Attività sportiva e drop out

Dottoressa Roberta Cappelluti, nata a Roma il 04/05/1989. Laureata dal 2012 in Psicologia dinamico-clinica dell'infanzia, dell'adolescenza e della famiglia, dal 2018 lavora presso il Ministero della S...
drop out

In questo articolo la Dottoressa Roberta Cappelluti spiega l’importanza dell’attività sportiva per la crescita e mette in guardia dal fenomeno del drop out.

Vita sedentaria

Tv, smartphone, videogames, computer sono stimoli che portano bambini e ragazzi a condurre una vita più sedentaria rispetto al passato. A scuola l’attività fisica è sempre più ridotta o a volte assente. Ed alcuni genitori non comprendono l’importanza di fare sport, perché magari loro stessi non lo hanno mai fatto. Il problema principale è che, rispetto al passato e purtroppo anche a causa della pandemia dalla quale ancora non ne siamo usciti, la vita è diventata più sedentaria. Per esempio, è sempre meno frequente che i bambini stiano all’aria aperta a giocare o che i ragazzi passino le giornate girando in bicicletta. Ed è per questo che diventa ancora più importante invogliare i figli all’attività fisica e allo sport.

Il bambino, infatti, è bombardato di stimoli intellettivi di ogni genere. Vive in una società multirazziale e variegata. Passa molto tempo seduto e/o in attività intellettuali. Ha le giornate piene e molto strutturate, ha poco tempo per giocare esercitando la sua fantasia e poca possibilità di muoversi liberamente per strada (correndo, saltando, lanciando ecc. ). Non passa molto tempo con i genitori, è sempre più iper-nutrito. E tutti si aspettano molto da lui benché sia circondato da agenzie educative ed educatori che raramente si parlano tra loro interrogandosi sulle sue reali esigenze.

L’importanza dello sport per uno sviluppo sano

Tutte queste caratteristiche rendono il bambino molto più bisognoso di un’attività motoria completa, con cui possa divertirsi e crescere, insieme ad altri bambini, sotto la guida di un buon allenatore-educatore.

Difatti ogni individuo attraversa, nella crescita, alcune fasi sensibili per lo sviluppo. Fasi all’interno delle quali vengono sviluppate, con il giusto stimolo, le principali capacità motorie e coordinative. Tali capacità, una volta, venivano allenate a scuola nell’ora di educazione fisica, lezione alla quale, al giorno d’oggi, si dà sempre meno importanza.

Durante l’attività fisica si cresce non solo fisicamente, ma anche emotivamente, psicologicamente e socialmente. Attraverso il gioco, perché questo deve essere all’inizio, si impara:

  • il rispetto delle regole,
  • la condivisione di oggetti e spazi,
  • il rispetto di ruoli diversi dai genitori,
  • la socializzazione con altri coetanei.

Lo sport è cooperazione e competizione al tempo stesso, qualità che accompagneranno l’individuo nella vita in generale, nel rapporto con se stessi e con gli altri.

Attenzione al “drop out”

È necessario fare attenzione a due comportamenti tra loro contrapposti. Da una parte è quindi fondamentale far avvicinare tutti allo sport per crescita individuale. Dall’altra però, evitare di riversare sui bambini il riflesso delle aspettative dei genitori e di farli diventare baby-atleti ancor prima che possano capire ciò che gli piace davvero. Bisogna lasciar crescere e vivere la passione in maniera spontanea evitando, in quanto genitori, di essere eccessivamente presenti nella vita sportiva dei ragazzi: lo sport deve essere innanzitutto e soprattutto un divertimento anche perché altrimenti si rischia di far perdere l’entusiasmo e caricare troppo il bambino di aspettative richieste inducendolo al “drop out”.

