Quando si parla di comportamenti alimentari disfunzionali, le parole “abbuffata” e “fame emotiva” sono spesso connotate dello stesso significato. Ma facciamo chiarezza.
In realtà, questi due concetti hanno valenze diverse, pur avendo come origine comune uno stato di malessere emotivo-cognitivo. In particolare, la fame emotiva si riferisce alla componente cognitiva della fame di origine nervosa, mentre l’abbuffata, per definizione, ricade nella classe dei comportamenti (azione che ne deriva). Si potrebbe considerare la fame emotiva come un grande “cappello” sotto al quale coesistono diverse tipologie di comportamenti, tra cui anche l’abbuffata. Ma vediamo più nello specifico…
L’abbuffata
Si intende l’atto di ingerire in un breve periodo di tempo (in genere meno di due ore) una quantità di cibo significativamente maggiore rispetto a quanta ne mangerebbe la maggior parte degli individui nello stesso tempo e in simili circostanze. Il fenomeno è accompagnato dalla sensazione di perdita di controllo (sensazione di non riuscire a smettere di mangiare, di non riuscire a controllare la quantità o la qualità del cibo che si sta ingerendo).
L’abbuffata è il sintomo, un criterio trasversale caratterizzante una serie di disturbi del comportamento alimentare differenti (è presente infatti nella bulimia, nel binge-eating e in altre problematiche associate al cibo). Nonostante il fenomeno dell’abbuffata possa definirsi in maniera più complessa e necessariamente debba essere contestualizzato, in questo articolo desidero soffermarmi sulla nozione di tempo e quantità di cibo ingerito come criteri che differenziano tale comportamento da altri, relativamente alla fame nervosa. Come specificato nel DSM 5, infatti, non può definirsi un’abbuffata il continuo “spiluccare” piccole quantità di cibo nell’arco della giornata. Non necessariamente dunque, la fame nervosa si converte in abbuffata.
La fame emotiva
Si intende la voglia irrefrenabile e improvvisa di mangiare qualcosa che sia legato ad un assecondamento del piacere, una fame che quindi parte dalla testa e non dallo stomaco. Si tende infatti a prediligere cibi particolarmente gustosi, emerge anche se si è sazi, viene appagata tendenzialmente in solitudine ed è fortemente associata ad uno stato emotivo-cognitivo più o meno specifico.
Accade, infatti, che la persona sappia con certezza il perché abbia una determinata “voglia” (ad esempio, l’aver interrotto una relazione amorosa) oppure, in altri casi, non è chiaro il motivo scatenante il malessere emotivo, ma semplicemente ci si sente insoddisfatti, tristi o stressati e dunque si trova conforto nei cibi che più danno appagamento. E’ da notare come anche cambiamenti ormonali (ad esempio il ciclo mestruale nelle donne) possano influire nel renderci “vittime” della fame emotiva. Potremmo, per semplificare, associare la fame emotiva al “peccato di gola”, ovvero quel momento in cui si sente il bisogno di una consolazione, una coccola che solo il cibo sembra poter regalare.
Perché abbuffata e fame emotiva vengono spesso associate?
Può accadere che i due concetti coincidano nel momento in cui avviene il contatto con il cibo, ovvero quando il pensiero si trasforma in azione. La persona in questo caso non riesce a trattenersi dal mangiare tanto e in fretta, in maniera casuale, solo per la voglia irrefrenabile di sentire un certo gusto in bocca che dia inevitabilmente piacere. La fame emotiva diventa qui fenomeno di abbuffata vera e propria, ovvero “mangio qualcosa per sopperire al mio malessere emotivo e lo faccio nel modo più esagerato e frettoloso possibile”.
Come anticipato sopra, però, la fame emotiva sottende una serie di comportamenti che non necessariamente sfociano nell’abbuffata. Lo “spiluccare” cibi golosi può esserne un esempio, poiché in questo caso le quantità e il tempo di assunzione sono differenti: un conto è mangiare mezza barretta di cioccolato perché si è tristi, un conto è mangiarne fino alla nausea. Il fulcro della fame emotiva è il pensiero combinato all’emozione che guida l’azione del mangiare, del prediligere un cibo particolare in grado di placare un bisogno specifico (bisogno di coccole, conforto, consolazione, senso di vuoto ecc.). L’abbuffata è uno dei modi in cui questo atteggiamento si può concretizzare.
Tra salute e patologia la linea è continua
E’ importante mantenere una distinzione tra questi due concetti e tra ciò che è patologico e ciò che non lo è. La fame emotiva non è patologica di per sé. Capita a tutti in certi periodi di sentirsi legati al cibo più dal cuore che dallo stomaco, così come capita di trovarsi in contesti (ad esempio durante le festività) dove si tende all’abbuffata. In questi casi è necessario però monitorare questi comportamenti, per evitare che sfocino in schemi nutritivi disfunzionali per la salute e per il proprio benessere mentale.
Durante la stessa fase diagnostica, il paziente può riferire di essere condizionato da continui episodi di fame nervosa, che è bene differenziare per contesto, quantità, qualità e tempistiche, in modo da avere chiaro quali siano i suoi reali schemi di pensiero e di azione consequenziale.
Laddove la persona non riuscisse a gestire in autonomia un suo particolare disagio, che si tratti di psicopatologia o meno, lo strumento del colloquio si rivela dunque sempre importante per inquadrare il caso e disegnare una linea di intervento adatta ad ogni esigenza specifica.
Dott.ssa Giulia Pelini
Psicologa
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Bibliografia
American Psychiatric Association, Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali – quinta edizione, 2014, Raffaello Cortina Editore, pp. 398-399.