Un’impasse: le tentazioni per lo psicologo

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le tentazioni dello psicologo

Abbiamo descritto il colloquio clinico come lo strumento più specifico dello psicologo. Abbiamo sottolineato la sua assoluta alterità, la sua estraneità, la sua eccentricità rispetto all’uso ordinario della parola, al colloquio come dialogo libero, spontaneo tra due soggetti. Stavolta partiamo da un punto di impasse di un colloquio clinico qualunque, per evidenziare ulteriormente il concetto e renderlo plastico, analizzando le tentazioni per lo psicologo.

Vediamo un esempio:

Mario è un adolescente di 16 anni che si presenta presso lo sportello psicologico di ascolto di una scuola superiore. La sua apparenza ha tutti i connotati dell’adolescenza alternativo-trasgressiva. Un cerchio dilatatore apre un vuoto al lobo di un orecchio. Il ragazzo porta orecchini, dredd, perfino un tatuaggio sul braccio forse autoprodotto ovvero opera di qualche amico. “Ho un problema con il fumo” – dice, ed evidentemente intende il consumo di droghe leggere. “Sono abbastanza sicuro, cioè, che il fumo sia diventato un problema e ho bisogno di qualcuno con cui parlarne. Il fatto è che non voglio farlo con chiunque, cioè con chi non ha mai provato, e non sa di cosa stiamo parlando e magari crede chissà che cosa. Il fatto è che tu con quell’aria un po’ così, ti ho visto nei corridoi, ti ho sentito parlare… mi dai l’impressione di qualcuno che “ci sta dentro”… Allora, ho pensato, gli vado a parlare, ma voglio essere prima sicuro, se no la chiudiamo qui. Prima di dirti qualsiasi altra cosa, voglio sapere una cosa: tu, hai mai fumato, cioè ha fumato almeno una volta nella tua vita?

Questa situazione implica diverse tentazioni per lo psicologo, diverse possibili uscite dal setting che preludono al fallimento dell’atto clinico come apertura al discorso dell’altro.

 

La tentazione del maestro

E’ la più evidente, ed è ciò che Mario rifugge. Si tratta di una tentazione forte per chi svolge un ruolo educativo e si situa sempre sul piano etico, ovvero sul piano della distinzione deontica tra bene e male. E rappresenta la polarità positiva secondo la rappresentazione che del Bene si è fatto, appunto, il Maestro. Questa è la tentazione cui l’adolescente vorrebbe sempre sfuggire. E’ la tentazione di protrudere l’indice a indicare la Via, il Libro, la conoscenza rassicurante e acquisita, una risposta preconfezionata, sigillata.

In questo caso, forse lo psicologo sarebbe tentato, indipendentemente dalla propria posizione personale, di rifiutare la proposta identificatoria ponendo un chiaro no alla domanda di Mario! No, non sono quello che pensi, ho un altro ruolo. E’ una risposta particolarmente grave, perché non solo chiude il dialogo opponendosi all’orizzonte proposto dall’altro ma perché denuncia una posizione rigida, un’identificazione irriducibile con la figura del Maestro.

Mette anche in luce come due mestieri dall’apparenza simili, educatore e psicologo, siano invero opposti nell’uso che fanno della parola in rapporto all’altro. La risposta rischia e si apre anche a eccessi ideologici in direzione totalitaristica. E’ una tentazione tanto forte quanto le convinzioni personali del terapeuta vanno in una direzione opposta a quella del paziente, e forse tanto più frequente quanto il paziente è giovane e il terapeuta più maturo.

Tentazioni per lo psicologo: la tentazione dell’amico, ovvero dell’identificazione (in due varianti)

Coincide con una totale, remissiva accettazione della proposta identificatoria che l’adolescente pone sul tavolo del clinico. La prima variante coincide con l’estremizzazione di quella che Semi teorizza come “regola del linguaggio”. Io parlo la tua lingua, so usare le tue parole, quindi io sono tu e tu sei me. Più in misura ridotta, lo vediamo nella più classica e comune tra le proposte identificatorie tra paziente e clinico: “dottore, posso darle del tu?

In questa variante il clinico risponde di si, diamoci del tu. Si, ho fumato erba, tra noi non c’è distinzione di ruolo, non c’è verità, l’importante è accettare la proposta, cogliere l’occasione, accogliere, sostenere. Quello che si genera è un’apertura solo, apparente, è un colloquio che, per quanto non si chiuda immediatamente, tuttavia non presenterà distinzioni rispetto al colloquio amicale. Il rischio per il clinico è di non individuarsi più in una posizione distinta rispetto a Mario. E, quindi, di esautorare rapidamente il senso della propria parola.

Tentazioni per lo psicologo: la tentazione del buon samaritano, la seconda identificazione

La seconda variante dell’approccio che accetta la proposta di indistinzione di ruolo, appena meno perniciosa, prevede una simmetria. Ma questa volta la simmetria è sul piano dell’obbligazione alla verità, a dire di sé, ad applicare a sé – non solo all’altro – la regola fondamentale della psicanalisi, che prevede il dire tutto, sempre e comunque, aprendo la propria verità all’Altro. Dire a Mario la propria verità, la verità su di sé, tuttavia, è di nuovo un appiattimento di ruoli, di nuovo si avvicina, pericolosamente, al colloquio amicale.

Il punto è quindi, c’è una terza via? Cosa deve fare lo psicologo dato che il colloquio clinico qui non funziona, e non funziona dal principio, dato che entrambe le soluzioni “chiudono”? Qual è la domanda che porta il soggetto da noi? E di conseguenza come si può agire nel reale del colloquio il tema del da farsi, nell’interesse superiore del paziente?

Per lo psicologo esperto è fondamentale imparare a conoscere e prevedere il significato dell’azione discorsiva, che prelude, prepara una semiotica diversa del discorso clinico, che non si chiude su se stesso ma apre al discorso dell’altro. Gli spazi di miglioramento in questa pratica che si avvicina all’arte sono sempre enormi, le potenzialità infinite.

Per chi è invece agli esordi è fondamentale saper usare con sicurezza e chiarezza la tecnica principale dello psicologo e poter avere il vantaggio di una straordinaria chiarezza sulle regole da adottare e gli errori da evitare. In tutto questo la diagnosi di struttura, eseguita con sicurezza attraverso il solo colloquio è la bussola in grado di fornire coordinate certe per la direzione della cura.

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