L’auto-rivelazione e l’autenticità del terapeuta, di Irvin Yalom

Autore: Irvin Yalom
Irvin Yalom , MD. Scrittore e psichiatra il Dr, Yalom è stato una figura di rilievo in ambito psicoterapico già a partire dall'uscita nel 1970 del suo primo saggio The Theory and Practice of Group P...
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In questo brano tratto dal suo libro “Il dono della terapia“, Irvin Yalom espone i suoi ideali di auto-rivelazione e autenticità del terapeuta.

Prima di vedere Nancy

Nella mia pausa di 15 minuti prima di vedere Nancy, l’ultima paziente del giorno, ho controllato la segreteria telefonica e ascoltato un messaggio da una radio di San Francisco.

“Dott. Yalom, spero che non le dispiaccia, ma abbiamo deciso di cambiare il format del programma di domani mattina. Abbiamo invitato un altro psichiatra a partecipare, e invece di un’intervista, abbiamo deciso di fare un dibattito a tre. Ci vediamo domani mattina alle 8.30. Immagino che per lei vada bene.”

Okay? No, non era per nulla okay e più ci pensavo meno mi andava bene. Ero d’accordo a essere intervistato in un programma radio in modo da pubblicizzare il mio nuovo libro “The gift of therapy”.

Nonostante io sia stato intervistato molte volte, mi sentivo ansioso per questa intervista. L’intervistatore era molto preparato, ed è stato molto esigente. Inoltre, era un’intervista di un’ora e le dimensioni del pubblico della radio erano veramente enormi e, infine, sarebbe andato in onda nella mia città natale dove mi avrebbero ascoltato moltissimi amici. Questo messaggio ha semplicemente aumentato la mia ansia.

Non conoscevo l’altro psichiatra; ma per aumentare il tono dell’intervista, senza dubbio, avevano invitato qualcuno con un punto di vista opposto. Ci stavo rimurginando sopra, l’ultima cosa che volevo era che io, o il mio libro, avessimo un’ora di confronto ostile di fronte a centinaia di migliaia di ascoltatori. Provai a richiamare nessuna risposta.

 

Nancy

Non ero abbastanza lucido per vedere una paziente, ma erano ormai le 18 e ho scortato Nancy nell’ufficio.

Nancy, una professoressa di infermieristica di 50 anni, era venuta per la prima volta 20 anni prima in seguito alla morte della sorella maggiore che aveva avuto un tumore al cervello. Mi ricordo come aveva cominciato “Otto sedute. Ecco cosa voglio. Nè una di più, nè una di meno. Voglio parlare della perdita della persona più cara che ho avuto nella mia vita. E voglio capire che senso ha vivere senza di lei.”

Queste 8 sessioni passarono velocemente. Nancy portava un programma per ogni sessione: dei ricordi importanti di sua sorella, i loro 3 litigi – uno dei che condusse a quattro anni di silenzio conclusi al funerale della madre – il disappunto di sua sorella per il suo ragazzo, e il suo profondo amore per la sorella – un amore che non aveva mai espresso apertamente.

La sua era una famiglia di segreti e silenzi. I sentimenti – soprattutto quelli positivi – raramente avevano una voce.

Nancy era molto intelligente e sveglia: intraprendente nella terapia, lavorava duramente e sembrava volesse piccoli aiuti da me. Alla fine della decima seduta mi ha ringraziato e se ne è andata come un paziente soddisfatto. Tuttavia, io non ero soddisfatto. Avrei preferito una terapia più ambiziosa, avevo toccato molte aree, specialmente nell’ambito dell’intimità dove sarebbe dovuto essere fatto un ulteriore lavoro.

 

Il ritorno di Nancy in terapia

Nei successivi 20 anni mi aveva chiamato altre 2 volte per una breve terapia, ripetendo lo stesso pattern e usando il tempo in maniera efficiente. E poi, un paio di mesi fa mi ha chiamato e mi ha chiesto di incontrarci per un periodo maggiore, forse di 6 mesi, per lavorare su alcuni significativi problemi matrimoniali.

