Come il supporto psicologico può rivelarsi una risorsa fondamentale negli operatori sanitari che ogni giorno si confrontano con persone in lutto?
Gli operatori sanitari (infermieri, medici oss, etc) si trovano spesso impegnati nell’accompagnamento alla morte dei pazienti, e questo è un processo in cui la presa in carico della persona e dei familiari è rappresentata soprattutto da una continua ed intensa relazione di aiuto.
L’operatore, nell’arco di tutto il suo percorso professionale, si trova ad affrontare realtà inerenti alla morte ed il morire: il fatto di dover interagire con persone che si trovano in situazioni acute di cessazione della vita o con persone con malattie a prognosi infausta richiede loro una modalità di approccio totalmente diverso rispetto al “fare” che caratterizza la fase attiva di cura.
Questo particolare approccio dovrebbe dare la possibilità a queste persone che si trovano in questo momento della loro vita, di poter affrontare l’”evento morte” nel modo più “umano” possibile e soprattutto, senza solitudine.
Per la maggior parte degli operatori confrontarsi con questa tematica è molto difficile, questo perchè non abbiamo ancora una cultura della morte ma anche perchè si sentono inadeguati ad affrontare con competenza, maturità e professionalità questo evento importante che riguarda la vita della persona assistita.
Nelle diverse indagini dei bisogni formativi da me svolti in ospedale in questi anni i le cause della “fatica” degli operatori sono:
- non avere una preparazione di base necessaria per soddisfare i bisogni richiesti da questa tipologia di paziente;
- la gestione delle emozioni suscitate dalla relazione operatore-paziente che porta il professionista a creare delle barriere di difesa che ostacolano la relazione d’aiuto o all’insorgenza del burn-out;
- avere una base culturale che considera la morte un tabù.
Tali fattori, oltre ad influire sul mancato soddisfacimento dei bisogni della persona nella fase terminale della vita, portano un notevole stress nell’operatore, il quale se non è supportato da personale specializzato come lo psicologo fatica sempre più ad affrontare tale relazione.
Il sentimento di inutilità di fronte alla morte può creare difficoltà, conflitti e veri e propri stress che possono addirittura portare al burn-out.
È ovvio che nessuno si può sentire pronto di fronte alla morte, è umano.
La formazione dovrebbe avere, quindi, l’obiettivo di “aprire” questi cassetti e “sfogliare” le emozioni dell’operatore, in modo da poter riuscire ad acquisire un pensiero critico di fronte alle proprie azioni e pensieri.
Successivamente, sarà altrettanto importante imparare “come” affrontare le problematiche relative all’accompagnamento alla morte.
Lo psicologo è quindi un professionista fondamentale per il personale sanitario, sia per la formazione sulla comunicazione, sia per il supporto e la gestione degli aspetti emotivi. Può dare la possibilità di una “formazione ed introspezione continua”: il fatto di “narrare” ed esternare le proprie emozioni comporta una continua elaborazione delle proprie esperienze ed aiuta a vivere meglio quei vissuti.
Questo spazio di Supervisione, o di Laboratori per gli operatori può essere utile non solo nei casi in cui il personale sia a contatto con il paziente terminale e con la morte ma in tutte quelle situazioni in cui l’operatore si confronta con il limite imposto dalla malattia.
Esplorare la propria reazione alla perdita e i propri lutti personali rappresenta per l’operatore una risorsa importante per comprendere meglio le difficoltà in cui si muovono i familiari e per rispondere in maniera adeguata alle loro richieste di vicinanza e sostegno.
Aiutare un operatore in lutto vuol dire, al tempo stesso, aiutarlo a distinguere e collegare i due piani coinvolti nell’esperienza personale e professionale facendo in modo che il continuo rimando tra personale e professionale possa tradursi gradualmente in un approfondimento dell’ascolto di sé e dell’altro.
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