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Cosa si intende per Attaccamento e Trauma?

Sempre più spesso la letteratura scientifica e la ricerca sull’attaccamento cominciano ad interessarsi al ruolo che le esperienze traumatiche hanno sul legame di attaccamento e, d’altra parte, come la relazione di attaccamento fra bambino e caregiver possa rappresentare di per sé un’esperienza traumatica, a seconda di come essa si sviluppa.

Anzitutto proviamo a definire il termine attaccamento. Con esso si intendono l’insieme di comportamenti mirati a ottenere la vicinanza e la protezione di un adulto significativo (o caregiver). Il comportamento di attaccamento, come sosteneva Bowlby, è dato da “ogni forma di comportamento che appare in una persona che riesce ad ottenere o a mantenere la vicinanza a un individuo preferito.” (Bowlby, 1969).

Il costrutto fu ideato da John Bowlby, psicologo, medico e psicoanalista britannico, che usò il termine “attaccamento” per descrivere il comportamento del bambino che cerca la protezione e le cure del caregiver, il più delle volta la madre. Quest’ultima viene vista come “base sicura” che gli dà modo di esplorare il mondo con tranquillità e che gli fornisce aiuto in caso di pericolo. Nel corso del tempo, i teorici dell’attaccamento hanno identificato 4 forme principali:

  • Attaccamento sicuro: le persone che sviluppano uno stile di attaccamento sicuro hanno avuto caregiver amorevoli, premurosi e disponibili a rispondere prontamente ai loro bisogni quando erano bambini. Le persone con un attaccamento sicuro sono in grado di impegnarsi in relazioni sane e stabili con gli altri.
  • Attaccamento evitante: secondo Daniel Siegel, circa il 20% delle persone sviluppa uno stile di attaccamento evitante. Questo stile si forma quando i bisogni di un bambino non sono stati soddisfatti dal loro caregiver, quindi il bambino ha imparato a trovare una soddisfazione a quei bisogni da solo. Man mano che il bambino cresce, potrebbe evitare di chiedere aiuto agli amici o agli insegnanti a scuola, perché ritiene di non aver bisogno dell’aiuto di nessuno. Più avanti nel corso della crescita, possono apparire emotivamente distanti dai partner in ambito sentimentale.
  • Attaccamento ambivalente: uno stile di attaccamento ambivalente si sviluppa quando un caregiver è incoerente e imprevedibile. A volte è presente per il bambino, a volte no. Oppure, a volte può essere eccessivamente invadente e altre volte estremamente distante. Questo può rendere il bambino insicuro e incerto su come gli altri risponderanno ai propri bisogni nel corso della vita. In alcuni casi può sembrare un adulto eccessivamente bisognoso di affetto e di cura, in altri casi può mostrare estrema sfiducia negli altri.
  • Attaccamento disorganizzato: questo stile è spesso associato ad abuso e abbandono nella prima infanzia, anche se non è sempre vero. I clienti con attaccamento disorganizzato non hanno avuto modo di affrontare i loro sentimenti di angoscia da bambini e spesso sono lasciati soli dai caregiver, con poche o nessuna risorsa per permettere la regolazione delle proprie emozioni. La maggior parte delle relazioni sane si fondano sullo scambio, ma per i clienti con attaccamento disorganizzato le relazioni sono una fonte continua di richiesta, senza la capacità di dare nulla all’altro.

Certamente le esperienze traumatiche hanno notevoli ripercussioni sul cervello del bambino e lo influenzeranno nel suo successivo sviluppo.

 

Qual è il legame tra attaccamento e trauma?

Può l’attaccamento stesso (soprattutto nella sua forma disorganizzata) essere considerato un trauma?

La letteratura dimostra che il trauma può interferire con gli schemi relazionali che sono in costruzione nel bambino, anche in presenza di un attaccamento sicuro; il bambino, infatti, in seguito a un evento traumatico, metterà in discussione la percezione di sé e del mondo circostante.
Il bambino, infatti, essendo ancora in una fase di formazione, non ha ancora le abilità cognitive che gli permettono di riconoscere il proprio ruolo in una situazione traumatica, come un lutto, un abuso, una violenza, ripetuta o isolata. Tali traumi interferiscono attivamente nei pattern di attaccamento del bambino.

