Il desiderio non è un bene ereditabile, né interscambiabile. Può essere invece trasmesso, mai attraverso sermoni. Ma con l’esempio e la testimonianza, l’attitudine a riconoscere il proprio desiderio, a sentirne su di sé la forza, a risponderne alla chiamata.
Dire “Sì” al proprio desiderio, che parla una lingua diversa da quella dell’Io, vuol dire sintonizzarsi sulle stesse frequenze dell’inconscio, impegnarsi nella traduzione, maneggiare qualcosa che ci appartiene intimamente, superandoci allo stesso tempo. Vivere secondo il proprio desiderio scongiura il rischio di ritrovarsi prigionieri nella vita degli altri, ridestandosi in ritardo, anche se in ritardo del tutto non si è mai.
Ma accogliere il proprio desiderio non è mai facile. Richiede sempre coraggio, devozione, capacità di dire “No” all’eventualità di ignorarlo, silenziarlo, spegnerlo, per votarsi alla stregua di una vittima sacrificale all’altare degli altri e, dunque, alla malattia e, dunque, al potere della pulsione di morte.[1]
Quello con il proprio desiderio è un incontro, che può coinvolgere subito il soggetto o arrivare improvvisamente, folgorandolo sulla strada per Damasco.
Il desiderio di Aladino
Nel racconto “Mille e una notte”, Aladino scopre di poter desiderare nel momento più triste della propria esistenza. Si trova sottoterra, gettato lì dal mago. Ha effettuato giorni prima una descensio ad inferos senza possibilità di ritorno. Sembra condannato quindi a finire i suoi giorni lì, in solitudine, lontano dalla luce e dal suo futuro. Sino a quel momento, è un giovane indolente e incurante dei rimproveri, senza passione se non quella per il vagabondaggio, senza alcun timore delle parole del padre che, per il dispiacere di un figlio così, perde addirittura la vita.
Appena Mustafà aveva volta la schiena, Aladino scappava, più non tornando per tutto il giorno. Castigavalo il padre, ma il ragazzo era incorreggibile, e con gran dolore Mustafà fu costretto ad abbandonarlo al suo libertinaggio. Il dispiacere di non poter far rientrare il figliuolo nel suo dovere, gli fu cagione d’un’ostinata malattia, della quale morì in capo a pochi mesi.[2]
La caduta di Aladino appare dunque al lettore la conseguenza inevitabile di una spregevole condotta. Ma il mago, che lo imprigiona sottoterra, pone in realtà fine all’eremitaggio. Obbliga il ragazzo alla sosta, ne blocca bruscamente la sprovveduta corsa verso il nulla, nega attrazioni alla sua pulsione di morte. La punizione dello zio malefico costringe infatti il ragazzo a confrontarsi con la propria mancanza, col buio che, prima di allora, abitava comunque, senza il benché minimo sospetto. Rimanendo nelle tenebre e nell’oscurità, riacquista, sia pur con dolore, la vista. Non a caso, il viaggio nei meandri della terra rappresenta spesso un punto di non ritorno, un’esperienza tanto forte quanto illuminante, un’opportunità per capire e vedere meglio. Ulisse, ad esempio, dovrà raggiungere Tiresia nel regno degli inferi, per poter scoprire i dettagli del suo viaggio. E Persefone dovrà essere rapita dallo zio e vivere nell’Ade, per diventare una donna e sottrarsi all’attenzione asfittica della madre Demetra.
La vita, che cambia e che sprofonda, e la terra, che si chiude coprendo per sempre il cielo, suscitano la disperazione di Aladino, che al terzo giorno di forzata clausura formula la sua domanda di aiuto. Le sue mani giunte, rivolte a Dio, gli permettono di sfregare l’anello magico, di cui ignorava i poteri. E scopre così per la prima volta che può sentire, volere, preferire.
Rimase Aladino due giorni in tale stato, senza mangiare, nè bere; il terzo finalmente, ritenendo come inevitabile la morte, alzò le mani congiunte, e con intera rassegnazione alla volontà di Dio, sclamò «— Non v’ha forza e potenza se non in Dio, l’altissimo, il grande!». In quell’azione di congiungere le mani, fregò, senza pensarvi, l’anello postogli in dito dal mago affricano, e del quale non conosceva ancora la virtù. Tosto un genio di enorme figura e sguardo spaventevole, gli si levò dinanzi come di sotterra.
Dall’anello, apparirà il primo Jinn. Chi è il Genio, se non il desiderio che Aladino portava con sé e che ignorava? Quale potenza, se non quella generata dal desiderio, permette all’uomo di realizzare se stesso, di coincidere con ciò che più corrisponde alla propria verità, di aderire alla propria vocazione? Cosa potrebbe fermare l’uomo che riesce ad interrogarsi, che riesce a scoprire il proprio desiderio e a seguirlo, proteggendolo ora dalla bonaccia della quotidianità e delle insicurezze, ora dalla furia dei venti, quando la vita sembra voler ostacolare anche il più timido viaggio?[3]
Aladino assiste dunque all’epifania del proprio desiderio, che prima rifiutava di incontrare. Ne accetta la responsabilità, gli dà e gli rivolge la parola. La sua domanda, facendo rinvenire il desiderio, lo mette insomma letteralmente in moto, permettendogli di risalire in superficie. La forza del Genio è, proprio come quella del desiderio, una forza che appartiene al ragazzo e che pure lo supera, lo travolge, lo trascina su.
