Gioco, Personalità E Sviluppo Del Bambino

Dottoressa Roberta Cappelluti, nata a Roma il 04/05/1989. Laureata dal 2012 in Psicologia dinamico-clinica dell'infanzia, dell'adolescenza e della famiglia, dal 2018 lavora presso il Ministero della S...
gioco bambino

Atleti e non sportivi: personalità a confronto

Alcuni studi in Psicologia dello Sport, evidenziano la differenza fra la personalità degli atleti e quella dei non sportivi. Pur non differenziandosi sul piano psicodinamico, l’atleta presenta l’accentuazione di alcuni tratti caratterologici legati sia a fattori motivanti, sia all’influenza dei vissuti ludico-agonistici e dell’ambiente.

Prendendo in esame le variabili psicologiche nei diversi sport, si osserva che:

  • l’importanza di alcune motivazioni considerate secondarie, rispetto ad altre, può influenzare la scelta di un particolare sport fin da bambino;
  • la pratica costante ed intensa di una disciplina porta al rafforzamento di alcune abilità psicologiche e di alcuni aspetti della personalità;
  • l’interiorizzazione dei modelli di comportamento di un dato ambiente sportivo induce delle modificazioni periferiche nell’Io del giovane atleta, contribuendo a stereotipare modi di agire, atteggiamenti, valori, opinioni, ecc.

Tutto ciò non è comunque sufficiente per definire una relazione rigida tra disciplina sportiva praticata e profilo di personalità. L’atleta, infatti, quando inizia la pratica di uno sport, possiede già una propria struttura di personalità, costituitasi durante l’infanzia e la prima adolescenza in un particolare contesto socio-familiare. Inoltre lo sport, pur essendo un momento privilegiato nella vita di un giovane, concorre al completamento formativo del carattere, insieme con tante altre esperienze.

La scelta di una o l’altra disciplina può avvenire non solo come conseguenza del volere e delle motivazioni del giovane, ma in relazione alle opportunità offerte dal contesto socio-sportivo in cui egli vive.

 

Il ruolo della motivazione

Sulla gestione della fatica, accanto a sesso, età, costituzione, salute, allenamento, agiscono anche fattori non legati necessariamente ad un meccanismo fisiologico di natura biochimica. Questi possono essere legati all’estrazione sociale, al profilo della personalità, alle motivazioni, alla noia, alla monotonia, ossia, tutti elementi che incidono sulla sensazione di affaticamento e sulla sopportazione.

Ogni individuo agisce sulla base di un’educazione sociale che lo indirizza in maniera positiva o negativa nello svolgere un’attività. Nel mondo sportivo queste spinte assumono un’importanza notevole poiché giocano su elementi tipici della personalità dell’atleta, quali il desiderio di compensare ed elevare talune inferiorità o potenzialità del suo carattere. Per esempio, in un contesto ludico, la stanchezza si associa ad una condizione piacevole derivante dal compimento di un lavoro svolto che genera soddisfazione.

Altri fattori quali monotonia o noia ad esempio, affrettano e aggravano la condizione di fatica, in modo da renderla talvolta insopportabile anche quando i livelli richiesti sono obiettivamente bassi. Si dice infatti che la soglia di affaticamento è strettamente condizionata dall’interesse per l’azione. Ciò che viene fatto per “dovere” affatica molto più di quello che viene fatto per “piacere”. Se le necessità e le aspirazioni più profonde di un atleta non vengono soddisfatte, il lavoro sportivo agisce come frustrazione, venendo quindi ad essere eseguito senza la necessaria spinta d’interesse e di fine.

Esiste poi l’affaticamento di tipo psichico in cui, difronte a normali situazioni sportive, l’individuo reagisce con inadeguata drammaticità e partecipazione e si sente incapace di superare la prova. In conseguenza di tale situazione, il soggetto può sentirsi privato di ogni energia come se fosse affaticato e pertanto inibito a competere secondo le proprie potenzialità.

 

Il gioco come funzione strutturante della personalità del bambino

Il gioco, insieme con l’agonismo è una delle motivazioni fondamentali dell’atleta ed è anche una delle attività in grado di gratificare maggiormente gli individui.

Numerosi sono gli autori che nel corso degli anni si sono espressi in merito al tema del gioco. Mitchell e Mason dicono: “Per i bambini il gioco è una questione di vitale importanza”. Platone suggeriva che la vita deve essere vissuta come un gioco. Steel, autore di una grossa raccolta di testi sul gioco, dichiara: “Il gioco è un modo di vivere, è un’autentica espressione di vitalità, le sue radici toccano gli strati più profondi dell’esistenza”. In effetti giocando ogni individuo riesce a liberare la propria mente da contaminazioni esterne, quale può essere il giudizio altrui, e ha la possibilità di scaricare la propria istintualità ed emotività.

Nel linguaggio corrente la parola “gioco” indica un’attività gratuita, più o meno fittizia che procura un piacere di tipo particolare. Questa attività è anche chiamata ludica, termine che deriva dal latino ludus = gioco.

Il gioco è significativo per lo sviluppo intellettivo del bambino, perché il bimbo, quando gioca, sorprende se stesso e nella sorpresa acquisisce nuove modalità per entrare in relazione con il mondo esterno. Nel gioco il bambino sviluppa le proprie potenzialità intellettive, affettive e relazionali.

A seconda dell’età, il bambino nel giocare impara ad essere creativo, sperimenta le sue capacità cognitive, scopre sé stesso, entra in relazione con i suoi coetanei e sviluppa quindi l’intera personalità.

 

Il gioco favorisce nel bambino:

  • lo sviluppo cognitivo;
  • lo sviluppo affettivo;
  • lo sviluppo sociale.

Al di là delle diverse correnti di pensiero, risulta evidente come il gioco è altamente significativo per la crescita del bambino, poiché svolge una funzione strutturante dell’intera personalità. Il gioco ha un alto valore evolutivo, perché stimola cognitivamente il bambino e permette l’accesso al suo mondo interiore.

Il coinvolgimento del soggetto che gioca, nel contesto della società moderna, passa dalla funzione motoria, poiché il gioco implica una forza che costringe il soggetto a muoversi e a non lasciarsi travolgere dalla inattività o inazione, alla funzione ludica che ha la caratteristica del piacere. Oggi tutti i documenti internazionali attestano il diritto al gioco del bambino, motivato da esigenze e implicazioni di ordine fisiologico, psichico, spirituale e sociale e proclamato come bisogno prevalente e vitale dell’infanzia basato sul riconoscimento della pienezza umana in ogni fase della vita.

Numerosi psicologi sociali, che hanno applicato le loro tecniche di osservazione alla pedagogia, hanno osservato che i bambini apprendono di più quando si tiene conto delle loro motivazioni e delle loro tendenze.

L’apprendimento, la maturazione cognitivo-affettiva, la socializzazione sono obiettivi pedagogici raggiungibili soltanto quando passano attraverso le motivazioni del bambino e il suo modo di fare esperienza. Il mondo del bambino acquista significato e valore se è vissuto come gioco.

 

Roberta Cappelluti

 

Riferimenti bibliografici:

Guidi A., La funzione del gioco dal bambino all’età adulta, Edizioni ETS, Pisa, 2013;

Antonelli F. e Salvini A., Psicologia dello Sport, Edilmbardo, Roma, 1987

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