 

Il ruolo della relazione di attaccamento

L’evento traumatico può essere esterno alla relazione di attaccamento. Cosa succede, però, se è la stessa relazione di attaccamento a rappresentare un trauma?

In questo senso, Schore parla di “trauma relazionale precoce”, indicando proprio un’esperienza traumatica che coinvolge la figura di attaccamento, andando ad intaccare il bisogno fondamentale del bambino, quello di sicurezza.
Il caregiver, infatti, in una relazione sicura, rappresenta la principale fonte di protezione del neonato. In alcuni casi estremi, tuttavia, può diventare fonte di pericolo e minaccia, generando nel bambino ambivalenza e confusione. Ciò comporta una contemporanea attivazione del sistema di attaccamento e di quello difensivo, con ripercussioni gravi a livello relazionale e meta-cognitivo. Tale meccanismo è alla base dello sviluppo di un attaccamento disorganizzato, quando cioè il trauma deriva direttamente da quella che dovrebbe essere la base sicura del bambino.

Il fatto che il bambino percepisca il caregiver come fonte di pericolo e di protezione allo stesso tempo, può nel lungo periodo portare a problemi relazionali che si ripercuoteranno sulle relazioni future della vita adulta. Oltre a tali problemi, le difficoltà maggiori saranno legate alle disfunzioni nella regolazione emotiva, che possono portare in seguito allo sviluppo di un disturbo post-traumatico da stress (PTSD).
Il rapporto tra trauma e attaccamento è dunque circolare. L’attaccamento disorganizzato, dunque, può essere visto esso stesso come un evento traumatico e, allo stesso tempo, un trauma può portare ad un attaccamento disorganizzato ed avere conseguenze psicopatologiche.

 

Efficacia dei modelli che intervengono su Attaccamento e Trauma

 

Un legame frequente: il disturbo borderline di personalità

La relazione di attaccamento ha una funzione vitale nella crescita del bambino. Quando il legame di attaccamento fallisce, il rischio principale è quello di non permettere di sviluppare un’efficace funzione di regolazione emotiva, che è alla base di numerosi disturbi di personalità, soprattutto nei casi di attaccamento disorganizzato traumatico.

La Teoria dell’Attaccamento si è però rivelata utile soprattutto nel fornire prospettive utili sul Disturbo Borderline di Personalità (BPD), sia in termini di come si sviluppa il disturbo sia in termini di terapia.
In questo contesto, il trauma gioca un ruolo fondamentale. La ricerca degli ultimi trent’anni ha dimostrato una chiara relazione tra l’esperienza di abuso nell’infanzia e una successiva diagnosi di Disturbo Borderline di Personalità. Nel contesto dell’abuso e del trauma, il fallimento dell’attaccamento è inevitabile, lasciando un’impronta duratura su tutte le relazioni future. Piuttosto che vivere gli altri come un rifugio di sicurezza, gli individui traumatizzati sono guidati da forti desideri incontrollabili e paura della relazione. Le loro emozioni intense e il comportamento impulsivo li rendono vulnerabili, fino ad essere etichettati come “borderline” e quindi accolti con apprensione dai terapeuti dai quali cercano aiuto.

Le esperienze traumatiche legate all’attaccamento possono dare origine anche a fenomeni dissociativi associati al Disturbo Borderline. In particolare, la mancanza di integrazione delle diverse parti della psiche del bambino nella relazione con il caregiver, si manifesta nei conflitti interni tra le parti. Le esperienze traumatiche generano una reazione dissociativa, ma la dissociazione è gestita attraverso il conflitto interiore, la mancanza di integrazione, di realizzazione e di supporto sociale (Van der Hart, Nijenhuis, & Steele, 2006). Comprendere questi aspetti è fondamentale per comprendere e pianificare dei trattamenti con i pazienti con disturbo borderline.

 

Disturbo narcisistico di personalità

Non solo il disturbo borderline è caratterizzato dal rapporto traumatico fra il bambino e la figura di attaccamento. Anche nel caso del narcisismo tale rapporto è centrale. Lle ferite narcisistiche sono infatti legate ai bisogni di rispecchiamento non soddisfatti nell’infanzia e alla mancanza di sintonia empatica, e possono essere causate da traumi gravi, abuso o abbandono. Tali ferite possono anche verificarsi a seguito di traumi relazionali in cui un bambino è eccessivamente idealizzato e non visto o accettato per quello che è, ma visto come un’estensione del caregiver primario.