Lei e suo marito, Arnold, erano diventati incredibilmente distanti negli anni, dormivano in stanze separate e a piani separati della casa. Ci siamo visti settimanalmente per qualche mese, e la sua relazione con i figli e il marito era migliorata da un paio di settimane, le chiesi quindi del termine della terapia.

Lei era d’accordo che le cose stavano migliorando, ma aveva bisogno di un’ulteriore seduta per gestire altri problemi che erano sorti: la paura del palco. Aveva una terribile ansia di un seminario che doveva tenere di fronte a un pubblico molto importante.

Non appena ci sedemmo, Nancy si tuffò a capofitto nell’ansia sull’imminente seminario. Ho apprezzato la sua energia: aveva distolto la mia attenzione da quel dannatissimo programma radiofonico. Parlò della sua insonnia, della sua paura di fallire, di quanto non le piacesse la sua voce e fosse imbarazzata dal suo aspetto fisico.

Sapevo esattamente cosa fare con lei e ho cominciato ad accompagnarla nel percorso terapeutico conosciuto. Le ho ricordato che era un’esperta, che conosceva l’argomento meglio di qualsiasi altra persona tra il pubblico. Sebbene fossi distratto dalla mia ansia, ero in grado di ricordarle che era sempre stata brillante nei seminari ed ero lì per lì per sottolineare l’irrazionale visione che aveva della sua voce e del suo aspetto fisico quando sono stato colto da un’ondata di nausea.

 

Un punto di svolta: l’auto-rivelazione e l’autenticità

Come potevo essere così ipocrita? Il mio mantra in terapia non era sempre stato “Sono le relazioni che curano, sono le relazioni che guariscono?” Non ho sempre scritto e insegnato a promuovere l’autenticità? La relazione solida e genuina io-te non è sempre stato il biglietto diretto, l’ingrediente fondamentale per una terapia di successo?

Eppure ero qui, sconvolto dall’ansia per un programma radio e nascondendo il tutto dietro un’espressione di terapeuta compassionevole incollata sul mio volto, e con una paziente con le mie stesse preoccupazioni. E con una paziente che voleva lavorare sull’intimità. Non potevo continuare questa ipocrisia.

Ho fatto un respiro profondo e ho confessato. Le ho detto del messaggio nella segreteria telefonica che ho ricevuto poco prima che entrassimo in seduta e della mia ansia e rabbia per il mio dubbio. Mi ha ascoltato attentamente e poi, con una voce di sollecito ha chiesto “Cosa vuole fare?”

“Sto pensando di rifiutare di andare se insistono su questo nuovo piano”

“Sì mi sembra molto ragionevole” mi ha detto. “Lei era d’accordo per completamente un altro formato e la radio non ha nessun diritto a fare un cambiamento senza averla consultata. Sarei molto arrabbiata anche io. C’è qualche conseguenza se si rifiuta?”

“Non me ne viene in mente nessuna. Potrei non essere invitato per il prossimo libro, ma chi lo sa quando e se ne scriverò un altro.”

“Quindi non ci sono conseguenze per il rifiuto, ma ci sono moltissime conseguenze se si dice d’accordo?”

“A quanto pare. Grazie Nancy, è stata d’aiuto”

 

La risposta di Nancy ad auto-rivelazione ed autenticità

Siamo rimasti in silenzio per un momento e poi le ho chiesto “Prima di tornare al mio problema, mi lasci chiedere una cosa: Come si sente a riguardo? Non è qualcosa che facciamo tutti i giorni”.

“Mi piace quello che ha fatto, è stato molto importante per me” ha replicato. Poi si è fermata per un momento a ragionare e ha aggiunto: “Ho molte sensazioni a riguardo. Sono onorata che lei abbia condiviso così tanto di lei con me. Anche “normalizzata”. Aver dimostrato lei dell’ansia mi ha fatto accettare di più la mia. Penso che la sua apertura sia contagiosa. Voglio dire, mi ha dato il coraggio di parlare di qualcosa che non pensavo sarei stata in grado di dire”.

