Strategie di intervento nella disabilità intellettiva lieve

disabilità intellettiva lieve

Avete sentito parlare di “ritardo mentale lieve” o “disabilità intellettiva lieve”?

Sicuramente sì, perché la diagnosi di disabilità intellettiva lieve riguarda circa l’1% dei bambini, costituisce uno dei motivi più frequenti per consultare un neuropsichiatra infantile, e una delle principali ragioni per l’assegnazione di un insegnante di sostegno.

Potreste con ragione pensare che siano ben note le caratteristiche dei bambini con disabilità intellettiva lieve:

  • un QI basso, dunque scarse abilità di ragionamento;
  • difficoltà ad adattarsi a situazioni sociali nuove, ad inserirsi in giochi e conversazioni tra pari;
  • scarsa autonomia e ansia quando ci sono cambiamenti nelle routines di vita quotidiana;
  • difficoltà ad apprendere concetti e abilità complesse.

Tutto questo vi aspettate da una diagnosi neuropsichiatrica che ha un’antica tradizione, antica almeno quanto lo sono i test che misurano l’intelligenza.

Un nuovo modo di studiare la disabilità intellettiva lieve

Molti recenti studi suggeriscono però che dovremmo accostarci con nuove idee al problema della “disabilità intellettiva lieve”. La Prof.ssa Margherita Orsolini, coordinatrice del Corso di Alta Formazione dell’Uni Roma su tali tematiche (info: Dott.ssa Angela Santese, angela.santese@libero.it) ci propone un  breve viaggio verso informazioni e concetti in parte nuovi.

Scoprirete che psicologi, neuropsichiatri infantili, terapisti della riabilitazione possono avere strumenti nuovi per aiutare i bambini a sviluppare le loro risorse cognitive ed emotive.

 

1- QI e Intelligenza

L’idea che il nucleo essenziale di un disturbo evolutivo (come quello di “ritardo mentale lieve”) possa cogliersi attraverso il QI si basa sulla convinzione che il QI possa essere un buon indicatore dell’intelligenza. Alcuni studiosi (Carroll, 1993) non sono mai stati d’accordo con l’idea di un fattore di intelligenza generale (il famoso fattore “g”) e hanno invece affermato che ci sono tante specifiche abilità alla base dei punteggi che concorrono al QI. Non c’è nessuna certezza scientifica a conferma dell’affermazione che il QI sia un indicatore DELLA capacità intellettiva. Un QI deficitario potrebbe essere il risultato di deficit in un vasto insieme di abilità e conoscenze piuttosto che l’espressione di un deficitario sviluppo di un unico fattore, quello (qualsiasi esso sia) che coincide con la capacità intellettiva di un individuo.

 

2- Cervello e QI

Alcuni recenti studi di neuroscienze hanno cercato di mettere in relazione variazioni nel QI e variazioni neurobiologiche. Sulla base delle correlazioni tra QI e volume di specifiche aree corticali, Jung e Haier (2007) propongono un modello “frontoparietale” in cui risulta cruciale l’interazione tra aree che elaborano l’input sensoriale visivo e uditivo, alcune aree della corteccia parietale, alcune aree prefrontali e frontali.
L’interazione tra queste aree sembrerebbe indicare che un ottimale sviluppo cognitivo dipende dal fatto che comportamenti intenzionali e finalizzati al raggiungimento di uno scopo (sostenuti dalle aree frontali) possano facilmente attingere a informazioni di natura sensoriale e motoria per realizzare una convergenza tra rappresentazioni diverse, per selezionare o inibire specifiche informazioni in funzione degli obiettivi della persona, e avvalersi della memoria di lavoro (aree prefrontali e parietali) per mantenere disponibili le informazioni rilevanti ed elaborarle secondo le necessità del momento.

