Riappropriarsi del proprio corpo dopo uno stupro

riappropriarsi del corpo dopo uno stupro

La Storia di Pavan Amara

Non riuscivo più ad andare dal dottore, non sopportavo che le persone si interessassero alle mie relazioni, ma soprattutto la cosa che più di ogni altro era cambiata, era il modo di percepire il mio corpo e la mia immagine corporea. Stavo male.
Pavan Amara, 27 anni, violentata da adolescente, racconta di quanto le c’è voluto prima di riuscire a venire a patti con se stessa.
Anche dopo che sentiva di aver cominciato a “rimettere tutto insieme“, continuava a sentire profondamente un cambiamento nel rapporto con il suo corpo.

” Era davvero anomalo quello che sentivo. Non riuscivo a guardarmi allo specchio o a guardare le mie foto”

Ha iniziato a cercare sostegno, digitando su google come chiavi di ricerca”stupro“,” immagine del corpo“,” non riesce ad andare dal medico” , racconta sorridendo ironicamente di aver trovato pochi risultati utili.
Così Amara decide di contattare altre 30 donne in una situazione simile – alcune già le aveva conosciute attraverso organizzazioni come Rape Crisis, altre attraverso i social, per intervistarle e discutere insieme. Con sua grande sorpresa, scoprì che nelle sue emozioni non era sola.

“Ogni donna sentiva seriamente compromesso il modo di sentire e percepire il proprio corpo.”

PAVAN AMARA

Così, lo scorso agosto, Amara fonda My body back, un progetto che sostiene le donne che hanno subito violenze sessuali, concentrandosi in particolare sulle questioni di immagine del corpo e della sessualità.
Si parla spesso dell’enorme impatto che una violenza ha sui rapporti sessuali, Amara pone l’attenzione sul corpo, sull’impossibilità di guardarsi allo specchio, descrive anche l’impossibilità di assistere alle proiezioni per la prevenzione sul cancro del collo dell’utero o sulle malattie sessualmente trasmissibili.

“Semplicemente non riuscivamo a guardare, si arrivava a fare una scelta una tra salute mentale e salute fisica.”

Amara ricorda:

“Una donna ha riassunto perfettamente, quello che sentivamo tutte. Ha detto che il suo violentatore aveva portato via tanto da lei quanto ora la sua salute

Con semplice, con assoluto pragmatismo, Amara ha provveduto ad affrontare il problema.
Cominciò a parlare con medici e con gli infermieri NHS, con i volontari.
Il personale NHS già era a conoscenza del problema:

“Hanno avuto pazienti che hanno rifiutato lo screening cervicale, non potevano essere toccate. “

Amara ha creato, inizialmente un laboratorio mensile chiamato Café V, dove le donne potevano riunirsi in uno spazio sicuro con volontari formati per parlare del loro corpo, di sesso, e di tutto ciò che vi ruotava attorno, dalla masturbazione all’orgasmo.
Successivamente, ha arruolato 20 studenti delle università in un programma chiamato Notes of Love, in cui i partecipanti scrivono un messaggio di solidarietà e di sostegno su un post-it per una donna che ha subito violenza sessuale. Le note vengono poi trasmesse a Rape Crisis.

“Volevamo cambiare la cultura nei campus universitari. Il fine settimana abbiamo parlato di questo a Cambridge … e c’erano un sacco di uomini, l’ho trovato molto incoraggiante. Abbiamo parlato di violenza sessuale , poi, ho visto uomini scrivere post.it, e ho pensato: qualcosa sta cambiando”

Infine, Amara ha iniziato a lavorare con il personale alla Barts Health NHS Trust e, ad agosto a Whitechapel, nell’est di Londra, si aprirà il primo screening cervicale progettato specificamente per le donne che hanno subito violenze sessuali del Regno Unito. Le donne potranno chiedere qualunque cosa desiderano anche della musica, o l’aromaterapia per aiutare a rilassarsi, o chiedere frasi specifiche che non vogliono che il professionista sanitario utilizzi, posizioni del corpo che vorrebbero evitare – potranno anche decidere se vogliono inserire lo speculum da se.

“Il punto è riprendere il controllo su ciò che accade al tuo corpo”,

spiega Amara.

La clinica STI incoraggerà le donne nella messa in opera anche al di fuori di test appositi per chi ha sperimentato la violenza sessuale, perché non vogliono essere toccate, o hanno paura delle domande della polizia. Per coloro che vogliono mantenere l’anonimato verrà fornito con kit di auto-test, uno spazio privato e una guida video su come eseguire il test correttamente. I risultati possono essere mandati anche tramite un messaggio da telefono cellulare.

Queste sono attenzioni che possono cambiare la vita. Una testimonianza sul sito web del progetto viene da una donna di 39 anni che è riuscita a fare un pap-test dopo 20 anni dalla violenza subita:

“Ora ho la speranza che forse un giorno io possa venire alla vostra clinica”.

Come sottolinea Amara, la sua idea per le cliniche è così semplice

“La dice lunga su come le donne vengono trattate. Perché ci è voluto così a lungo? “

Fonte

articolo originale su www.theguardian.com

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