 

Dipendenza affettiva

I bisogni di dipendenza sono eccessivamente intensi nei sopravvissuti ai traumi, portando a un circolo vizioso di bisogno-panico-vergogna-rabbia, che può far deragliare la terapia e sopraffare sia il terapeuta che il cliente. La dipendenza adattiva e disfunzionale è molto diversa dalla dipendenza sana sperimentata all’interno di un rapporto di attaccamento sicuro. Con i pazienti traumatizzati è fondamentale costruire confini e limiti relazionali con compassione e aiutare i pazienti a risolvere la vergogna della dipendenza.

 

Disturbi alimentari

Un esempio di esperienza traumatica grave è rappresentato da esperienze multiple di vittimizzazione in connessione con un’estesa trascuratezza infantile che sconvolge il sistema di attaccamento genitore-figlio e/o abuso, incluso il trauma sessuale. In particolare, il trauma sessuale mostra un’associazione statisticamente significativa con una diagnosi nel corso della vita di disturbo d’ansia, depressione, disturbo post-traumatico da stress, disturbi del sonno e tentativi di suicidio, fino alla diagnosi di disturbo alimentare. Nello specifico, la bulimia nervosa (BN), il binge eating disorder (BED) e l’Anoressia Nervosa (AN) sono spesso associati all’abuso infantile.

 

Disturbi dello Sviluppo

I bambini traumatizzati sono esposti a un alto rischio di essere soggetti a un’educazione speciale e ad altri servizi di supporto. Spesso hanno problemi relativi al linguaggio, all’attenzione, all’elaborazione, alla regolazione ed al funzionamento esecutivo. Il rapporto di attaccamento gioca un ruolo essenziale in questo contesto. La sicurezza relazionale si raggiunge in un rapporto di accudimento in cui i caregiver sono capaci di auto-regolarsi, di favorire i processi di mentalizzazione dell bambino e di rispondere in modo sensibile ai suoi bisogni. Quando ciò non avviene, il rischio di sviluppo di disturbi cognitivi, emotivi e relazionali e notevolmente più alto.

 

Quali modelli per il trattamento del trauma entro i rapporti di attaccamento?

Un filone di intervento che lega le conoscenze sul trauma alla teoria dell’attaccamento è certamente quello che si occupa di curare i pazienti con attaccamento disorganizzato.

La situazione di questi pazienti è particolarmente difficile. I clienti con traumi relazionali precoci sviluppano rappresentazioni interiori di se stessi non solo come bambino abusato, ma anche come perpetratore.
Queste rappresentazioni duali possono variare da normali stati dell’Io a parti dissociative del sé altamente separate. Entrambe le parti del bambino e le parti che imitano l’autore del reato sono il risultato naturale di un attaccamento disorganizzato, in cui i clienti devono legarsi emotivamente e funzionalmente, ma devono anche difendersi dai caregiver che sono abusanti, ritrovandosi in un dilemma impossibile che è internamente messo in atto da questi due tipi di parti. Questa messa in atto interiore ha spesso effetti negativi significativi sulla relazione terapeutica.

Una delle principali manifestazioni in questo tipo di situazioni è l’emergere di una vergogna cronica, che incide profondamente sulla vita del cliente. E’ indispensabile, in questi casi, fare ricorso alla compassione. La vergogna, infatti, può comportare un’intensa attivazione fisiologica: i pazienti potrebbero voler scomparire, nascondersi, mimetizzarsi o chiudersi, ostacolando gli sforzi terapeutici in molti modi. Per lavorare efficacemente con la vergogna cronica, c’è bisogno di comprenderne appieno le funzioni, ma anche la profonda disconnessione ed i tentativi di nascondere tale vergogna, che devono essere vissuti compassionevolmente sia dal cliente che dal terapeuta.

Inoltre, i clienti con attaccamento insicuro o disorganizzato, che hanno alle spalle storie di trauma, abuso o abbandono o travolgenti fattori di stress dello sviluppo, spesso mancano di un’adeguata regolazione affettiva.

