Essere genitori adottivi: una sfida in un atto d’amore

essere genitori adottivi

L’adozione è un istituto giuridico che risponde all’esigenza di tutelare il bambino che ha subito un abbandono  materiale e morale, da parte dei  suoi genitori biologici.

Tale condizione può essere ricondotta al mancato riconoscimento del neonato, fin dalla nascita, piuttosto che all’ incapacità degli adulti di prendersene cura, da cui comportamenti di trascuratezza, maltrattamenti fisici, morali e anche abusi sessuali, condotte tutte, ripetute e continuative.

E’ bene tenere presente che la legislazione italiana tutela i diritti di chi genera e di chi nasce. Ne consegue che, alla donna, viene riconosciuto il diritto ad essere informata se riconoscere o meno come figlio il bambino generato, il diritto alla segretezza del parto, qualora abbia già deciso di non riconoscerlo, e il diritto alla necessaria assistenza.

Al bambino viene, altresì, riconosciuto il diritto di crescere in una famiglia, anche diversa da quella di origine, purché in grado di garantirgli condizioni adeguate di sviluppo psico-affettivo e fisico.

L’adozione costituisce un intervento estremo di tutela del minore, riconoscendogli di vivere nella SUA FAMIGLIA.(LEGGE 149/2001)

Si distingue tra Adozione Nazionale, con riferimento ad un bambino figlio di italiani, e/o  di stranieri, nato all’interno dello Stato Italiano e Adozione Internazionale, ovvero l’adozione di un bambino straniero che vive nel suo Paese di origine.(Legge 476/1998 “ Ratifica ed esecuzione della Convenzione dell’Aja  del 29.05.1993”).

Questa breve introduzione per coloro che  non si sono, ad oggi, occupati di questa  specifica realtà.

Consulente quasi per un decennio presso Centri Adozioni di Asl Lombarde ed Associazioni Varie, ho avuto modo di scoprire un mondo di una grande ricchezza umana, ma irto di sofferenza per i bambini ,e per gli stessi genitori.

Ciò, mi ha portata a maturare delle riflessioni e delle considerazioni, che, anche se presenti nella letteratura scientifica più accreditata, non avrei potuto comprendere così a fondo, come invece la pratica mi ha reso possibile.

Dai rapporti con il T.M., al confronto con  altri operatori, dal racconto delle “storie” di questi bambini, ai travagli dei loro nuovi genitori, in un lavoro duro, non dai risultati immediati, ma dove, dal confronto con  altre esperienze simili, con tenacia e pazienza, si riesce anche ad intravedere “l’alba” e la “rinascita”, di chi, spesso, sarebbe andato perduto, perché debole, indifeso, solo, istituzionalizzato per lunghi periodi.

Per dovere di onestà, non sempre il recupero porta a risultati, tipo quelli sopra esposti, comunque, averci provato, significa avere “coraggio, fiducia nella vita e amore da offrire”, senza aspettative di ritorno, specie, se immediate.

Non tutte le aspiranti coppie adottive, risultano essere idonee per un percorso che richiede pazienza, lungo tempo di attesa, flessibilità, verso “minori di altre etnie”, di diverso colore della pelle e di cultura, dove la “dimensione multiculturale” , a mio avviso, non è ancora una realtà  stabilizzata, nell’attuale contesto sociale italiano.

Lo stereotipo del “bimbo bello, biondo, occhi azzurri, carnagione chiara”, quasi fosse stato generato da te, è duro a morire, ma senza l’elaborazione di questi aspetti, non sussistono presupposti reali per intraprendere un percorso adottivo, costruttivo ed evolutivo per il minore e per i genitori.

Possiamo parlare di “genitorialità”  benefattoriale”, alla stregua di un’opera buona! La genitorialità, e in particolare, se adottiva, è altro.

Parimenti, il non aver fatto i conti con l’impossibilità a procreare biologicamente, a causa di  difficoltà da parte di uno o di entrambi i partner, mantiene vivo nella mente e nel cuore” il figlio desiderato ”, non quello che ti troverai di fronte, e se questo dolore mina la relazione di coppia, l’arrivo di un eventuale figlio, fosse anche biologico, per paradosso, non può che fungere  o da detonatore, o mettere in atto da parte del minore, comportamenti in sintonia con le esigenze genitoriali, ma distonici dai propri bisogni infantili.

Adottare, significa: “sentire proprio un figlio non generato e non contenuto nella propria pancia”.

Occorre che, i genitori diventino interiormente tali e che il figlio si senta figlio.

Nell’adozione, genitori e figli si diventa con un percorso lungo, che inizia il primo giorno in cui i genitori hanno iniziato ad attendere e sperare e il bambino con il desiderio di essere accolto. Il sentirsi amato, protetto, accudito, è un percorso del progetto adottivo che si costruisce piano piano, giorno dopo giorno.

Le condizioni di gravi carenze, di maltrattamenti sta a dimostrare che per essere genitori non basta procreare.

Il ruolo fondativo dell’essere padre e madre non consiste nella trasmissione del DNA: la sua essenza è costituita intorno a rapporti affettivi reciprocamente arricchenti, siano i figli biologici o adottivi.

Il genitore, dovrebbe essere colui, che si assume la responsabilità di crescere, educare, ma soprattutto “amare”, l’altro” diverso da lui, nell’impegno di sostenerlo, incoraggiarlo e responsabilizzarlo a trovare la  strada che sgorga dalla propria  anima e lo aiuti a realizzarla.

“Quello che noi adulti  avremmo voluto essere” e proiettiamo sui figli, piuttosto che “il  figlio, bastone della vecchiaia”, sono “falsi miti dell’amore genitoriale”!

Amore, è “lasciare andare”, rendere possibile “spiccare il volo”, sapendo che, c’è sempre  qualcuno cui puoi fare ritorno, un nido in cui sostare. Così, un figlio sente di “appartenere” ad una famiglia, avverte crescere la fiducia in sé e verso la vita, rendendosi capace, a sua volta di donarla.

Mi piace chiudere con questi pochi versi di Gibran, tratti dal “Profeta”:

 “I figli, non sono i nostri figli”.

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