Riconoscere i segni dell’Escalation della Violenza

Psicologa Clinica e Psicoterapeuta Gruppoanalista. Socia fondatrice del Centro Prima – già CAM Roma – di cui è Responsabile dell'Area Comunicazione. Presso il Centro Prima si occupa dell'acco...
riconoscere i comportamenti violenti

I comportamenti violenti, anche quelli più esplosivi, sono sempre preceduti e annunciati da alcuni segnali che si può imparare a cogliere, a riconoscere, a pensare.

 

Purtroppo spesso viene pubblicizzata l’idea che l’agito violento corrisponda ad una sorta di raptus improvviso e imprevedibile: questa rappresentazione della realtà è falsa e pericolosa perché favorisce il perpetrarsi di un atteggiamento di noncuranza nei confronti di un fenomeno che invece può essere rilevato, arginato e trattato per tempo, noi riscontriamo con buoni risultati.

 

Le fasi di transizione di vita sono eventi da monitorare

Cominciamo col dire che più i rapporti sono fondati su incastri rigidi più le persone soffriranno per adattarsi a fronte dei cambiamenti che costellano la vita. Immaginiamo il cambiamento come un evento sismico e la relazione come la casa che viene colpita: solo le costruzioni antisismiche resteranno in piedi, grazie alla loro elasticità, alla capacità di tollerare le oscillazioni e le vibrazioni senza spezzarsi.

Nascite, separazioni, matrimoni, lutti, traslochi, perdita o cambio di lavoro, invecchiamento e molto altro ancora sono fasi di transizione di vita che, come dei terremoti, perturbano l’equilibrio dinamico personale e relazionale, richiedendo una certa capacità di riorganizzazione e di ricostruzione.

C’è chi riesce a cogliere il cambiamento come un’opportunità di crescita; ma ci sono anche persone con un’identità fragile che saranno particolarmente a rischio di cedimento in questi momenti delicati.

Le identità fragili o insicure sono il risultato di storie più o meno comuni, più o meno violente: chi è cresciuto in collegio, o dai nonni, chi ha avuto genitori assenti, chi subiva violenza, chi figlio di un genitore depresso o alcolizzato, chi aveva un’opportunità che gli è stata proibita, chi non è stato valorizzato, chi si confrontava con un modello genitoriale troppo elevato e non si sentiva all’altezza.

Queste storie fanno sentire scarti, espulsi, inadeguati a stare al mondo, condizione presente non come consapevolezza, ma come un grande dubbio angosciato che si affaccia ogni qual volta si debba affrontare una prova, un cambiamento.

Dunque, per alcune persone più che per altre, le fasi di transizioni di vita – richiedendo dei cambiamenti organizzativi sostanziali – configurano situazioni di aumento del rischio di agire violenza, in quanto il disequilibrio che necessariamente va attraversato viene vissuto come una minaccia al proprio valore.

Il racconto vittimistico: segno inequivocabile del rischio

Abbiamo osservato nella pratica clinica come, in un rovesciamento delle aspettative, l’autore di violenza racconti spesso il partner come qualcuno animato da una volontà distruttiva nei suoi confronti: l’uomo si sente svalutato, non desiderato, frustrato, invisibile. Quando ascoltiamo racconti fortemente segnati dal vissuto di essere vittima, deve immediatamente suonare un campanello d’allarme. Chi si sente vittima percepisce una minaccia e di conseguenza sente di avere il diritto a difendersi, è così che si arriva a pensare di essere legittimati a colpire. La storia dei popoli ci insegna che qualsiasi guerra nasce dalla percezione del doversi difendere: chi scatena la guerra lo fa sempre perché sente di aver subìto un torto.

 

Le identità fragili vivono la diversità dell’altro e il cambiamento come eventi minacciosi.

Accade molto spesso nelle separazioni, dove la richiesta di cambiamento di qualcuno, causando un forte dolore, viene percepita come un evento minaccioso.

La vertigine del cambiamento fa prendere contatto con le proprie parti bisognose e spaventate, la domanda sulle proprie abilità si fa pressante e ciò si traduce nell’aumento del rischio di agire violenza contro la partner o i figli, in quanto alle persone più vicine può venire superficialmente attribuita la colpa del proprio malessere.

