…stiamo diventando un po’ tutti […] degli “ortoressici sociali”; trasferendo sul cibo probabilmente paure e angosce “altre”, che appaiono sempre più concatenate alla non facile situazione che stiamo vivendo. […] abbiamo bisogno di qualche punto fermo su timori condivisi e comportamenti alimentari omologati (Cleto Corposanto, 2018)
Secondo le stime del Ministero della Salute (2017) quasi 3 milioni di italiani soffrono di disturbi alimentari. Tra loro, 500 mila circa sono ortoressici, localizzandosi maggiormente nelle metropoli come Milano, Roma e Firenze.
La mancanza di consenso su cosa sia realmente patologico e cosa rappresenti, invece, un semplice atteggiamento alimentare dettato da tendenze sociali o business economici legati al cibo, rende il fenomeno dell’ortoressia nervosa tanto preoccupante quanto imminente in termini di ricerca e studio accademico.
Orthorexia nervosa e healthy orthorexia
Il termine “ortoressia nervosa” (ON) fu introdotto per la prima volta nel 1997 da Steven Bratman, dietologo americano. Egli fu in grado di dare una connotazione patologica al comportamento alimentare di cui egli stesso aveva scoperto di soffrire. Il termine così composto (ortho: corretto; orexis: appetito) sta ad indicare l’ossessione per l’alimentazione sana, con l’obiettivo implicito non di perdere peso, ma di cibarsi di alimenti considerati puri e genuini in tutte le loro possibili sfaccettature.
Ortoressia e qualità del cibo
Mentre l’anoressia si focalizza sulle quantità, l’ortoressia si concentra dunque sulla qualità del cibo. Il paziente ortoressico è infatti molto attento alla ricerca, selezione, preparazione e consumo dei pasti. Spende gran parte della propria giornata in pianificazione e organizzazione, compromettendo non solo la propria vita sociale, ma anche la propria salute fisica e psicologica.
L’estremizzazione dei comportamenti e dei pensieri di purezza e di salubrità del cibo sembrano configurare questo disturbo come una pratica di espiazione dal cosiddetto “peccato di gola”, ovvero da quanto considerato contaminato e lussurioso, capace quindi di “infettare” il corpo della persona a partire dalla sua interiorità.
Ortoressia e aspetti psicologici
L’accezione spiritualistica del disturbo ricade nell’assemblare corpo e mente in un’unica entità, definendo a priori dei rituali di purificazione attraverso pratiche di programmazione e selettività degli alimenti. Tale restrizione non ricade solo sul cibo ma anche sulla vita sociale del soggetto, il quale si ritroverebbe ad eliminare qualsiasi comportamento che vada contro il suo dogma, il principio di purezza che lo renderebbe libero, giusto, in salute e in perfetta armonia con l’universo.
I tratti psicologici maggiormente emergenti sono, non a caso, il pensiero rigido e fisso, la tendenza al perfezionismo e il bisogno di controllo. Queste caratteristiche permetterebbero alle persone di attribuire ai loro regimi alimentari una forte valenza identitaria (Cerasa A., Trapasso R., 2018), uno spazio in cui poter definire chiaramente il proprio Io all’interno di una realtà controllata e strutturata.
L’ortoressia nervosa: due tappe
Secondo la teorizzazione di Bratman (2017), l’ON attraverserebbe due tappe specifiche disposte su un continuum. Una prima fase, definita dall’autore stesso come “innocente” e “meritevole”, che consiste nell’attenzione sulla scelta di cibi salutari al solo scopo di curare una patologia cronica o di mantenersi in salute. La scelta, in questo caso, sarebbe dettata da oggettive esigenze fisiche e fisiologiche di rispettare un regime alimentare piuttosto che un altro. Poiché questo comporta inevitabilmente un cambiamento radicale nelle proprie abitudini alimentari, il soggetto è sottoposto a continui stress e frustrazioni legati alla restrizione, portandolo a sviluppare sempre più l’auto-disciplina, il rigore e la severità verso se stesso per poter mantenere in vita quel regime.
Ecco come, a lungo andare, si entra nella seconda fase: l’intensificarsi di tale atteggiamento diventa una vera e propria ossessione, alimentata dalla forte autostima e senso di auto-efficacia che deriva dal riuscire a perseverare nella dieta prescelta, come una sorta di sfida quotidiana contro se stessi. Il pensiero ossessivo su cosa mangiare diventa tale, fino ad avere il timore per le conseguenze che possono derivare da eventuali trasgressioni dietetiche, alimentando ancora una volta la fissazione e la rigidità nei criteri di scelta e consumo.
Ortoressia nervosa tra patologia e funzionalità
Il labile passaggio dalla prima alla seconda fase è utile a comprendere quanto sia difficile poter definire, in una fase preliminare, che cosa sia realmente patologico e cosa rispecchi invece un comportamento alimentare funzionale volto a rispettare la propria salute. Tra gli studi condotti fino ad oggi emergono, infatti, diversi riferimenti ad un’ortoressia di tipo salutare (healthy orthorexia). Barrada e Roncero (2018) hanno dimostrato come nel costrutto di ON sia presente anche un interesse non patologico per il mangiare sano. I criteri che compongono l’ortoressia salutare sono riconducibili ad un sano interesse per la dieta, comportamenti salutari riguardanti un regime alimentare ed il mangiare sano come parte della propria identità e stile di vita.
Questo specifico comportamento alimentare, non solo sarebbe correlato con il costrutto di affettività positiva della persona, ma determinerebbe anche un fattore di protezione da comportamenti alimentari disfunzionali.
Le due facce dell’ortoressia nervosa
In sintesi, le principali differenze tra le due facce dell’ortoressia risiederebbero proprio nel rapporto che si ha con gli alimenti e nel concetto di salubrità di cui essi si fanno portatori. Nel caso dell’ON, l’importanza dei sensi e in particolare del gusto nella scelta del cibo sembrerebbe passare in secondo piano rispetto all’idea di purezza e genuinità che questo può avere.
Diversamente, per l’ortoressia salutare esisterebbe un primo focus relativo alla selezione di alimenti ritenuti sani. Si considera comunque l’aspetto gustativo ed esperienziale del mangiare come parte integrante della scelta sana. In questo caso, la qualità e genuinità del cibo è comunemente condivisa, in assenza di tratti ossessivo-compulsivi e aree di funzionamento compromesse (Depa J, Barrada JR, Roncero M, 2019).
Dott.ssa Giulia Pelini
Psicologa
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Bibliografia:
Barrada JR, Roncero M. Bidimensional structure of the orthorexia: Development and initial validation of a new instrument. An Psicol. 2018;34: 283–291. doi:10.6018/analesps.34.2.299671.
Bratman S. (1997). Health food junkies. Yoga Journal (September/October) 42-50.
Bratman, S. (2017). Orthorexia vs theories of healthy eating. Eat Weight Disorder, 381-385.
Cerasa A., Trapasso R. (2018). Orthorexia nervosa. Un’indagine sociologica sullo spettro ortoressico in Alimentazione, salute e dintorni ed. Società e Salute (Franco Angeli) pp. 100.
Corposanto C., (2018). Alimentazione, salute e dintorni ed. Società e Salute (Franco Angeli).
Depa J, Barrada JR, Roncero M (2019) Are the Motives for Food Choices Different in Orthorexia Nervosa and Healthy Orthorexia? Nutrients 2019, 11, 697; doi:10.3390/nu11030697.