 

3- Apprendimento e QI

Se consideriamo lo strumento più frequentemente adottato per avere una misura del QI (la nota batteria WISC di Wechsler, 1991) possiamo notare che pochissimi subtest possono misurare una capacità di ragionamento o di concettualizzazione astratta. La maggior parte dei subtest richiede invece il recupero di conoscenze sul mondo e di nozioni scolastiche, l’uso di apprendimenti linguistici, aritmetici, sociali, oppure coinvolge abilità visuomotorie e visuo-spaziali o rapidità di processamento visuo-motorio.
Un alto o basso QI risulta dunque in gran parte determinato da una generale facilità ad
acquisire-memorizzare conoscenze e procedure visuo-motorie e visuo-spaziali.

Che il QI sia molto in rapporto con la “facilità ad apprendere” lo rivela uno dei dati più solidi della ricerca psicometrica: il QI è un buon predittore delle prestazioni scolastiche, mostra infatti un’alta correlazione con i voti a scuola (Neisser et al., 1997).

 

4- Funzioni cognitive

Apprendimenti e plasticità del cervello: l’apprendimento, anche quello più specifico, richiede però l’efficienza di alcune funzioni attentive ed esecutive: saper dedicare attenzione consapevole a un compito, controllare informazioni o risposte che possono essere in conflitto tra loro, alternare l’attenzione tra tipi di informazioni diverse a cui applicare procedure o regole, mantenere in memoria una serie di informazioni visive o verbali. Queste importanti funzioni sono in genere carenti nelle persone con QI sotto la norma (Jarrold et al. 2000; Lanfranchi et al. 2004, 2009; Vicari et al., 2006; Schneider et al., 2009; Schuchardt et al., 2010). Ma queste funzioni possono essere molto potenziate con opportune strategie di intervento.

La ricerca neurobiologica mostra che a partire da una ridotta possibilità di apprendimento l’ambiente può avere un ruolo cruciale nello stimolare uno sviluppo delle connessioni neuronali. Un ambiente arricchito può modificare lo sviluppo del cervello inducendo sinaptogenesi e formazioni di dendriti (Dierssen et al., 2003; Restivo et al., 2005).

 

5- Immagine di sé e apprendimento

Un essere umano che ha appreso a considerarsi non intelligente ha paura di fronte a situazioni nuove. Ha paura di venire in contatto con un’immagine di sé interpretata come inabile e incompetente; ha paura di sperimentare un’umiliante vergogna che provoca una condanna interna, un senso di confusione e insicurezza. Dati questi sentimenti, la tendenza di molti ragazzi con “disabilità intellettiva” e dei loro genitori è di proteggersi dalle novità e dalle situazioni complesse, di rifugiarsi in consolanti routines sia nella vita sociale sia nelle situazioni d’apprendimento.
Costruire una nuova idea di sé è molto importante per motivare l’impegno, lo sforzo, l’apertura emotiva necessari per apprendere.

Ecco che cosa diceva Damiano di se stesso, nel corso dell’intervento che abbiamo compiuto con lui e la sua famiglia, riuscendo a modificare sostanzialmente la sua capacità di fare ipotesi, affrontare problemi e ragionamenti, interagire con i pari. L’ estratto verte su una decisione che D. (15 anni) e la sua famiglia dovevano prendere a proposito del trasferimento da un istituto professionale per il turismo ad un istituto artistico. Ricominciare dal primo anno o trasferirsi in una classe di secondo anno?

 

ADULTO: Beh, se ricominci dal primo anno avresti due anni di più dei tuoi compagni ((D. è andato a scuola
un anno più tardi))
D.: tanto non importa, tanto anche se c’ho due anni in più, gli altri sono sempre più intelligenti.
ADULTO: che cosa? Che hai detto? ((scherzando, marcando esageratamente le espressioni del viso))
D.: che anche se c’ho due anni in più, gli altri sono sempre più intelligenti.
ADULTO: tu pensi questo? Pensi questo?
D.: ((sorride))
ADULTO: sono più intelligenti in tutto?
D.: sì ((sorride))
ADULTO: ((abbassa la testa e fa un lungo sospiro)) ma io vorrei sapere perché… noi lavoriamo e tu però
pensi sempre queste cose negative, D.
D.: non lo so ((sorride))
ADULTO: ma tu spiegami una cosa, non c’è una cosa in cui ti senti intelligente?
D.: quando faccio le cose da solo mi sento intelligente.
ADULTO: ah…e come mai allora?
D.: quando non so le cose, non mi sento.
ADULTO: ah, quando non sai le cose pensi “non sono intelligente”. Invece non è che pensi “non so le cose
perché le devo ancora imparare”. Non è che pensi che puoi imparare, non lo pensi mai questo, che puoi
imparare?
D.: non l’ho mai pensato ((sorride))

