Ruminazione disforica e memoria di lavoro

La letteratura scientifica indica la depressione come la seconda più frequente causa di disabilità a livello mondiale. La ruminazione, una forma di pensiero circolare che ingabbia l’individuo in un circuito chiuso, viene considerata come una caratteristica cognitiva fondamentale che si evidenzia nella disforia e nella depressione maggiore (Papageorgiou & Wells, 2004). Per Ruminazione si intende uno stile cognitivo associato al mantenimento di emozioni negative e caratterizzato da pensieri ripetitivi, focalizzati sui propri sintomi(Nolen-Hoeksema, 1991).

Recenti modelli cognitivi studiano la relazione tra stili di pensiero e il perseverare di stati quali ansia e depressione. Si pone l’attenzione su come una persona pensa (Caselli et al. Psicopatologia cognitiva della ruminazione). Ma perchè si persevera nella ruminazione disforica?

Le teorie che tentano di rispondere a questa domanda sono numerose. Nolen-Hoeksema (1991) ha proposto una teoria definita Teoria degli stili di risposta; le persone tendono a credere che attraverso la ruminazione possono concentrarsi maggiormente e in maniera più approfondita sui propri problemi. In uno studio sperimentale condotto sempre da Nolen-Hoeksema (1993), i soggetti disforici, indotti a utilizzare la ruminazione, credevano di raggiungere un insight su se stessi e sui propri problemi, anche se in realtà riuscivano a elaborare soluzioni mediocri e prive di risultati terapeutici.

Un recente studio pubblicato Cognition and Emotion (Hubbard et al., 2015)  evidenzia che pensare a pensieri deprimenti riduce la capacità della memoria di lavoro, questo perché la loro attenzione è attratta automaticamente su altre cose deprimenti.

I risultati suggeriscono che se i pensieri depressivi sono assenti, la funzionalità della Working memory è simile tra DI (individui con disforia) e non. Tuttavia , quando sono presenti pensieri depressivi, i risultati suggeriscono che la capacità Working memory diminuisce per DI rispetto ai non.

Questo deficit in presenza di pensieri depressivi sembra spiegare la difficoltà di memoria e di concentrazione che si riscontrano ogni giorno e che risultano connessi con l’umore depresso.

La memoria di lavoro è vitale per la nostra capacità di mantenere le informazioni nella memoria a breve termine e al fine di usare queste informazioni.
Lo studio aiuta a spiegare perché la depressione è spesso associata a problemi di concentrazione e di memoria.
Il problema è che quando la mente è occupata da pensieri deprimenti, ha difficoltà a concentrarsi su obiettivi comuni, di tutti i giorni.
Nello studio, alle persone veniva chiesto di ricordare varie informazioni mentre venivano spesso interrotte.
A volte, però, le interruzioni erano neutrali, altre con informazioni deprimenti, in questo secondo caso accadeva che i partecipanti avevano maggiori difficoltà ad ignorare le informazioni deprimenti, risultando maggiormente distratti.
Gli autori spiegano:

“I risultati implicano che l’umore è in qualche modo congruente all’informazione, per cui le interruzioni deprimenti evocano controllati deficit di attenzione nei soggetti con umore depresso.”
Gli autori dello studio hanno concluso:
“Tali deficit in individui con umore depresso può avere conseguenze sociali attraverso la perdita di produttività e un aumento del tasso di disabilità.

Questi risultati sembrano collegati ad alcune conseguenze che si possono riscontrare nella ruminazione. La ruminazione è un processo mentale che richiede numerose risorse cognitive, ostacolando le performance cognitive che sono processate in parallelo, determinando un rallentamento e una compromissione nella performance.

Il ruminatore fatica a rimanere attento a causa della costante interferenza prodotta dalla ruminazione, riducendo l’efficacia e le sue abilità nelle situazioni sociali.

Una ricerca (Selby et al., 2009) ha dimostrato che la ruminazione mentale può essere responsabile di una rapidissima ‘cascata’ emotiva verso stati di intensa sofferenza.

In situazioni di comune disagio, la ruminazione disforica agisce come facilitatore che intensifica le emozioni negative, per questo alcuni studi hanno evidenziato che intervenire sul modo in cui le persone pensano può favorire la riduzione di sintomi ansiosi e depressivi.

 

Dipinto di Edvard Munch

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