Di conseguenza, tali pazienti sono vulnerabili all’uso di strategie autodistruttive tra cui atti di automutilazione, abuso di sostanze e altre dipendenze e comportamenti alimentari disturbati, che utilizzano come strategie di coping disfunzionali. Sebbene questi comportamenti forniscano un sollievo limitato a breve termine, portano inevitabilmente a senso di colpa, vergogna e maggiore traumatizzazione e aumentano la probabilità di autolesionismo cronico.
In terapia, diventano dunque indispensabili interventi che permettano una capacità di co-regolazione, che coinvolgono direttamente la relazione terapeutica.

 

La Psicoterapia Sensomotoria

Uno degli approcci che affronta le relazioni di attaccamento traumatico, in termini di mancata regolazione affettiva, è la Psicoterapia Sensomotoria.

La ricerca ha costantemente dimostrato una connessione tra la disregolazione degli affetti e le esperienze di trascuratezza nella prima infanzia, il trauma e il fallimento dell’attaccamento (Van der Kolk, 2015; Courtois & Ford, 2009; Ford et al, 2005; Siegel, 1999). Senza un’adeguata regolazione degli stati di disagio infantile, il sistema nervoso autonomico e le strutture cerebrali che regolano gli affetti non riescono a svilupparsi in modo ottimale (Schore, 2003). La disregolazione affettiva è una componente di tutti i disturbi dell’umore, i disturbi d’ansia, il disturbo da stress post-traumatico, e il disturbo di personalità borderline, è inoltre un elemento che può favorire dipendenza, autolesionismo, e comportamenti suicidari.

La psicoterapia sensomotoria, una terapia verbale, somaticamente orientata, si avvicina alla disregolazione come problema fisiologico sottocorticale, centrale per il trattamento dello stress traumatico.

 

Diventare un terapeuta per trattare l’attaccamento traumatico

Per lavorare nell’ambito delle esperienze traumatiche di attaccamento, è necessario avere solide basi sia nell’ambito del trauma, sia nell’ambito della teoria dell’attaccamento.
I tipi di intervento ed i modelli terapeutici, tuttavia, sono molteplici. Avere un approccio multidisciplinare può certamente favorire il terapeuta che vuole apprendere strumenti per il trattamento del trauma a seguito di relazioni di attaccamento fallimentari.

Bessel van der Kolk ha sviluppato un modello che integra il lavoro sulle esperienze traumatiche con diversi approcci psico-corporei. In particolare, nella sua attività ha tentato di affiancare la comprensione della neuroscienza dello stress traumatico ad altri tipi di modelli e tecniche, quali il neurofeedback, l’EMDR, la meditazione, lo yoga, la mindfulness ed i metodi di integrazione sensoriale come la danza e il movimento.

Tale approccio integrato permette di comprendere la neurobiologia interpersonale e la neurobiologia dello stress traumatico, connettendoli ai Disturbi da traumi dello sviluppo (DTD), evidenziando il ruolo dei legami di attaccamento disfunzionali e la disregolazione affettiva che sono alla base di tali problematiche.

Un modello innovativo nel trattamento dei traumi di attaccamento è il DBR (Deep Brain Reorienting) di Frank Corrigan, una forma di psicoterapia che mira a ripristinare il naturale processo di guarigione della mente, liberando l’energia bloccata dagli shock subiti durante un trauma.

La ricerca sembra inequivocabilmente dimostrare che i traumi dello sviluppo e i legami di attaccamento di natura traumatica sono alla base non solo dei disturbi tipicamente riconducibili allo spettro traumatico (PTSD, C-PTSD, Disturbi Dissociativi, BPD), ma rappresentano un potente fattore di rischio anche per altri disturbi psichiatrici. I traumi cumulativi vissuti nel contesto di relazioni significative compromettono in maniera massiva la qualità della regolazione emotiva, comportano problemi nella stabilità e integrazione del sé e nella qualità delle relazioni, alterano il rapporto col corpo e creano dissociazione, intesa come fenomeno profondamente patogeno, che ostacola il processo evolutivo e integrativo della mente umana.

A partire da questi aspetti, sono stati sviluppati approcci integrati che rientrano nella definizione di terapia orientata per fasi: 1) stabilizzazione e riduzione dei sintomi; 2) elaborazione delle memorie traumatiche; 3) integrazione della personalità.

E’ utile dunque adottare un approccio complesso e integrato, che coniughi diversi modelli (DBR, EMDR, TOP DD e trauma model), al fine di offrire risorse utili e concrete ai clinici che vogliono lavorare con questa tipologia di pazienti.