Il drop out è un preoccupante fenomeno che sta riguardando la nostra società e che negli ultimi anni interessa molti bambini. Si parla di abbandono sportivo precoce in riferimento ad una diffusa percentuale di bambini che lasciano la pratica sportiva intorno ai 10 o 12 anni, o anche prima, il più delle volte in maniera definitiva.

Se gli educatori non si confrontano sul percorso formativo quotidiano proposto ad ogni bambino, lo espongono al rischio di viversi l’attività scolastica e quella sportiva come gli ennesimi ambiti nei quali ricevere pressioni o subire situazioni di stress. La psicomotricità ci ricorda che l’esigenza del bambino è quella di muoversi, giocare e stare con i suoi simili, tutto il resto è solo una esigenza degli adulti.

Mancanza di gioco e drop out

Il gioco è il principale strumento di apprendimento. Il bambino gioca per procurarsi piacere. È stato così da sempre e sarà così per sempre. Quindi una società nella quale tanti bimbi abbandonano lo sport è una società nella quale gli adulti devono inevitabilmente porsi delle domande sulla qualità del prodotto che offrono come attività ricreativa.

Se i ragazzi preferiscono smettere di giocare è solo perché nello sport infantile che si propone loro, spesso c’è mancanza di gioia e di insegnamenti adeguati.

Oggi i bambini vedono nello sport, e quindi nel gioco, obiettivi che non coincidono con il loro percorso di crescita. Sono segnati dalla paura di perdere, sono prematuramente coscienti del senso della vittoria e della sconfitta. Spesso troppo presto consapevoli del proprio valore, sono segnati dalla competizione, con un atteggiamento agonistico vicino a quello degli adulti, carenti di spontaneità e precocemente privi di divertimento.

Questi sono i drammatici risultati del concepire lo sport dei bambini come quello degli adulti. Se gli obiettivi delle società sportive giovanili si orientano sulla vittoria sportiva e solo secondariamente sulla formazione e la salute psicofisica dei bambini la conseguenza non può che essere uno sport lontano dai bambini, dannoso e che allontana i bambini dallo sport.

Le cause del drop out

Un’eccessiva ambizione da parte di tecnici e genitori, insieme a un programma di allenamento e di competizioni esasperato, può creare un senso di frustrazione e di svalutazione personale nel bambino che, collezionando un insuccesso dopo l’altro, abbandona l’attività.

Le cause di abbandono più frequenti sono:

  • l’obbligo al rendimento come condizione primaria dell’attività sportiva;
  • il raggiungimento di obiettivi fissati troppo a lungo termine, con l’impossibilità di verificare le immediate esperienze di successo;
  • la monotonia e la ripetitività dell’allenamento;
  • la mancanza di situazioni di gioco;
  • la presenza eccessiva di gare selettive;
  • altri fattori individuali legati al soggetto (rapporto con l’allenatore, con i compagni, ecc).

Il vero significato dello sport, specie nei più piccoli, deve essere considerato non in funzione della vittoria e di un eventuale record da battere. Ma come una condizione formativa in grado di sviluppare al meglio le potenzialità psicofisiche e le relazioni sociali.

Sport e crescita

Le famiglie affidano agli allenatori il loro bene più prezioso. Devono aiutarli e favorirli a creare intorno ai bambini un sistema ideale nel quale crescere e nel quale imparare ad esprimere e sviluppare le proprie capacità, la propria personalità, il proprio agonismo senza la paura di sbagliare.

Chi ha paura di sbagliare ha meno possibilità di crescere, di esplorare il mondo circostante e di imparare a superare i propri limiti.

I bambini hanno bisogno di un porto sicuro da cui partire per esplorare e maturare. Tale base può essere composta solo da famiglie ed educatori che si parlino e che siano consapevoli dei messaggi che stanno proponendo. La conseguenza deve essere che la casa, la classe, il campo sportivo e la vita diventino il luogo per “giocarsela tutta” senza essere condizionati da blocchi e paure, per raggiungere i più alti livelli di crescita ed espressione personale.

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