Il comportamento alimentare di un papà ed una mamma, all’ interno della propria famiglia, determina un tipo di educazione alimentare che sarà la prima esperienza con il cibo per il bambino.
È risaputo ormai che tale esperienza, positiva o negativa, influenzerà il significato che il bambino assocerà al cibo stesso comportandosi di conseguenza nelle successive fasi di vita.
Questo articolo nasce con l’intento di mettere al centro della famiglia il bambino come protagonista della sua alimentazione, a partire da un buon sostegno genitoriale, nel periodo del passaggio dall’ allattamento allo svezzamento del proprio figlio: un gap esistente nella storia alimentare di una persona. Momento spesso cruciale, per i genitori, carico di stress, confusione e troppe credenze popolari da sfatare. Questo è solo uno dei motivi per cui la competenza dello psicologo alimentare unita a quella psico educativa sono determinanti nel sostenere questo vuoto; nel ridonare fiducia in sé come genitori e nelle capacità del proprio neonato e bambino, capace di autoregolarsi nei suoi bisogni fisiologici ed accogliere il nuovo naturalmente. Attraverso l’ascolto e l’osservazione, noi psicologi dobbiamo poi trasferire informazioni corrette rispetto alle effettive capacità del lattante ed al comportamento alimentare più idoneo in questo momento da parte di quella famiglia, così da ripristinarne il benessere. Allo stesso tempo, invitare i genitori a rivolgersi ad un consulente per l’allattamento e ad un pediatra attento alla fisiologia per rassicurare sugli aspetti legati alla nutrizione e adattamento del bambino. Ma ciò che è più importante, riorganizzare in famiglia, in modo molto semplice, le abitudini alla tavola e l’approccio al cibo perché il bambino si inserisca bene nel sistema alimentare quotidiano della famiglia e non ne rimanga isolato.
Per questo bisogna partire da alcune semplici riflessioni sullo svezzamento, non come momento tecnico fatto di “prescrizioni mediche” ma come momento evolutivo di cambiamento che altro non è che la conseguenza ed il continuum delle fasi precedenti ed il passaggio ai successivi momenti di autonomia del bambino.
Rappresenta, inoltre, una importante evoluzione nel rapporto con tutti e due i genitori e nella costruzione della fiducia in sé del bambino, grazie alla conquista di nuove abilità. Ad esempio, lasciar che il piccolo manipoli delle morbide patate, se le porti alla bocca o tenga in mano un cucchiaino, sono comportamenti esplorativi da sostenere da parte dei genitori con atteggiamenti verbali e non, capaci di trasmettere serenità e sicurezza perché il bambino sperimenti con fiducia il nuovo. Giocare con il cibo e odorarlo, in questa fase, è molto più importante che mangiarlo perché questo momento passi come una esperienza positiva per il bambino che ripeterà e ripeterà l’esplorazione finché inizierà a farlo con più coscienza e assaggiando con più gusto. Quindi fornire ai genitori semplici indicatori di “prontezza” nel bambino per l’assaggio (come, saper masticare ogni cosa con le sole gengive o dentini, la vivace curiosità motoria alla vista del cibo, saper “dire di no” con la testa) e suggerire buoni atteggiamenti da adottare e altri da tralasciare (come rimproverarlo o punirlo perché si sporca o non finirà il piattino) permetterà loro autocontrollo e padronanza della situazione senza che neanche il figlio si stressi. È auspicabile che il genitore assaggi e mangi con il proprio bimbo perché egli ne prenda confidenza con fiducia.
Parole chiavi per il nostro operato? Due per quanto ci riguarda: Fiducia nel bambino e Naturalezza.
In questa delicata fase sarà necessario per i genitori liberarsi del giudizio altrui e delle tipiche frasi di cui sono investiti: “Ora come farai a svezzarlo se allatti? Tuo figlio ha bisogno di sostanza”. Mai di più sbagliato e brutale da dire! E ancora “Il mio sputava tutta la minestra; se mangia da solo si sporca”. Si potrebbe rispondere subito ad una di queste affermazioni che un bambino, se svezzato troppo presto e quando non è certo lui a chiedercelo, ha un riflesso di suzione talmente accentuato, come a 3, 4 mesi, che tenderà per questo a tirar fuori il cibo dalla bocca con la lingua.
