Secondo i dati del World Alzheimer Report 2015, circa 40 milioni di persone al mondo sono affette da una qualche forma di demenza e ogni 3 secondi viene fatta una nuova diagnosi; il costo dell’assistenza ha raggiunto l’1% del PIL mondiale dunque, senza dubbio, le demenze rappresentano una priorità per i sistemi sanitari mondiali. In tutto il mondo, il costo della demenza nel 2015 è stato stimato in 818 miliardi di dollari. Entro il 2030, si prevede che diventerà una malattia da 2000 miliardi di dollari.
Dall’altra parte invece, nuovi studi epidemiologici rivelano che, nell’ultimo decennio in Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Paesi Bassi, Svezia e Danimarca, un soggetto di età compresa tra 75 e 85 anni ha un minor rischio di avere l’Alzheimer oggi rispetto a 15 o 20 anni fa ( articolo apparso nel 2015 su “Alzheimer’s Research & Therapy”.)
Per cui se da un lato con l’aumento della popolazione anziana globale tende ad innalzare il numero assoluto di persone con Alzheimer e altre forme di demenza, dall’altro, studi mostrano che il rischio di demenza di un adulto anziano continua a diminuire, questo grazie anche a cambiamenti negli stili di vita e nelle misure di prevenzione nell’ultimo quarto di secolo (secondo Kennet Langa professore dell’università del Michigan, che ha focalizzato la sua attenzione proprio su questi temi)
In un articolo apparso su Scientific American, si è cercato di capire cosa può aiutare a diminuire il trend nella frequenza.
Chiaramente il quadro risulta complesso, ma sicuramente a molto ha contato la prevenzione, la precoce valutazione , l’avvento delle neuroimmagini, un più alto livello di scolarità e la crescente consapevolezza della malattia di Alzheimer, che aumenta la probabilità che i medici pongano questa diagnosi rispetto ad alcuni decenni fa, anche a parità di deficit cognitivo.
Malgrado le evidenze sull’importanza di una diagnosi precoce, emerge da un recente studio , pubblicato su Preventing Chronic Disease e firmato da Mary Adams, che la maggior parte degli adulti under 65 con disturbi mnemonici soggettivi tende a non parlarne con il suo medico, perdendo l’occasione di ricevere una diagnosi precoce e un tempestivo trattamento.
Una diagnosi precoce permetterebbe:
- un tempestivo intervento sulle cause delle demenze reversibili
- l’istituzione di terapie che possono ritardare la progressione della malattia
- l’inizio di terapie che possono potenziare la performance cognitiva del paziente sfruttando la sua non completa compromissione dei circuiti neuronali
- l’attuazione di misure che riducono gli effetti della comorbilità associata alla demenza
- l’attuazione tempestiva da parte del paziente e della famiglia di misure necessarie per risolvere i problemi connessi con la progressione di malattia.
Considerati i vantaggi di una diagnosi precoce, una demenza andrebbe tempestivamente sospettata in soggetti anziani che presentino un iniziale declino delle capacità cognitive.
Il nostro obiettivo era di approfondire la mancata interazione tra pazienti adulti con deficit mnemonici e professionisti sanitari
spiega Adams, che usando i dati del 2011 relativi al sondaggio Behavioral Risk Factor Surveillance System ha identificato circa 10.000 adulti di 45 anni o più anziani che riferivano disturbi mnemonici soggettivi tra cui momenti di confusione o di perdita della memoria verificatisi spesso o peggiorati nell’ultimo anno.
Di questi, solo un individuo su quattro ha parlato del problema con un operatore sanitario durante le ultime visite mediche
Sottolineando che chi manifestava il problema erano coloro nei quali i disturbi della memoria interferivano con le faccende domestiche o con l’attività lavorativa.
Effettuare un’indagine sistematica sulle differenti funzioni cogniti risulta indispensabile, soprattutto nelle fasi iniziali di una demenza, quando è incerta la presenza stessa del deterioramento.
Secondo l’Alzheimer Society oltre un quinto delle persone è inconsapevole che si può ridurre il rischio di demenza
Nel settembre 2015, c’è stata la campagna di sensibilizzazione “I volti della demenza”, condivisa da tutti i Paesi che hanno partecipato alla XVIII Giornata mondiale Alzheimer. Tre quarti dei 36 milioni di persone nel mondo che si stimano vittime di questa malattia degenerativa non ricevono una diagnosi, spesso come risultato del falso convincimento che la demenza faccia parte del normale invecchiamento e che non ci sia nulla da fare.
Il rapporto mondiale Alzheimer 2011, “I benefici di diagnosi e interventi tempestivi”, raccomanda ai governi di tutto il mondo di realizzare una propria strategia nazionale sulla demenza che promuova diagnosi e interventi tempestivi
La diffusione delle neuroscienze cognitive fa si che lo psicologo sia lanciato in nuovi scenari lavorativi dove potersi differenziare per la competenza specifica nell’uso di test specifici per lo studio dell’encefalo.