 

6- Strumenti di valutazione neuropsicologica

Se partiamo dall’ipotesi che esistono complessi itinerari di sviluppo cognitivo e socio-affettivo, in cui variabili condizioni genetiche, neurobiologiche e socioculturali producono deficit in una vasta ma variabile gamma di funzioni cognitive, capiamo che l’impresa diagnostica è più complessa di quella che si basa sulla determinazione del QI e del livello di funzionamento adattivo dell’individuo (su questo punto vedere anche Di Nuovo e Buono, 2010; Ruggerini et al., 2008; Vianello, 2004).

E’ importante utilizzare strumenti di valutazione che permettano di individuare le specifiche funzioni cognitive carenti e di individuare alcune priorità per l’intervento.

 

7- La realizzazione di interventi con bambini che hanno storie di sviluppo complesse ha bisogno di alcune condizioni:

  •  Attività costruite per stimolare funzioni cognitive specifiche.
  • Un contesto che promuova la modificabilità cognitiva del bambino sia con esercizi sistematici sia attraverso modalità comunicative che motivano l’apprendimento intenzionale e l’uso di strategie.
  •  Una relazione affettiva operatore-bambino che faciliti coinvolgimento emotivo, consapevolezza delle proprie e delle altrui emozioni, fiducia nella possibilità di affrontare compiti complessi e talvolta faticosi.

 

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0 thoughts on “Strategie di intervento nella disabilità intellettiva lieve

  • Bertolino Caterina says:

    Gentile Nicola Piccinini, sono un genitore di un ragazzo con disabilità intellettiva lieve, ormai di 19 anni, i vari terapisti da sempre hanno fanno sempre spallucce, come dire, pazienza vuol dire che avrete un figlio impacciato, cioè stupido. Noi non abbiamo mai considerato tutto ciò e abbiamo proseguito per la nostra strada, continuare a tirar fuori da nostro figlio il massimo, in un certo qual modo ci stiamo riuscendo, ma con le nostre forze, improvvisando, ma con amore. Bando alle chiacchiere, mi piacerebbe che indicaste le strategie per per poterli aiutare. Grazie.

    • donvitobarbara says:

      Buongiorno Caterina sono una psicologa e mamma di una ragazza con disabilità intellettiva. Devo dire che la nostra è stata una strada lunga e faticosa, fatta anche di valutazioni molto lunghe e stressanti. Interessante per me dal punto di vista psicologico perché mi sono resa conto sulla mia pelle quanto spesso si dedichi il tempo a fare diagnosi e valutazione. Dal punto di vista poi pratico ci siamo mossi sempre con tanto amore e cercando sempre stimoli nuovi. Spesso ci aspettiamo risposte o indicazioni precise e invece ogni ragazzo è a sé. Mi sono resa conto che è importante dare tante opportunità a questi ragazzi che purtroppo tante famiglie non possono offrire perché devi andare in privato. Ho letto con interesse l articolo e forse mi aspettavo qualcosa di più. Ma forse è solo un estratto. Penso anche che ci vogliono indicazioni e percorsi che siano compatibili con la vita di tutti i giorni. Va trovato un equilibrio. Nessuno ti dà una ricetta da seguire penso che sia una ricerca continua, un viaggio accanto ai nostri ragazzi. Con amore come ha detto lei. Senza amore non si va da nessuna parte. E con tanta pazienza perché a volte è proprio stancante. Grazie

  • Scrivo solo per correggere o forse aggiornare il link postato da Laura del sito del prof.Feuerstein
    http://icelp.info/

    Qualcuno ha mai partecipato hai corsi di formazione? Può raccontare la sua esperienza?