Madri e padri ci raccontano anche con quel linguaggio del corpo, un po’ sotto pressione, la loro storia come genitori ed i loro timori, specialmente se alla prima esperienza ed è importante invitarli a riflettere su quanto sono stati bravi sino ad ora e che anche i primi approcci graduali al cibo fanno parte di quel processo di conoscenza e sperimentazione tra genitori e bambino con una differenza: dal sesto mese circa in poi, la relazione ha una notevole marcia in più. Ciò è fondamentale perché il bambino si fidi dei genitori se saranno loro i primi a fidarsi dei suoi ritmi e richieste di cibo, esattamente come è nella richiesta di latte materno. Ansia e preoccupazioni sono, infatti, riferite dai genitori principalmente su due aspetti: il tempo in cui introdurre il cibo solido nell’alimentazione del bimbo e quale il nutrimento migliore per sua crescita. Soprattutto per le mamme che desiderano continuare ad allattare al seno, andando frequentemente in crisi; come la continua ricerca di ulteriori latti di crescita o vaccino in seguito all’allattamento artificiale. Non ci rimane difficile capire come ciò mette in luce un problema di comportamento e culturale. Riportando ai genitori quanto sancito dalle linee guida sullo svezzamento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ed altri organi competenti, il sesto mese è generalmente indicato come inizio di svezzamento perché un bimbo sia anche psicologicamente “pronto” ma ciò non è una regola da seguire né significa che il bambino non debba essere più allattato al seno. Al contrario, l’oms suggerisce di continuare l’allattamento al seno nel secondo semestre di vita in concomitanza con gli assaggi di cibi diversi dal latte materno. Aggiungendo, che nel caso di allattamento artificiale bisogna evitare la tentazione di aggiungere nel biberon biscotti o creme nel latte anche nei primi mesi e di aspettare possibilmente il 6° mese per lo svezzamento, procedendo secondo linee guida generali analoghe a quelle valide per il bambino allattato al seno. Anche la Dichiarazione Ufficiale de la Leche League International riporta: “Il fatto che madre e bambino continuino il rapporto di allattamento al seno mentre il bambino si svezza è un segnale di rapporto emotivamente sano”. Come, ad oggi sempre più sostenuto da diversi pediatri. Per semplificare si possono chiarire ai genitori queste due fasi:
La prima è l’introduzione di alimenti semi e solidi. La seconda, a conclusione dello svezzamento, è la graduale cessazione del rapporto di allattamento al seno.
Educare le famiglie allo svezzamento, definito anche naturale, significa tener conto dei tempi del bambino e delle sue preferenze perché egli sia incoraggiato con fiducia ad auto svezzarsi. È il bambino a determinare un bisogno di modifica delle proprie abitudini ed orari non solo alimentari. Quando il genitore è consapevole di ciò che offre da mangiare al proprio figlio, ad esempio, predilige l’acquisto di prodotti già fatti e pronti all’uso; oppure compra frutta e verdura fresche, pesce e cereali per poi prepararli e cuocerli in modo semplice ed appropriato all’età, adatterà il proprio comportamento e stile di vita in funzione dei bisogni evolutivi del bambino e di tutta la famiglia di conseguenza. Ciò influirà positivamente su una nuova autoregolazione familiare.
Un’attenzione particolare va soprattutto alle donne e agli uomini che tendono ad utilizzare farmaci facilmente, prodotti o integratori per l’alimentazione poiché è ipotizzabile che anche per lievi problemi di sonno, fisici o al pianto, adottino soluzioni non del tutto adeguate al bambino.
Nell’ottica della prevenzione dei disordini alimentari nell’infanzia non possiamo non considerare che uno dei problemi è proprio la mancanza di risposte adeguate al bambino e l’incapacità del genitore di cogliere il segnale di fame e sazietà nel figlio (del resto lo sostenne la Hilde Bruch già dal 1973). Mentre, perseverando con atteggiamenti e credenze del tempo, “se non mangia sta male o se sta bene mangia tanto” si banalizzando chiari segnali e facciamo sì che l’infante superi tale abilità di autoregolazione, finendo per mangiare e consumare più del suo fabbisogno. Il Dott. Della Grave, sostiene infatti la tesi che è proprio in famiglia che si creano condizioni favorevoli per lo sviluppo dell’ obesità. Centralità della famiglia è anche uno degli aspetti messi in luce dalle ultime linee guida canadesi per la prevenzione dell’obesità in infanzia ed adolescenza, assieme all’ importanza di un intervento multidisciplinare.
Ci rendiamo conto quanto è importante intervenire precocemente sulla prevenzione dei disturbi alimentari, non solo a partire dalla primissima infanzia educando i genitori stessi, ma a partire dal sostegno genitoriale per l’alimentazione in gravidanza ed allattamento, in rete con ostetriche ed esperti appositamente formati.
Bibliografia:
La Leche League Italia, “Svezzamento, passo dopo passo”, Roma, 200
Piermarini, “Io mi svezzo da solo”, Bonomi Editore, Pavia, 2008.