“Ottimo, continuiamo…”

“Beh.” Nancy non sembrava comoda sulla sua sedia. Ha respirato e ha detto “Beh…ci siamo…”

Mi sono seduto in trepida attesa. Era come aspettare che si alzasse il sipario per uno spettacolo al teatro. Uno dei miei più grandi piaceri. E una buona storia prova a fare la sua apparizione è un altro piacere imprevedibile. E la mia ansia, il fastidio per l’intervista e la radio? Quale intervista? Quale radio? Me l’ero totalmente dimenticati. Il potere della narrazione allontana tutte le preoccupazioni.

 

La storia dei due fiumi

“Ha menzionato il suo libro “The Gift of Therapy” e questo mi da l’opportunità di dirle qualcosa. Un paio di settimane fa ho letto tutto il libro in una sola volta, fino alle 3 di notte”. Fece una pausa.

“E?” Aspettavo senza vergogna un complimento.

“Beh, mi è piaciuto, ma sono curiosa dell’uso della mia storia dei due fiumi…”

“La tua storia dei due fiumi? Nancy, quella era storia di una donna che ormai è morta da un paio di anni fa. La descrivo nel libro. Ho usato la sua storia in terapia condividendola per così tanti anni che non me lo ricordo nemmeno”

“No, Irv. Quella era la mia storia. Gliel’ho raccontata durante la prima terapia, 20 anni fa.”

Ho scosso la testa. Sapevo che era storia di Bonnie. Perché potevo ancora ricordare la faccia di Bonnie mentre mi raccontava la storia, il suo sguardo pensieroso mentre si ricordava di suo padre, riuscivo ancora a vedere il suo turbante viola sulla testa – aveva perso i capelli per la chemioterapia.

“Nancy, riesco ancora a ricordare questa donna che mi racconta la storia, posso…”

“No, era la mia storia” disse fermamente Nancy “E non riguardava nemmeno me e mio padre, ma mio padre e mia zia, sua sorella più piccola. Non era negli anni del college, ma durante una vacanza che fecero in Francia”

Ero impressionato. Nancy era una persona molto precisa. La forza delle sue dichiarazioni catturò la mia attenzione. Mi rivolsi a me stesso per cercare la verità, ascoltando il flusso dei miei ricordi che proveniva da parti remote della mia mente. Era un vicolo cieco: Nancy era sicura me l’avesse raccontata lei. Io ero assolutamente certo di averla sentita da Bonnie. Ma sapevo che dovevo rimanere aperto.

Uno degli aforismi più belli di Nietzsche mi tornò alla mente e mi serviva come narrazione di emergenze: “La memoria dice ‘L’ho fatto io’. L’orgoglio risponde ‘Non posso averlo fatto’. In ogni caso, la memoria si piega.”

Come continuavamo a parlare, mi balenò un nuovo pensiero sconvolgente. Oh mio Dio! Potevano essere due storie? Sì, sì! Ecco cosa era successo. Doveva essere andata così! La prima storia era la storia del padre di Bonnie che chiedeva di riconciliarsi, e il loro sfortunato viaggio al college. La seconda storia era quella dei due fiumi su suo padre e sua zia. Ora capivo cosa fosse successo: la mia fame di gestalt e il ricordo della ricerca di una storia erano confluiti in due storie trasformandola in una singola storia.

 

La memoria e il ricordo

Sperimentare la fragilità della memoria è sempre uno shock. Ho lavorato con molti pazienti che si destabilizzavano ad apprendere che il loro passato non era quello che pensavano. Mi ricordo un paziente la cui moglie gli disse (nel momento del divorzio) che in tre anni di matrimonio, lei era stata ossessionata da un altro uomo. Un amante del passato.

