Violenza sulle donne: il ruolo dello psicologo

violenza sulle donne

La violenza sulle donne è un fenomeno in crescita e dalle numerose conseguenze. Per questo è necessaria una presa in carico globale della donna. Qual è il ruolo dello psicologo in questo?

La violenza sulle donne è ritenuto, dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, un problema di salute di proporzioni globali. Gli operatori sanitari, in particolar modo quelli in attività nei Pronto Soccorso Ospedalieri, possono fornire un contributo decisivo nell’assistenza primaria alle donne vittime di violenza che siano costrette a ricorrere alle cure ospedaliere.
Va sottolineato come l’accoglienza sia determinante per rassicurare le vittime. Infatti, consente loro di affidarsi e riferire quanto sia realmente accaduto senza remore, riserve o sensi di colpa (che spesso si registrano in chi subisce violenza). Oltre al supporto clinico-assistenziale è fondamentale, dunque, anche quello psicologico, per favorire nella donna una presa di coscienza della realtà.

Violenza sulle donne: dati statistici e ricerche sul fenomeno

Per sottolineare quanto il fenomeno della violenza sulle donne sia diffuso, basta leggere la relazione della European Union Agency For Fundamentalrights “Violenza contro le donne: un’indagine a livello europeo”. Questa relazione si basa su interviste rivolte a 42 000 donne nei 28 Stati membri dell’Unione Europea (Unione Europea 2014).
Si evidenzia, nella relazione, che la violenza sulle donne costituisce una grave violazione dei diritti umani per la vastità del fenomeno, che l’UE non può permettersi d’ignorare. Nell’ambito dell’indagine, le donne sono state intervistate in merito alle loro esperienze di violenza fisica, sessuale e psicologica, inclusi gli episodi di violenza perpetrata dal partner (violenza domestica), nonché riguardo a molestie sessuali e comportamenti persecutori (stalking). Dall’indagine emerge che l’abuso è un fenomeno diffuso che influisce sulla vita di molte donne, ma che non sempre è segnalato alle autorità.
In Italia l’ISTAT ha effettuato una indagine su 25 mila donne in età compresa tra i 16 e i 70 anni, dal gennaio all’ottobre 2006 con tecnica telefonica. L’ISTAT ha stimato che siano 6 milioni e 743 mila le donne vittime di violenza in quella fascia di età nel corso della propria vita. Cinque milioni hanno subito violenze sessuali, 3 milioni 961 mila violenze fisiche e circa 1 milione uno stupro o un tentativo di stupro. Secondo i dati ISTAT, nella quasi totalità dei casi le violenze non sono state denunciate (ISTAT 2007).

Violenza sulle donne da parte di conoscenti

La ricerca di Mary Koss e di Cheryl Oros nel 1982 (Koss et al 1982) ha inquadrato un altro tipo di violenza sessuale, ovvero gli “acquaitance rapes” e “date rapes”. Questo accade quando lo stupratore è un conoscente della donna o se la violenza avviene durante un appuntamento romantico. La diffusione degli incontri tramite social networks ha intensificato questo fenomeno.
Le vittime tendono ad essere incolpate ma anche ad incolpare se stesse poiché la violenza subita non è stata determinata da estranei ma da persone conosciute con le quali spontaneamente si è usciti. Difficilmente le vittime denunciano l’accaduto riconoscendo nel loro stesso comportamento una colpa.

Qual è quindi lo stato dell’arte in Italia? Quali misure sono state attuate?

I servizi del Sistema sanitario nazionale

Il nostro sistema sanitario mette a disposizione di tutte le donne, italiane e straniere, una rete di servizi sul territorio, ospedalieri e ambulatoriali, socio-sanitari e socio-assistenziali, anche attraverso strutture facenti capo al settore materno-infantile, come ad esempio il consultorio familiare, per assicurare un modello integrato di intervento.
Come è stato detto, uno dei luoghi in cui più frequentemente è possibile intercettare la vittima è il Pronto Soccorso Ospedaliero.
È qui che le donne vittime di violenza, a volte inconsapevoli della loro condizione, si rivolgono per un primo intervento sanitario. Sono già attivi dei percorsi speciali per chi subisce violenza, contrassegnati da un codice rosa, o uno spazio protetto, detto stanza rosa, in grado di offrire assistenza dal punto di vista fisico e psicologico e informazioni sotto il profilo giuridico, nel rispetto della riservatezza.