    Vi ringrazio e saluto

    Lisa

  • Buongiorno a tutti,
    sulla disabilità intellettiva, anche non lieve, esiste da molto tempo un approccio riabilitativo basato appunto sull’attenzione e lo sviluppo delle funzioni cognitive. Si tratta dell’approccio del Prof. Reueven Feuerstein, psicologo ebreo ultra ottantenne. Si tratta di un aproccio divulgato ormai in tutto il mondo che si basa sul concetto di mediazione e di Modificabilità Cognitiva Strutturale legata, appunto, alla possibilità di migliorare le funzioni cognitive in modo duraturo e stabile. Questo il sito dell’ICELP che ha sede a Gerusalemme: http://www.icelp.org.
    L’approccio prevede anche degli strumenti di valutazione, denominati LPAD, che, come detto anche nell’articolo, sono assolutamente slegati dal concetto di QI.
    Buonagiornata,
    Laura

  • Giuseppe F says:

    Titolo interessante, inizio a leggere nella speranza di apprendere qualche informazione nuova. Arrivo alla fine e….nessuna informazione, ma uno spot su un corso di formazione (che presumo a pagamento). Ottima operazione di marketing. Deludente il fatto che questi piccoli “inganni” vengano messi in atto proprio all’interno della nostra categoria.

    • Gentile Giuseppe è prassi comune in tutti gli ambiti formativi e non solo, di psicologi e non solo, che chi propone percorsi o servizi – gratuiti o a pagamento – produca anche contenuti di interesse da far pubblicare, così da presentare più dettagliatamente alcuni dei temi trattati e da poter eventualmente avviare anche contatto e dibattito.

      E’ veramente ingenuo, o miope, o altro venire a parlare di “inganni”. E mi dispiace quando incontro colleghi che riescono a vedere qualcosa di storto anche dove non c’è nulla di storto.

      Altri colleghi hanno commentato, stanno condividendo considerazioni ed opinioni. L’articolo è comunque uno spunto per discutere tra chi fosse interessato all’argomento. Sarebbe molto più sano vivere così questo contenuto ;)

      M’era passato di cestinartelo direttamente, ma poi magari trovavo altri strilletti… ed allora, eccoti il commento pubblicato :)
      Al prossimo di questo tenore passo però diretto al cestino… se non piace… si cambia canale :)

      buona vita
      nicola

  • silviagoi says:

    Il bellissimo dialogo con il preadolescente, semplice ma letterario nella concezione, scatena una serie di interrogativi
    ( anche perché non è stato contesualizzato ulteriormente, certo per discrezione). Il ragazzino interagisce con adulti in modo occasionale o prevalente? Potrebbe essere una causa di senso di minorità perenne rispetto allo standard intellettivo ( o prassico ?) dei compagni. Il senso di inadeguatezza provato nei confronti degli adulti fa dei suoi coetanei degli adulti ai suoi occhi, che logicamente meglio si destreggiano e socialmente appaiono più a proprio agio. L’adulto ( psicologo quantomeno nell’azione) cerca di inserirsi nella dinamica, ‘mettendo in atto’ i pensieri attribuiti dei compagni. Il suo modello seguirà il ragazzo nel confronto diretto – e l’individuo cercherà di difendere, di non guastare l’influenza d’aiuto che sa di contenere. Questo, certo, se il modello funziona. Perché pur sempre
    proveniente da altra ‘acqua percettiva’, adulta. Nella prospettiva iperoggettiva come quella di chi ritiene di aver subito smacchi, però,
    il ragazzo rappresenta l’adulto solo in percentuale, per delega, in forma significativamente meno forte.

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