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Etnopsi – Scuola di Psicoterapia etno-sistemico-narrativa

La Scuola Quadriennale di Psicoterapia ad Indirizzo Sistemico-Relazionale e Orientamento Etno-Sistemico-Narrativo è l'unica Scuola riconosciuta in Italia ad applicare questo orientamento.

La Scuola fornisce una specializzazione sia per il lavoro psicoterapeutico con le famiglie, con gli individui ed i gruppi, attraverso il classico approccio sistemico-relazionale; sia per il lavoro etnopsichiatrico, particolarmente indicato nei contesti in cui le migrazioni e la creolizzazione della società richiedono nuovi strumenti di comprensione, tanto per il lavoro con i migranti, quanto per quello con gli "autoctoni".

INDIRIZZO TEORICO

L'orientamento etno-sistemico-narrativo

La narrazione e il racconto sono territori da esplorare per continue rinascite e metamorfosi che, specie nelle migrazioni, possono essere incompiute e laceranti (Nathan).

Le trasformazioni obbligate minano l'integrità psichica mentre la narrazione espleta una funzione terapeutica e preventiva in quanto riesce a introdurre un movimento in situazioni apparentemente bloccate, ripetitive e patologiche.

Un quesito centrale per la terapia sistemica si chiede quali siano le storie, tra le tante che vengono narrate, che meritano un'attenzione particolare, come si interviene per trasformarle? (Telfener).

Modificare le narrazioni significa introdurre un cambiamento nelle premesse che generano il disagio.

La teoria e la tecnica etnopsichiatriche (Devereux, Nathan) si pongono nei confronti della narrazione e racconto del proprio percorso biografico in modo da sottolinearne il carattere di holding della sofferenza: uno strumento per ricollocare gli eventi in un ordine e in una costellazione dotati di senso.

L'Etnopsichiatria si occupa della salute mentale degli altri, dei migranti.

Nell'esperienza migratoria, specie se forzata e accompagnata da eventi traumatizzanti, il racconto e la memoria possono costituire un valido momento di ri-organizzazione dei progetti e dei desideri a lungo termine, spesso bloccati o spezzati.

E' proprio la pratica del racconto che consente di co-costruire assieme al paziente, e al gruppo etnopsichiatrico, il significato della violenza migratoria, controllandone così i possibili effetti devastanti e le crisi reiterate che non trovano possibilità di contenimento.

La pratica del racconto e la co-costruzione dei significati offre al terapeuta e al migrante la possibilità di utilizzare il rituale come dispositivo.

Tale dispositivo consente di ripensare lo sradicamento e il trauma che ne è derivato non in isolamento, ma nel contesto della narrazione, favorendo il restauro di uno sguardo sul mondo sociale e culturale delle persone.

La salute mentale del migrante e la sua psiche si avvantaggiano gradualmente della capacità di realizzare una storia di sé coerente e probabile, che tenga conto delle molteplici connessioni di senso che legano i mondi personali e culturali, nel paese di arrivo e nel paese di provenienza.

La narrazione tiene dunque conto di queste molteplici connessioni e definizioni di realtà, includendo mondi visibili e invisibili, rituali del paese di origine per mettere il paziente in una posizione di vantaggio nei confronti del paese di accoglienza, e del viaggio migratorio.

In questa esplorazione il racconto permette di incontrare eventuali incidenti psicopatologici, alleanze, oggetti feticci ecc.

Quando questi incontri si sono realizzati è possibile parlare di "narrazione terapeutica" nel senso che il significato della migrazione viene creato nel racconto stesso tramite la "narrativizzazione" della migrazione, dove l'azione del soggetto prende forma (in seguito i valori culturali e le relazioni sociali del paese di accoglienza collocheranno l'individuo e il suo personale percorso migratorio all'interno di riferimenti etici locali).

Questo approccio tiene conto delle contaminazioni tra Psicoanalisi, Antropologia, Etnologia, Psicologia clinica.

L'orientamento etno-sistemico-narrativo (Losi) ne rappresenta uno sviluppo in senso sistemico-relazionale ed una specificazione.

La Scuola offrirà gli strumenti per distinguere le narrazioni vitali, generate dalla condizione migrante, da narrazioni stereotipate, che pur rivelando il bisogno diffuso di individuazione in una struttura narrativa, conducono solo a isolamento regressivo.

Tale distinzione è cruciale per la comprensione di due "realtà narrative" con fini opposti: da un lato il proliferare dello "storytelling", dell'uso cioè delle storie a fine pubblicitario per suscitare il consenso al consumo o a determinate idee politiche; dall'altro le narrazioni mosse da una spinta liberatoria, cioè quegli 'atti narrativi' relativi e relazionali, animati da autenticità, che aprono alla complessità anziché ridurla e consentono gradi di libertà maggiore rispetto ai vincoli che irretiscono nel desiderio altrui.

Differenziare le narrazioni strumentali - che restringono gli spazi di libertà, immaginazione e pensiero - da quelle liberatorie e creative portatrici di senso, richiede un lavoro attento.

Anche l'attaccamento alla propria 'storia', l'aspetto rivendicativo insito in molte dinamiche di identificazione, può a sua volta 'chiudere' una storia anziché aprirla a un'esperienza più piena della vita.

L'approccio etno-sistemico-narrativo intende rivelare queste contraddizioni e aprire verso storie che le curano.

Corsi di perfezionamento:  la scuola organizza corsi annuali di perfezionamento in pratiche e terapie interculturali nella migrazione. Inoltre, per strutture pubbliche e private, organizza attività di formazione ad hoc misurate a partire dai bisogni e dalle competenze specifiche.

Nel Polo Clinico, aperto presso la sede di Roma, dove si riceve solo per appuntamento, vengono svolti: psicoterapie individuali e con famiglie, supervisioni di casi clinici, supporto ad associazioni e strutture pubbliche e private che si occupano del disagio psicologico. Le attività del Polo sono rivolte anche a migranti e richiedenti asilo insieme ai quali l’orientamento etno sistemico-narrativo in terapia risulta essere molto efficace.