Quella che vedi nella foto sulle mie gambe è Julia ed è con me da appena una settimana.
È una gattina molto allegra e vivace. In una settimana ha imparato tante cose: a riconoscere dov’è la lettiera e dove sono le ciotole con cibo e acqua, ad esempio. Ogni giorno ha preso confidenza con una stanza diversa della casa: tre giorni fa ha imparato ad arrampicarsi – e a cadere! – sulla libreria e giusto ieri a nascondersi dietro le porte delle stanze per tendermi degli agguati. Ha anche imparato dove dormo e a venirmi a svegliare nel cuore della notte. Ha imparato, più o meno, a non morsicare i fili del pc, ma quelli delle cuffie sono ancora irresistibili per lei. Ma so che imparerà. E imparo anche io tanto da lei.
Mi assicuro che Julia abbia sempre la ciotola di acqua e cibo ben fornita: non le lascio mai vuote. E Julia mangia quanto ne vuole e lascia il resto. Julia non fa scorpacciata di tutto quanto le capiti a tiro e segue il suo istinto: mangia con gioia, gioca, si arrampica e mi tende agguati con allegria e poi, distrutta, crolla in un lungo sonno, solitamente sulle mie gambe. È tutto molto naturale: nessuno le dice quando è ora di mangiare, di giocare o di dormire. Lo fa e basta. Ed è il ritratto della felicità: agile, in forma e felice.
Cosa ho io in comune con Julia?
Io e Julia abbiamo tante cose in comune: ci piace giocare insieme, ci piace la pulizia e ci piace riposare vicine. Ma abbiamo una cosa ancora più incredibile in comune: siamo entrambi mammiferi. E, in quanto tali, abbiamo un istinto innato riguardo a molte cose, fra cui l’alimentazione. In particolare, il nostro ipotalamo ci manda segnali per indicarci che è ora di introdurre un po’ di calorie e che è possibile o meno fare un po’ di moto. E tutto questo, senza che nessuno ce lo abbia insegnato.
Un esperimento degli anni ’30 [Davis, C.M. (1939) Results of the Self-Selection of Diets by Young Children. Canadian Medical Association Journal 41 (1939): 257-261] ha messo in evidenza che bambini con età compresa fra i 6 e gli 11 mesi osservati per una settimana ai quali veniva offerta una varietà di cibo sul vassoio, mangiavano un appropriato numero di calorie con una distribuzione adeguata fra i vari nutrienti, come se fossero guidati da un nutrizionista interiore. Un esperimento del 2000 [Rolls, B.J., Engel, D., Birch, L.L. (2000) Serving Portion Size Influences 5-Year-Old But Not 3-Year-Old Children’s Food Intakes. Journal of the American Dietetic Association 100; 232-234] ha mostrato che i bambini di 3 anni mangiano una quantità appropriata di pasta al formaggio da una porzione molto ampia… mentre i bambini di 5 anni tentano di mangiarla tutta!
E qui veniamo alle differenze!
Cosa ho di diverso da Julia?
Oltre al pelo e alle fusa? Beh, a me non piace masticare i cavi elettrici (in realtà non so… dovrei provare!), non mi piace arrampicarmi sulle tende (ma anche questo devo provarlo!) e, soprattutto, ho una neocorteccia più sviluppata. Il che è un bene, ma potrebbe, talvolta, non esserlo. Questa zona, che negli esseri umani è molto più complessa rispetto a quella di qualsiasi altro mammifero, ci permette di essere capaci di funzioni di ordine superiore, come la memoria di lavoro, il ragionamento, il comportamento esplorativo e l’intelligenza complessiva. Tutte belle cose: è ciò che fa di noi degli esseri evoluti.
Eppure talvolta riusciamo, con le nostre “funzioni superiori”, ad interferire in maniera negativa in atti semplici e che sarebbero del tutto naturali se lasciassimo fare alla “Julia che è in noi”: mangiare, ad esempio!
Siamo capaci di disconnetterci totalmente dalla nostra esperienza alimentare, lavorando con la mente mentre mangiamo con il corpo: ecco che, ad esempio, mangiamo e guardiamo la TV. Se, mentre Julia mangia, le sventolo un topino di pezza davanti agli occhi, Julia farà sicuramente una delle due seguenti cose:
- A: mi ignorerà e continuerà a mangiare
- B: lascerà il cibo per dedicarsi alla “caccia al topo”
Non farà entrambe le cose contemporaneamente: beata lei!
Noi, invece, mentre mangiamo facciamo miriadi di cose, proprio grazie alla neocorteccia: guardiamo un film, controlliamo le e-mail, parliamo con qualcuno, lavoriamo al PC o, semplicemente, vaghiamo con la mente. Questo ci allontana dalla nostra saggezza interiore, ovvero da quell’istinto primordiale che ci dice esattamente quando cominciare a mangiare e quando smettere, senza che ce lo imponiamo o che lo avvertiamo come qualcosa di faticoso.
Come mai ci siamo distaccati così tanto dal mammifero che è in noi?
Perché, come se non bastasse, siamo anche capaci di immaginare ciò che pensano gli altri, ciò che piace agli altri, le reazioni degli altri quando ci vedono, compresi i loro giudizi. E questo ci condiziona. Condiziona le nostre convinzioni rispetto all’aspetto che vogliamo avere, alla forma che pretendiamo il nostro corpo abbia. E, di conseguenza, ci imponiamo un certo comportamento alimentare e/o un certo livello di allenamento. Ecco che mangiare, correre e saltare non sono più attività naturali e piacevoli, legate alla nostra natura, ma diventano un qualcosa di artefatto, difficile, che richiede un manuale di istruzioni (esempio: programma alimentare).
Cosa possiamo fare per ritornare ad essere mammiferi felici, naturalmente sani e in forma?
Ritrovare la Julia che è in noi e, in quanto psicologi, insegnare ai nostri pazienti e clienti a fare altrettanto. È il regalo più bello che possiamo fare a chi confligge col cibo e con il peso e la forma corporea.
La Mindful Eating insegna esattamente a fare questo: a riconnetterci con il proprio corpo e a mangiare con consapevolezza, guidati dalla nostra saggezza interiore e non da un manuale di istruzioni a cui attenerci.
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Teresa Montesarchio
Psicologa, Psicoterapeuta TCC
Lifetime Member The Centre for Mindful Eating