Le maggiori richieste di sostegno psicologico e la necessità di mantenere le distanze favoriscono le terapie on line. L’imporante è che venga mantenuto il «setting», la cornice entro la quale si svolge la seduta. Ma la privacy può essere un problema
L’epidemia di Covid-19 non solo ha già trasformato le nostre abitudini quotidiane, ma potrebbe anche cambiare il modo con cui ci prendiamo cura della nostra mente. Le associazioni scientifiche internazionali che riuniscono gli psicoterapeuti, infatti, stanno valutando la possibilità di validare forme di terapia a distanza per adeguarsi alle regole anti contagio e venire incontro alle richieste dei pazienti. Ma se fino a ieri, anche in presenza di situazioni di emergenza, le «sedute» via Skype o attraverso videotelefonate erano soggette a critiche, soprattutto negli ambienti più ortodossi ora sembra che ci sia una maggiore apertura.
Che cosa ha fatto cambiare idea? «Le società analitiche, come tutte le organizzazioni che hanno una lunga tradizione alle spalle, tendono a essere conservatrici» precisa Valentina Di Mattei, psicologa clinica dell’Ospedale San Raffaele di Milano e professore associato dell’Università Vita Salute San Raffaele. «Le terapie online scardinano proprio uno dei pilastri su cui si fonda questa tradizione: il setting, la “cornice” in cui si svolge la terapia. Nella forma tradizionale è dato dall’ambiente fisico (neutro, silenzioso, riservato), dalle regole del “contratto” che lega terapeuta e paziente (il giorno e l’orario delle sedute, la durata degli incontri) e da quelle che definiscono la loro relazione (assenza di contatti al di fuori dalle sedute e nessun contatto fisico). Secondo la tradizione analitica questa cornice è uno degli elementi che rende la terapia efficace. Sono comprensibili le cautele, ma ci si sta muovendo per produrre nuove regole e nuovi setting online».
Che differenza c’è tra parlarsi (e vedersi) al telefono ed essere uno di fronte all’altro?
«Senza dubbio si perdono alcuni aspetti della comunicazione non verbale e ci si deve attenere prevalentemente alla mimica facciale. La presenza fisica è più informativa circa lo stato del paziente, più intima e carica emotivamente. Molti terapeuti che iniziano a usare questi mezzi evidenziano in questi giorni una fatica diversa a fine seduta, si sentono maggiormente stanchi. Una prima ipotesi è legata al fatto che non potendo contare sui canali informativi e di comunicazione standard siano più concentrati nel cogliere informazioni utili nelle parole. Senza contare la fatica aggiuntiva dell’essere a loro volta in una situazione sociale stressante».
Chi è più in difficoltà nella terapia virtuale, l’analista o il paziente?
«Non ci sono ancora molte ricerche sul tema, soprattutto in Italia, ed è ancora difficile dirlo con certezza. Probabilmente dipende dalla capacità del paziente di adattarsi a situazioni nuove. Molti pazienti hanno accettato il cambiamento ma persone con problemi mentali, per esempio paranoici, l’hanno letto come un modo di controllare dove vivevano. In questi giorni di emergenza ci stiamo scontrando anche con aspetti concreti: i pazienti che convivono con altri in spazi limitati devono rinunciare alle proprie sedute per problemi di privacy. Per quanto riguarda i terapeuti, oltre alla fatica di lasciare la via nota, forse anche fattori come l’età e la confidenza con lo strumento possono incidere sulla difficoltà percepita».
Esistono diversi tipi di psicoterapie che utilizzano metodiche diverse, ce ne sono di più adatte a questa modalità?
«Le poche ricerche precedenti al periodo che stiamo vivendo analizzano protocolli di terapie cognitivo comportamentali che sembrano essere quelle meglio adattabili ed efficaci. Ma anche le terapie psicodinamiche hanno colto la sfida e si stanno sperimentando con successo. Infine, stanno funzionando anche le psicoterapie a mediazione corporea che propongono tecniche e pratiche di rilassamento online. La necessità attuale legata a Covid-19 darà un impulso senza precedenti ad analizzare quali terapie on line sono più efficaci e per quali disturbi».
Esistono problemi psicologici o tipologie di pazienti per i quali è sconsigliabile, o altri per cui è vantaggiosa?
«Internet è un mezzo usato per applicare un trattamento psicologico, sulla carta verrebbe quindi da dire che potenzialmente possa andar bene per tutti. Gli studi condotti sono prevalentemente su disturbi dell’umore e d’ansia. Ma nell’emergenza che stiamo vivendo i servizi di salute mentale hanno mantenuto la possibilità di visitare di persona ritenendo che ci siano categorie di pazienti gravi che necessitano una continuità di trattamento de visu. La letteratura scientifica ci dice che sono anche tra i più esposti ad aggravare la propria condizione psichica in periodi di quarantena. Quindi per loro è necessario riservare un’attenzione e un trattamento particolari».
I contrari sostengono che la privacy con questi mezzi viene minacciata.
«Da un lato la tecnologia e, in questo caso, il virus vanno più veloci delle leggi. Quindi può essere che non ci siano ancora in tutti i Paesi normative adeguate a tutela della privacy del paziente. Dall’altro, alcune ricercheevidenziano una minor attenzione da parte degli operatori online rispetto a principi etico-legali della professione tra cui trasparenza e privacy per l’appunto».
C’è il rischio di «banalizzare» l’ atto terapeutico usando uno strumento comune come il telefono o il computer?
«Sì il rischio esiste e per questo è importante ridefinire prontamente le regole, il setting, di questo tipo di interventi al fine di fornire quella “cornice” che li differenzia da una semplice telefonata. Per ora il pericolo maggiore che si è evidenziato è legato al tema della motivazione. Anche nelle terapie “normali” non appena ci si sente meglio si tende ad interrompere il trattamento. Ma le regole del contratto tra paziente e terapeuta aiutano a mantenere un continuità fino al raggiungimento degli obiettivi. Se la terapia avviene on line, “mettere giù” sembra essere molto più semplice».
C’è una casistica di web terapie a cui fare riferimento? E in quali circostanze sono già state praticate?
«Le terapie online nascono per andare incontro alle necessità di persone con mobilità limitata, soggette a restrizioni, adolescenti in isolamento, persone con disabilità o che hanno la necessità di comunicare nella lingua del Paese di origine. Situazioni e circostanze specifiche dunque. Ora però si apre un nuova pagina, chi vuole iniziare o proseguire la propria terapia può farlo solo on line. Un caso particolare su cui si sta molto lavorando in questi giorni sono gli operatori sanitari alle prese con l’emergenza. La modalità di supporto on line garantisce loro la riservatezza della richiesta (non devo andare fisicamente allo “sportello”), si adatta facilmente agli orari dei turni e può entrare nei reparti senza bisogno di protezioni».
Fonte: https://www.corriere.it/salute/neuroscienze/20_maggio_23/psicoterapia-ora-seduta-si-puo-fare-attraverso-videochiamata-914e9c62-8186-11ea-b7e0-dce1b61a80bf.shtml
One thought on “Psicoterapia, ora la seduta si può fare attraverso una videochiamata”
Dalia Birgolotti says:
Molto interessante, penso che sia arrivato il momento di essere più flessibili rispetto alle nuove esigenze che in vari contesti e situazioni possono affacciarsi, penso che ciò non costituisca un tradimento alle proprie modalità lavorative ma un riassestamento utile e propizio. Grazie