Lui era sconvolto: tutti quei ricordi insieme (tramonti romantici, cene a lume di candela, camminate sulle spiagge di isolotti greci) era tutto un’illusione. Sua moglie non c’era. Pensava a qualcun altro. Mi ha detto più di una volta che ha sofferto più la perdita del suo passato che la perdita di sua moglie.

Non comprendevo a pieno in quel momento, ma adesso con Nancy potevo finalmente capire e apprezzare come può destabilizzare ciò che si prova quando il passato si decompone.

Il passato: non era un’entità concreta, eventi indimenticabili legati indelebilmente al peso dell’esperienza? Quanto mi son potuto attaccare a questa visione solida dell’esistenza. Ma adesso sapevo, e lo sapevo veramente, quando la memoria sia fallace. Non avrei mai più messo in dubbio l’esistenza dei falsi ricordi!

Ciò che mi confondeva ancora di più era il modo in cui avevo integrato questo falso ricordo (per esempio l’espressione pensierosa di Bonnie) che lo rendeva assolutamente indistinguibile da un ricordo reale. Dissi tutto ciò a Nancy, scusandomi per non aver chiesto il suo permesso per la storia dei due fiumi.

 

Nancy e la storia dei due fiumi

Nancy era serena per la questione del permesso. Aveva scritto delle storie di fantascienza ed era consapevole di quanto sfumati possono essere i ricordi della narrazione. Ha accettato immediatamente le mie scuse per aver pubblicato qualcosa di suo senza permesso, e poi ha aggiunto che le aveva fatto piacere che la sua storia fosse stata usata. Era fiera di avermi aiutato ad aiutare studenti e altri pazienti.

Il fatto che avesse accettato le mie scuse mi lasciò tranquillo e le dissi di una conversazione di qualche ora prima con uno psicologo danese in visita. Stava scrivendo un articolo su un mio lavoro su una rivista danese di psicologia e mi chiese se la mia vicinanza con i pazienti rendesse più difficile per loro terminare la terapia.

 

La vicinanza tra terapeuta e paziente

“Dato che siamo vicini al termine, Nancy, ti faccio una domanda chiave. La nostra vicinanza interferisce realmente con la conclusione dei nostri incontri?

Ci ha pensato a lungo prima di rispondere: “Sono d’accordo. Mi sento vicina a lei, forse tanto quanto a qualsiasi altra persona nella mia vita. Ma la sua frase, che la terapia è una prova generale per la vita, che ha detto tante volte, credo che abbia esagerato… beh, quella frase ha aiutato a mantenere le cose nella giusta prospettiva. No, presto potrò fermarmi e tenere molto dentro di me. Dal primo giorno della nostra ultima serie di incontri ha continuato a concentrarsi su mio marito. Ha continuato a concentrarsi sul nostro rapporto, ma è passata appena un’ora senza che lei si sia avvicinato all’intimità tra me e Arnold”.

Nancy ha concluso l’ora regalandomi un bel sogno (ricordate che Nancy e Arnold dormivano in stanze separate).

Io ero seduta sul letto di Arnold. Lui era nella stanza e mi guardava. Non mi dispiaceva che lui fosse lì ed era occupato con il trucco. Mi stavo togliendo una maschera da trucco e la stavo togliendo davanti a lui“.

Il creatore di sogni dentro di noi (chiunque, ovunque si trovi) ha molte costrizioni nella costruzione del prodotto finito. Una delle maggiori costrizioni affrontate è che il prodotto finale del sogno deve essere quasi interamente visivo. Quindi, una sfida importante nel lavoro del sogno è trasformare concetti astratti in una rappresentazione visiva. Quale modo migliore per rappresentare una maggiore apertura e fiducia con il proprio coniuge se non quello di togliere una maschera?

