicoanalitica per 26 mesi. L’infortunio con la sua ansia ha dimostrato di essere l’antipasto nei problemi della sua transizione di mezza età. La sua preoccupazione per sapere se sarebbe stato in grado di continuare a giocare a calcio era un riflesso del problema più profondo riguardo a quale soddisfacente stile di vita avrebbe potuto portare con sé nella sua età adulta (Erikson, 1963).
Commento
La partecipazione allo sport era un mezzo importante per esprimere in modo accettabile sentimenti aggressivi e un’importante rituale sociale. Il calcio era una delle poche attività in cui si sentiva vivo anziché solitario e irreggimentato.
Poteva liberarsi dalla sua esistenza legata al dovere ed essere più spontaneo nel contesto del gioco. In breve, era un’attività che aveva servito bene questo individuo e che desiderava molto continuare nella sua vita.
L’esplorazione dell’infortunio e i suoi sentimenti di vulnerabilità hanno portato a Mr.
Y a vivere la sua paura della morte. Come un individuo vigoroso e in
salute era in grado di difendersi contro la sua mortalità partecipando alle attività sportive.
La ferita in questo fragile stadio della vita rendeva accessibili le sue paure.
Riconoscere e comprenderle attraverso la terapia ha ridotto
l’ ansia e liberato l’energia che era stata legata nella preoccupazione inconscia.
Il signor Y si rese anche conto che il suo apprezzamento per lo sport era, in parte, perché si trattava di un’attività strutturata in cui le regole erano chiare. Ha scoperto che l’ambiguità era difficile per lui anche in molti altri aspetti della sua vita. Questo riconoscimento lo ha portato a capire alcune situazioni difficili e apportare modifiche. Nel complesso si sentiva più libero e più flessibile.
Caso clinico 2 (Deutsch, 1985)
Il signor Z
Il signor Z, un affascinante commesso di 34 anni, venne visitato da un medico per una distorsione alla caviglia gravemente infortunata mentre giocava a racquetball.
(Il racquetball è uno sport simile allo squash, giocato con racchette e una palla di gomma vuota all’interno, su un campo speciale).
Era visibilmente preoccupato di giocare nell’imminente torneo di club e informò il medico che il suo infortunio non lo avrebbe tenuto fuori dalla competizione, rassicurando il medico che sarebbe andato tutto bene, gli disse di non preoccuparsi e disse che avrebbe portato a casa il suo trofeo.
Il medico preoccupato da questa risposta inappropriata ha ritenuto che l’infortunio sia stato causato dal fatto che il paziente abbia spinto troppo forte in campo, probabilmente perché aveva problemi a casa.
Il medico suggerì un tipo di trattamento psicologico e il signor Z decise di vedere un terapeuta.
Mr. Z andò da un terapeuta e il suo acuto stress situazionale fu alleviato. Durante questo periodo il signor Z. vide che i suoi bisogni nello sport erano in linea con i bisogni fondamentali in altre aree della sua vita.
Commento
Il signor Z scoprì che era nella fase della vita in cui stava cercando di sviluppare la sua esperienza lavorativa e di farsi un nome nel mondo professionale. Era importante per lui avere uno status nella comunità e vedeva il suo successo negli affari e nello sport come mezzo per raggiungerlo.
Il suo bisogno di fare bene nel torneo era legato a rafforzare il suo status sociale.
Vincere era un modo per ottenere elogio e un mezzo di arrampicata sociale.
Una volta che fu in grado di riconoscere pienamente questo, fu in grado anche di soddisfare i suoi bisogni in modi più realistici e sostenibili.
Conclusioni
In ciascuno di questi casi la lesione sportiva era parte di problemi più ampi che causavano difficoltà ai pazienti. La lesione ha un significato speciale nella situazione di vita dell’individuo. I segnali interpersonali suggerivano che la preoccupazione e l’ansia dei pazienti andavano al di là di quanto ci si potrebbe aspettare per le lesioni della natura presentata.
In questi casi il significato psicologico della lesione potrebbe essere tracciato concentrandosi sul tipo di personalità dell’individuo, sullo stadio dello sviluppo della vita e sulle specificità della lesione.
Nel primo caso il paziente ha presentato un carattere con sindrome ossessiva. Continuava a fare domande, era teso, preoccupato e non era soddisfatto delle risposte.
La principale preoccupazione del signor Y qui non era vincere, ma essere in grado di continuare a giocare.
La ripetitività e la regolarità della partecipazione erano elementi cruciali per quest’ uomo. Temeva che la ferita avrebbe seriamente ostacolato la sua capacità di mantenere uno stato di attività continua e diretta; una componente importante del suo modo di essere.
Nel secondo caso, il signor Z è presentato come un tipo narcisistico.
Era molto interessato a vincere la gara, era affascinante e negava il suo infortunio quando l’estensione della ferita divenne evidente.
La principale preoccupazione psicologica di quest’uomo era quella di vincere e migliorare la sua autostima.
Non avrebbe ottenuto la soddisfazione psicologica di cui aveva bisogno dalla mera partecipazione. Il suo bisogno di ricompense e riconoscimenti di vincita lo ha portato a distorcere la realtà negando il messaggio del medico che lo considerava eccessivamente ferito per giocare.
Ha cercato di portare il medico nel suo sistema difensivo “offrendo di mostrargli il trofeo.”
Bibliografia
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Conti, C., Di Fronso, S., Bertollo, M. (2015)Caratteristiche psicologiche correlate alle diverse fasi di recupero dall’infortunio sportivo: revisione critica della letteratura . Giornale Italiano di PSICOLOGIA DELLO SPORT N° 24, 2015).
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Ardern, C. L., Taylor, N. F., Feller, J. A., & Webster, E. K. (2013). A systematic review of the psychological factors associated with returning to sport following injury. British Journal of Sports Medicine, 47,1120-1126.
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Podlog, L., Heil, J., & Schulte, S. (2014). Psychosocial factors in sports injury rehabilitation and return to play. Physical Medicine and Rehabilitation Clinics of North America, 25, 915-930. doi:10.1016/j.pmr.2014.06.011
Deutsch R. (1985) The psychological implications of sports related injuries. Int. J. Sp. Psy., 16:232-237, Ed. Pozzi, Roma, Italia.
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