La nuova terapia di esposizione per il trattamento del disturbo ossessivo–compulsivo

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Il disturbo ossessivo compulsivo: cos’è?

Il disturbo ossessivo- compulsivo (DOC) è caratterizzato da pensieri, immagini o impulsi persistenti ed intrusivi, fonti di ansia/disgusto e che portano il paziente ad attuare azioni ripetitive per tranquillizzarsi.

Rispettivamente, si parla, per l’appunto, di ossessioni e compulsioni. Per fare alcuni esempi di ossessioni possiamo citare pensieri e incertezze sul poter creare danno ad altri, scrupoli eccessivi a sfondo morale, pensieri e dubbi a sfondo religioso, amoroso o sessuale ecc.

Esempi di compulsioni sono, invece, lavarsi le mani continuamente, controllare spesso il gas, verificare di continuo la chiusura di porte e finestre oppure, seguire un ordine preciso nel compiere banali azioni.

 

Come trattare il disturbo ossessivo-compulsivo

Le indicazioni delle principali società scientifiche e le linee – guida dei sistemi sanitari dei principali paesi  sono chiari e concordi: il trattamento d’elezione per il disturbo ossessivo-compulsivo è un trattamento psicologico; non una qualunque psicoterapia, ma una specifico intervento di matrice comportamentale denominato “esposizione con prevenzione della risposta o ERP”.

I principi operativi su cui si basa sono elementari: esporre il paziente in forma massiccia e continuativa a ciò che scatena le sue più ansiogene ossessioni e, contemporaneamente, operare perché possa non mettere in atto i rituali compulsivi abituali.

Nello specifico, i protocolli di intervento includono:

  1. a) alcune sessioni di psicoeducazione sui sintomi di DOC e sulla pianificazione del trattamento;
  2. b) esposizioni ripetute e prolungate a stimoli temuti;
  3. c) eliminazione di rituali (prevenzione della risposta).

Tipicamente la terapia prevede dalle 12 alle 16 sedute, combinate ad esercizi espositivi da compiere a casa tra una seduta e l’altra.

Più di cinquant’anni di pratica terapeutica hanno prodotto una mole imponente di ricerche e di valutazioni d’efficacia. La dimensione dell’effetto, che viene oggi attestata dagli studi metanalitici, oscilla nella gamma tra 1,16 e 1, 72 con valori, dunque, eccellenti e di tutto rispetto per tale terapia. Nonostante le numerose evidenze scientifiche, però, una percentuale considerevole di pazienti (14-31%) non risponde (Foa et al., 2005; Norberg, Calamari, Cohen, & Riemann, 2008), e tra coloro che rispondono, una percentuale del 50-60% ha avuto una recidiva almeno parziale durante i follow-up  (Eisen et al., 2013).

Per tali motivi, quando dalla ricerca di base arrivano interessanti progressi riguardo la comprensione ed il potenziamento dell’estinzione della paura, argomento dal quale si è sviluppata la terapia di esposizione e la variante ERP, vale proprio la pena considerarli.

A tal proposito, recenti progressi raggiunti nelle aree di apprendimento ed estinzione della paura hanno portato alla formulazione di un nuovo modello concettuale dell’esposizione, un modello definito di “apprendimento inibitorio” – Leggi l’articolo sul modello inibitorio cliccando qui

Da questa nuova prospettiva teorica il meccanismo d’azione della terapia non viene più considerato prevalentemente l’abituazione dell’ansia, come succedeva in passato, ma bensì la formazione di nuove memorie inibitorie rispetto a quelle eccitatorie.

Tradizionalmente, a partire  dall’introduzione dell’ERP da parte dello psicologo inglese Victor  Meyer, si è sempre pensato che la terapia funzionasse aiutando le persone a “cancellare” le paure ossessive dalla memoria.

Si è, inoltre, sempre creduto che ciò accadesse a causa dell’abituazione, ossia di quel processo attraverso il quale l’ansia declina naturalmente durante una sessione espositiva e tra una sessione e l’altra.

Al contrario, nessuna di queste visioni tradizionali dell’ERP è stata coerentemente supportata dalla ricerca (Craske et al. 2014).

Per prima cosa, gli studi di laboratorio (umani e animali), le osservazioni cliniche, e le ricerche di neurobiologia sull’estinzione indicano che le paure non vengono cancellate; piuttosto la terapia dell’esposizione porta all’apprendimento di nuove memorie non minacciose (cioè inibitorie) che competono con (piuttosto che “cancellare”) quelle minacciose.