 

Discussione

Passiamo in rassegna i punti principali trasmessi in questa vignetta. In primo luogo, consideriamo la mia auto-rivelazione della mia ansia personale evocata da un evento accaduto poco prima dell’inizio dell’ora di terapia. Perché scegliere di condividere questo? In primo luogo, c’è stata la considerazione della autenticità. Mi sentivo troppo falso, inautentico, seduto sulla mia ansia mentre cercavo di aiutarla ad affrontare l’ansia per un problema molto simile. In secondo luogo, c’è la questione dell’efficacia. Credo che la mia preoccupazione per i miei problemi personali stesse ostacolando la mia capacità di lavorare in modo efficace. In terzo luogo, c’è il fattore del role modeling. La mia esperienza di decenni di terapia è che tale rivelazione catalizza inevitabilmente la rivelazione del paziente e accelera la terapia.

Dopo la mia auto-rivelazione c’è stata, per alcuni minuti, un’inversione di ruolo, quando Nancy mi ha offerto un consiglio efficace. L’ho ringraziata e poi ho iniziato una discussione sul nostro rapporto commentando che era appena successo qualcosa di insolito. (Nel linguaggio dei terapeuti, ho fatto un “controllo del processo”). Prima ho fatto notare che la terapia è, o dovrebbe essere, una sequenza alternata di azione e poi una riflessione su quell’azione.

La sua risposta è stata altamente informativa. In primo luogo, si è sentita onorata che io condividessi con lei i miei problemi, che la trattassi come un’eguale e accettassi i suoi consigli. In secondo luogo, si è sentita “normalizzata”, cioè la mia ansia l’ha resa più accettata. Infine, la mia rivelazione è servita da modello e da stimolo per la sua ulteriore rivelazione. La ricerca conferma che i terapeuti che modellano la trasparenza personale influenzano i loro pazienti a rivelare di più di se stessi.

La risposta di Nancy alla mia rivelazione è, nella mia esperienza clinica, tipica. Per moltissimi anni ho lavorato con pazienti che hanno avuto un’esperienza precedente insoddisfacente nella terapia. Quali sono le loro lamentele? Quasi sempre dicono che il loro terapeuta precedente era troppo distante, troppo impersonale, troppo disinteressato. Credo che i terapeuti abbiano tutto da guadagnare e niente da perdere con un’adeguata auto-rivelazione.

Quanto dovrebbero rivelare i terapeuti? Quando rivelare? Quando no? La guida per rispondere a queste domande è sempre la stessa: cosa è meglio per il paziente? Nancy era una paziente che conoscevo da molto tempo e avevo una forte intuizione che la mia autenticità avrebbe facilitato il suo lavoro. Anche il tempismo era un fattore importante. L’auto-rivelazione all’inizio della terapia, prima di stabilire una buona alleanza di lavoro, avrebbe potuto essere controproducente. La seduta con Nancy è stata una seduta atipica e in genere non rivelo la mia personale inquietudine ai miei pazienti. Dopo tutto, noi terapeuti siamo lì per aiutare, non per affrontare i nostri conflitti interni. Se ci troviamo di fronte a problemi personali di tale entità da interferire con la terapia, allora ovviamente dovremmo cercare una terapia personale.

Detto questo, permettetemi di aggiungere che in innumerevoli occasioni sono entrato in una seduta turbato da alcuni problemi personali e, alla fine della seduta (senza aver menzionato una parola sul mio disagio), mi sono sentito notevolmente meglio! Mi sono spesso chiesto perché. Forse per la deviazione dal mio auto-assorbimento, o per il profondo piacere di essere utile all’altro, o per l’aumento dell’autostima derivante dall’impiego efficace della mia esperienza professionale, o per l’effetto di una maggiore connettività che tutti noi vogliamo e di cui abbiamo bisogno. Questo effetto della terapia che aiuta il terapeuta è, secondo la mia esperienza, ancora maggiore nella terapia di gruppo. Tutte le ragioni di cui sopra sono valide, ma c’è un fattore aggiuntivo nella terapia di gruppo. Un gruppo terapeutico maturo e premuroso, in cui i membri condividono le loro più profonde preoccupazioni interiori, ha un ambiente di guarigione in cui ho il privilegio di immergermi.

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