Sentirsi vittima, impotente per definizione, è una dimensione affettiva molto problematica che prima o poi verrà ribaltata nel suo contrario: è proprio il sentirsi sotto scacco, nella posizione di chi subisce, ciò che può portare le persone a sentirsi autorizzate ad agire violenza in nome di una presunta difesa.

 

Le emozioni che parlano di impotenza preludono all’esplosione della violenza

Si tratta di atteggiamenti relazionali – quindi emotivi – cui in effetti soggiace un forte senso di impotenza: chi si sente vittima trasforma progressivamente l’impotenza percepita in un vero e proprio esercizio di potere sull’altro, capovolgendo la passività in cui si sente intrappolato in varie forme di sopraffazione che, inesorabilmente, erodono lo spazio di libertà di chi non riesce a sottrarsi. Gli atteggiamenti relazionali che nomineremo sono tutti il risultato dell’assenza di una progettualità, sia privata che di coppia, a fronte della quale viene organizzato il tentativo di possedere l’Altro. Tentativo declinato in vari modi, ma comunque destinato a fallire e ad esitare in violenza sempre più manifesta. Proponiamo infatti di pensare che esistano, di base, soltanto due modi di relazionarsi: uno fondato sullo scambio con l’altro, uno fondato sul possesso dell’altro.

 

Lamentarsi e preoccuparsi

Sono i segni tipici con cui prende forma il racconto vittimistico, la finalità è quella di coinvolgere e convincere una terza persona, chiamata in causa quale testimone, a parteggiare: chi si lamenta o si preoccupa non riesce a precisare il proprio desiderio e allaga con la propria impotenza anche chi lo ascolta. E’ questo assetto relazionale un segno importante per capire che si sta imboccando una via improduttiva e pericolosa.

Diffidare 

Il diffidare indica un deterioramento dell’immagine della partner, che però al contempo non si ha la forza di rovesciare in una rappresentazione del tutto nemica: diffidare è un atteggiamento emotivo che può subentrare di fronte alla perdita della dipendenza dell’altro e che mina il rapporto nella fiducia di base. Quando la cena non è preparata con la solita cura o quando l’altro rientra a casa dal lavoro più tardi del solito: sono segnali di per sé neutri che però vengono piegati alla logica del sospetto. Un sospetto – va sottolineato – inespresso, dunque irrisolvibile. In questo senso possiamo dire che la diffidenza è sempre un delirio, in quanto non cerca riscontri nella realtà.

Pretendere

La pretesa di qualcosa equivale al tentativo di possedere l’altro a partire dal ruolo che riveste la persona che pretende, con la finalità di spingere il partner ad assumere un certo atteggiamento. Se in ambito lavorativo possiamo facilmente immaginare come il capo possa pretendere che il suo sottoposto esegua dei comandi, in ambito amoroso le cose si fanno decisamente più grottesche. “La pretesa di essere amati è la più grande presunzione” ci insegna F. Nietzsche, nonché un segno di grande insicurezza.

Controllare

si evidenzia con sempre maggior chiarezza la limitazione esercitata sulla libertà dell’altro: il controllo può essere economico, oppure sulle ambizioni lavorative, o sui desideri dell’altro, solo per fare alcuni esempi. Chi controlla vive nell’idea di una incombente minaccia e cerca continue rassicurazioni di non essere in pericolo, la sfera privata dell’altro deve scomparire essendo vissuta come zona potenzialmente nemica. Quando si controlla si usano in modo tendenzioso e distorto le informazioni che si riesce ad ottenere: è più importante controllare che sapere, i sospetti non possono mai essere sedati, si rinnovano ad ogni occasione e tormentano chi li vive come in un girone dell’inferno dantesco.

Obbligare

A fare o non fare, è un altro atteggiamento che esprime violenza, allo stesso tempo rappresentando e preludendo uno scontro vero e proprio. Per riuscire ad obbligare qualcuno è necessario o costringerlo fisicamente o farlo sentire in colpa, imbrigliandolo in norme mortificanti che negano il desiderio. L’altro volto dell’obbligo è l’oblatività sacrificale, utilizzata come modalità per costringere l’altro alla gratitudine e tenerlo così legato: amare oblativamente significa scegliere di rinunciare a qualcosa (o anche a molte cose) per poi rinfacciare il proprio sacrificio e sollecitare un senso di colpa che funga da collante alla relazione.