In secondo luogo, molte persone che fanno esperienza di ERP, si abituano all’ansia durante e tra le sessioni, tuttavia non migliorano. Infine, i sintomi di DOC in certi casi migliorano con l’ERP anche in assenza di abituazione.

Tutto ciò significa che, sebbene l’abituazione possa avere un certo ruolo  durante l’ERP, tuttavia essa non può essere considerata l’elemento terapeutico principale come si riteneva.

Qual è la strategia dell’ERP?

Quindi, piuttosto che mirare al declino dell’ansia durante l’esposizione, l’approccio di apprendimento inibitorio all’ERP insegna alle persone come aumentarla, mantenerla e sperimentarla il più possibile in quanto grazie ad esperienze espositive intense sarà possibile creare nuovi apprendimenti competitivi, forti e duraturi.

Un’esposizione basata sul modello inibitorio per la cura del DOC, ad esempio, non cerca di cancellare l’idea che “le maniglia delle porte sono pericolose”, facilitando ed aspettando il raggiungimento dell’abituazione ma, cerca di “forgiare” un competitor di tale idea, ossia “le manopole delle porte sono generalmente sicure”, attraverso la creazione di forti errori di predizione.

Tale strategia si basa sulla premessa che il divario tra l’aspettativa di minaccia e il risultato del confronto con lo stimolo minaccioso è fondamentale per la formazione di un nuovo apprendimento inibitorio

Rescorla e Wagner, 1972

Oltre a questa, nell’ultimo decennio sono state proposte ulteriori strategie cliniche, più o meno specifiche, per massimizzare i risultati dell’ERP ottimizzando l’apprendimento inibitorio e la sperimentazione, a breve, darà i suoi risultati (Craske et al. 2014; Jacoby e Abramowitz, 2016; Abramowitz e Arch, 2014; Arch e Abramowitz, 2015). Attendiamo, dunque, con piacevole ansia, ulteriori sviluppi in questo campo entusiasmante e in continua evoluzione.

Bibliografia

Abramowitz, J.S., & Arch, J.J. (2014). Strategies for improving long-term outcomes in cognitive behavioral therapy for obsessive-compulsive disorder: Insights from learning theory. Cognitive and Behavioral Practice, 21, 20–31.

Arch, J.J., & Abramowitz, J.S. (2015). Exposure therapy for obsessive–compulsive disorder: An optimizing inhibitory learning approach. Journal of Obsessive-Compulsive and Related Disorders, 6, 174–182.

Craske, M.G., Treanor, M., Conway, C.C., Zbozinek, T., & Vervliet, B. (2014). Maximizing exposure therapy: An inhibitory learning approach. Behaviour Research and Therapy, 58, 10–23.

Eisen, J.L., Sibrava, N.J., Boisseau, C.L., Mancebo, M.C., Stout, R.L., Pinto, A., & Rasmussen, S. A. (2013). Five-year course of obsessive-compulsive disorder: Predictors of remission and relapse. Journal of Clinical Psychiatry, 74, 3, 233–239.

Foa, E.B., Liebowitz, M.R., Kozak, M.J., Davies, S., Campeas, R., Franklin, M.E., Huppert, J.D., Kjemisted, K., Rowan, V., Schimdt, A.B., Simpson, H.B., & Tu, X. (2005). Randomized, placebo- controlled trial of exposure and ritual prevention, clomipramine, and their combination in the treatment of obsessive – compulsive disorder. The American Journal of Psychiatry, 162, 1, 151–161.

Norberg, M.M., Krystal, J. H., & Tolin, D. F. (2008). A meta- analysis of d-cycloserine and the facilitation of fear extinction and exposure therapy. Biological Psychiatry, 63, 12, 1118–1126.

Jacoby, R.J., & Abramowitz, J.S. (2016). Inhibitory learning approaches to exposure therapy: A critical review and translation to obsessive-compulsive disorder. Clinical Psychology Review, 49, 28–40.

Rescorla, R.A., Wagner, A.R. (1972). A theory of Pavlovian conditioning: Variations in the effectiveness of reinforcement and non-reinforcement. In Prokasy AH (a cura di). Classical Conditioning II: Current Research and Theory (pp. 64- 99). Appleton-Century-Croft, New York.

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