Linee guida soccorso e assistenza donne vittime di violenza

Il 24 novembre 2017 un DPCM ha sancito le Linee guida nazionali per le Aziende sanitarie e le Aziende ospedaliere in tema di soccorso e assistenza socio-sanitaria alle donne vittime di violenza. Obiettivo delle linee guida è quello di fornire un intervento adeguato e integrato nel trattamento delle conseguenze fisiche e psicologiche che la violenza maschile produce sulla salute della donna.
Destinatarie del Percorso sono le donne, anche minorenni, italiane e straniere, che abbiano subìto una qualsiasi forma di violenza.
Si sanciscono, innanzitutto, disposizioni in materia di diritti fondamentali.
Si afferma che la donna può accedere al pronto soccorso sia autonomamente sia accompagnata. A questo punto, il personale infermieristico procede al tempestivo riconoscimento di ogni segnale di violenza, anche quando non dichiarata. Alla violenza viene attribuito un codice di urgenza relativa (codice giallo o equivalente) per garantire una visita medica tempestiva.
La donna presa in carico deve essere accompagnata in un’area separata dalla sala d’attesa generale che le assicuri protezione, sicurezza e riservatezza.
L’operatore che prende in carico la donna dovrà utilizzare un linguaggio semplice, comprensibile e soprattutto dovrà garantire un ascolto e un approccio empatico e non giudicante.
La sequenza delle azioni è la seguente:
  1. Anamnesi accurata;
  2. Esame obiettivo completo;
  3. Acquisizione delle prove (eventuale documentazione fotografica, tamponi, ecc.);
  4. Esecuzione degli accertamenti strumentali e di laboratorio;
  5. Esecuzione delle profilassi e cure eventualmente necessarie;
  6. Richiesta di consulenze.

Violenza sulle donne: il ruolo dello psicologo

Il ruolo dello psicologo è fondamentale per indagare quei casi che possono creare particolari problemi nell’esplicitazione della non consensualità del rapporto o quando si tratta di minori. Inoltre, lo psicologo è in grado di fornire il necessario supporto alla vittima.
I casi in cui è particolarmente difficile dimostrare la mancanza del consenso al rapporto sono principalmente due:
  1. Quando la vittima conosce l’aggressore e si colpevolizza per essersi posta nelle condizioni di essere violentata. Questo avviene più spesso quando si tratta di partner anche occasionali. In questo caso è compito dello psicologo far capire alla vittima che quello che ha subito non è imputabile ad un suo comportamento.
  2. Quando la vittima non ha adottato reazioni di difesa ma è rimasta passiva a causa di una “reazione di congelamento”. In questo caso è utile ricordare quello che è alla base della reazione da congelamento. La paralisi indotta dallo stupro appare prevalere in un gran numero di donne vittime di violenza. Infatti nella modalità fight or flight il cervello attiva le aree dedicate al controllo motorio che possa consentire di scappare o combattere, ma quando questa modalità non è possibile i programmi di immobilità si attivano e producono una paralisi temporanea. Il sistema di risposta abbassa i livelli di energia e vengono prodotte sostanze in grado di mitigare il senso di paura e dolore grazie al rilascio degli oppiacei endogeni come l’endorfina che producono uno stato analgesico.

Violenza sulle donne: le reazioni fisiologiche

La paura che sopraggiunge nelle situazioni di violenza determina la stimolazione dell’amigdala, nucleo del sistema limbico, che, proprio in risposta ad uno stimolo minaccioso, genera reazioni che coinvolgono il sistema vegetativo. Quando valuta uno stimolo come pericoloso, l’amigdala reagisce inviando segnali di emergenza a tutte le parti principali del cervello stimolando il rilascio degli ormoni che innescano la reazione di combattimento o fuga (adrenalina, dopamina, noradrenalina). Inoltre mobilita i centri del movimento, attiva il sistema cardiovascolare, i muscoli e l’intestino.
Contemporaneamente attiva i sistemi di memoria per richiamare ogni informazione utile che possa concertare una reazione appropriata di difesa. La vittima presenta tachicardia, sudorazione, tremore, aumento della pressione sanguigna ma anche attivazione del sistema muscolare che consente la possibilità di reazione o di fuga. O, al contrario, come spesso accade nei casi di stupro, si può verificare il blocco delle reazioni motorie.
Tale risposta, chiamata freezing, si manifesta con bradicardia e immobilizzazione totale o parziale con “congelamento” dei movimenti. Può durare da pochi secondi fino a 30 minuti. Secondo Leach (2014) il freezing si innesca a causa delle tempistiche necessarie alla memoria di lavoro per svolgere i passaggi richiesti per attuare un’azione. Le operazioni mentali complesse in condizioni ottimali richiedono un minimo di 8-10 secondi per essere attivate. In circostanze particolari, come il pericolo, il processo può essere ulteriormente rallentato. Se nel proprio database non esiste una risposta appropriata, dovrà essere creato un sistema comportamentale temporaneo. Ma, nelle situazioni di pericolo come in caso di violenza, spesso il tempo non è sufficiente. La conseguenza sarà una paralisi cognitivamente indotta, o comportameto di freezing.

L’importanza della conoscenza delle dinamiche psicologiche per supportare le donne vittime di violenza

Si comprende quindi come conoscere queste dinamiche psicologiche legate alla paura sia determinante per gli operatori sanitari che sono chiamati a testimoniare anche circa l’atteggiamento più o meno attivo, assunto dalla donna durante la permanenza in pronto soccorso. La conoscenza delle dinamiche psicologiche aiuta ad assumere quell’atteggiamento non giudicante che deve caratterizzare necessariamente la prestazione sanitaria.
Fonte articolo: State of Mind.

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