In altro tempo ed in tutt’altra occasione, Aladino, il quale non era avvezzo a simili apparizioni, avrebbe potuto sentirsi colto da terrore, e perdere, alla vista d’una figura sì straordinaria, la favella. Ma occupato unicamente dell’urgente pericolo in cui si trovava, rispose senza esitare: — Chiunque tu sia, fammi uscire da questo luogo, se ne hai il potere.» Appena ebbe pronunziate tali parole, la terra si aprì. Ed egli si trovò fuor dalla caverna, ed appunto nel sito medesimo dove avevalo condotto il mago.
Da questa seconda nascita in poi, Aladino riuscirà a vivere la propria vita con una nuova consapevolezza, con un nuovo coraggio e con un’inventiva mai avuta prima. Riesce infatti, da umili origini, a diventare sovrano, cioè a capovolgere, rivoluzionare, rendere fruttifera la propria vita.
Così Aladino fu liberato dalle persecuzioni de’ due fratelli maghi. Pochi anni dopo, il sultano morì in estrema vecchiaia, e non lasciando maschi, gli successe la principessa Badrulbudur, in qualità di legittima erede, e diviso con Aladino il potere supremo, regnarono insieme lunghi anni, lasciando un’illustre posterità.
La vendetta del malefico mago e l’isolamento che ne consegue creano un vero e proprio cortocircuito nel ragazzo. Incoraggiano in lui la domanda di salvezza, che ne trasforma la postura. La domanda svela agli occhi di Aladino la propria capacità a desiderare. Lo rivela soggetto desiderante, ne riabilita il desiderio, che prima era sregolato, fuori controllo, lontano dalla Legge, senza padre non a caso, diretto verso l’autodistruzione. Aladino riesce a far tesoro dell’opportunità.
L’interpretazione di Massimo Recalcati
Massimo Recalcati parla a tal proposito di un piccolo scarto che può sovvertire i pronostici, cambiare il destino, riformulare ciò che sembra scritto una volta per tutte. La deviazione dal percorso tracciato permette all’individuo di soggettivarsi, di diventare cioè soggetto. Di non subire più passivamente le proprie origini, di riscrivere il proprio destino. E, in questa operazione di riscrittura, diventarne in una qualche misura anche artefice. L’incontro, solo in apparenza, sfortunato con il mago e il sequestro sottoterra sono la deviazione che permette ad Aladino di diventare altro rispetto al fallimento al quale il suo fantasma lo aveva già condannato. La pausa gli offre la possibilità di agganciarsi al desiderio e di risalire con una nuova predisposizione nei confronti della madre, ad esempio, e della vita.
Ma la vita può prendere corpo solo se avviene un piccolo scarto, un movimento obliquo, una deviazione, un clinamen dirà Epicuro, capace di spostare il destino già scritto della goccia in modo tale da provocare, nella sua caduta verticale, uno spostamento verso un’altra goccia. È quello che vediamo accadere sulla superficie della finestra nelle giornate di pioggia. Mentre percorrono la superficie del vetro discendendola le gocce incontrano casualmente altre gocce dando vita ad accorpamenti più ampi, a “linee di fuga”, direbbe forse Deleuze, ad aggregazioni e a traiettorie impreviste. Potenza dell’incontro, forza contingente della týche, della deviazione, del concatenamento; potenza di Eros, direbbe Freud.[4]
Autrice: Dr. Alessandra Calabrese
[1] Massimo Recalcati, Ritratti del desiderio, Raffaello Cortina Editore, Milano 2018 (seconda edizione)
[2] Anonimo – Le Mille ed una Notti (X secolo), Traduzione dall’arabo di Antoine Galland, Eugène Destains, Antonio Francesco Falconetti (1852)
[3] La mia versione del desiderio è diversa. È quella che trovo nel Vangelo, in Freud, in Lacan. Desiderio qui non è la spinta a inseguire un oggetto impossibile, ma l’assunzione soggettiva della propria vocazione, un gesto di responsabilità, una forza in atto. Questo “conatus” (come dice Spinoza) è miracoloso: rende possibile la vita, la moltiplicazione dei pani e dei pesci. È vita realizzata. Vita beata. “Dai libertini ai melanconici”, Bruno Giurato intervista Massimo Recalcati per Linkiesta, 25 novembre 2019.
[4] Massimo Recalcati, Il segreto del figlio. Da Edipo al figlio ritrovato, Feltrinelli, Milano 2017, pp. 70-71
One thought on “L’incontro con il proprio desiderio”
annalauramarchetti says:
Chiaro , istruttivo e tanta empatia. Direi che e’ fortunato colui che nasce in una famiglia che sappia educare al desiderio