Provocare

Qui ad essere attaccate sono le regole del gioco abitualmente condivise in un rapporto. Chi provoca vuole rovesciare gli accordi presi, sostituendoli con continue eccezioni fondate sul potere del più forte. Troviamo un esempio letterario di provocazione in Fedro, Favole, libro I:

“Allo stesso rivo erano giunti il lupo e l’agnello, spinti dalla sete. In alto stava il lupo, molto più in basso l’agnello. Ed ecco che il predone, stimolato dalla sua gola maledetta, tirò fuori un pretesto per litigare. “Perché” disse “mi hai intorbidato l’acqua proprio mentre bevevo?” E il batuffolo di lana, pieno di paura, risponde “Scusa lupo, come posso fare quello che recrimini? E’ da te che scorre giù l’acqua fino alle mie labbra”. Respinto dalla forza della verità, il lupo esclama “Sei mesi fa hai sparlato di me”. L’agnello ribatte “Io? Ma non ero ancora nato!”. “Per Ercole!” dice il lupo “tuo padre ha sparlato di me”. E così lo abbranca e lo sbrana, uccidendolo ingiustamente”.

Tutti gli atteggiamenti relazionali descritti sono organizzati col solo scopo di trovare conferme al proprio valore, risultando di per sé aridi e sterili rispetto alla possibilità dello scambio produttivo.

Preoccupazione, lamentela, diffidenza, pretesa, controllo, obbligo, provocazione sono atteggiamenti relazionali che parlano di impotenza e che indicano un alto livello di rischio di esercitare un potere violento. L’esperienza clinica ci ha insegnato che favorire una riflessione su questi vissuti di impotenza in un luogo che dia contenimento (il setting clinico) equivale a disinnescare, in molti casi, il rischio di agire violenza: avere uno spazio in cui poter esprimere le proprie difficoltà e avere qualcuno insieme a cui interrogarsi sul senso di quel che accade può fare una netta differenza in termini di prevenzione.

 

Il ciclo della violenza

L’importanza di saper cogliere i segnali dell’aumento della tensione nella coppia è rilevata anche da uno schema convenzionalmente usato per illustrare come sia prevedibile il modo in cui la dinamica della violenza si ripete dentro le coppie. Lo schema è noto come “ciclo della violenza” ed è costituito appunto da 3 fasi cicliche.

Fase1, la crescita della tensione: la tensione nella coppia può aumentare per molte ragioni, per esempio può aumentare per via di un cambiamento significativo che si sta attraversando; se non si riesce a riconoscere questa marea che sale, ad essa seguirà il maltrattamento vero e proprio, ovvero la fase2; successivamente la fase3 della cosiddetta Luna di miele – con le scuse che la caratterizzano – farà rientrare la crisi, riportando la coppia in un clima sereno di affetto, fino alla successiva crisi.

Solo incuriosendoci della trama delle emozioni che portiamo addosso, come abiti invisibili, potremo cogliere i segnali della tensione che sale e quindi intervenire con competenza per porre un argine al passaggio all’atto violento.

Nella conclusione recuperiamo ancora l’idea di come sia un grave errore culturale – con conseguenze drammatiche – rappresentare la violenza come raptus improvviso.

Ci preme sottolineare infatti come non solo gli operatori professionali ma tutte le persone possano affinare la propria sensibilità a rilevare i segnali problematici che provengono dai contesti cui si partecipa, per dare un contributo, un consiglio, un supporto: anche le persone comuni possono contribuire al buon funzionamento della Rete, fondamentale per aiutare chi si trova in difficoltà ad intervenire prima che la violenza esploda.

Il messaggio che vogliamo diffondere è l’idea che se si percepisce una frustrazione che non si riesce a contenere esistono centri specializzati a cui potersi rivolgere per capire perché e come poter fare. Vogliamo sostenere l’immaginario per cui chiedere aiuto diventi normale e non straordinario.

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0 thoughts on “Riconoscere i segni dell’Escalation della Violenza

  • amedeo mainardi says:

    Come al solito, i vostri articoli sono molto interessanti ed offrono lo spunto per riflessioni sia cliniche che personali.

  • paolocarcangiu58 says:

    Mi piace molto l’idea di approfondire il tema NF che ritengo utile e utilizzabile . Grazie

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