Secondo il modello teorico della psicopatologia dello sviluppo (Cicchetti, 1989), affinché una valutazione sia efficace si ritiene che debba partire da un bilancio complesso tra fattori di rischio e fattori di protezione di cui le persone in età evolutiva dispongono a livello individuale (biologico, psicologico, ecc.), sociale (familiare, amicale) e ambientale (culturale, educativo ecc.), in quanto per poter comprendere eventuali aspetti psicopatologici è necessario comprendere lo sviluppo normale.
Quando si richiede di valutare le competenze genitoriali ci si propone di rilevare la condizione psicologica e relazionale che connota le persone che compongono la famiglia, la coppia e il sistema nel suo complesso, evidenziando punti di debolezza, punti di forza, aree di criticità e risorse utili per attuare cambiamenti evolutivi in senso positivo. È necessario porre attenzione agli aspetti “prognostici” della situazione familiare (le risorse disponibili, le eventuali potenzialità al cambiamento dell’intero nucleo familiare, etc.) al fine di programmare e prevedere gli interventi opportuni.
La valutazione delle competenze genitoriali mira idealmente ad una restituzione di responsabilità alla coppia genitoriale auspicando l’ascolto consapevole dei bisogni di sviluppo dei figli e delle figlie.
La genitorialità è una funzione processuale complessa, relazionale, contestuale e storica che è il risultato dell’interazione tra quel particolare figlio e genitore che ha una sua stabilità di fondo ma che si modifica poi nel corso della vita ed è condizionata dai modelli culturali, dalla personalità di ogni singolo genitore, dalle relazioni che egli stesso ha avuto come figlio, dai modelli intergenerazionali, dalla relazione di coppia, nonché dal temperamento e da specifiche problematiche riguardanti i figli.
I criteri per la valutazione della genitorialità in senso generale riguardano parametri individuali e relazionali relativi ai concetti di parenting e di funzione genitoriale, trattati ampiamente nella letteratura italiana e internazionale, che riguardano lo studio delle abilità cognitive, emotive e relazionali del ruolo e delle funzioni genitoriali (Camerini et al., 2011).
La “capacità genitoriale” corrisponde pertanto ad un costrutto complesso non riconducibile alle qualità personali di chi esercita la genitorialità, ma comprende anche un’adeguata competenza relazionale e sociale che implica la capacità di saper interagire con la prole in modo protettivo, rassicurante, rispettando le sue esigenze. L’idoneità genitoriale è definita dai bisogni stessi e dalle necessità della prole in base a cui il/la genitore attiverà le proprie qualità personali tali da garantire lo sviluppo psichico, affettivo, sociale e fisico (Haller, 1992).
Nel valutare la genitorialità ci si propone, dunque, di indagare:
- l’adattamento del genitore al proprio ruolo (attraverso l’esplorazione della capacità di fornire cure adeguate, l’accettazione dei compiti e delle responsabilità),
- il tipo di relazione instaurata con la prole (le emozioni provate nei suoi confronti, la presenza di sentimenti empatici, la capacità di considerarla come altro da sè),
- le influenze della famiglia (l’esperienza di accudimento ricevuto nella propria infanzia, l’eventuale coinvolgimento nelle liti genitoriali),
- le interazioni con la comunità (la presenza di reti sociali e il tipo di relazione esistente con i servizi sociali),
- le potenzialità di cambiamento (Di Blasio, 2005).
Pertanto valutare l’adeguatezza genitoriale si può intendere come un percorso di comprensione delle traiettorie di capacità dei genitori di intercettare e rispondere adeguatamente ai bisogni dei figli e delle figlie, anche in considerazione delle sfide evolutive di volta in volta diverse.