Il carattere morboso del moralismo

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Il carattere morboso del moralismo

Mentre gli italiani, tifosi e non, si interrogano sui colori delle regioni e sul Natale blindato, Diego Armando Maradona muore a Buenos Aires. ƈ il 25 novembre, giornata dedicata alle donne vittime di violenza, e non tarda ad arrivare la lamentatio di chi sostiene che il conseguente rumore mediatico neghi la giusta attenzione alla battaglia contro la violenza sulle donne. Sempre a dire degli stessi, il calciatore argentino avrebbe invece meritato di varcare la soglia del regno di Dite in solitudine e nellā€™indifferenza generale, perchĆ© la sua vita, trascorsa tra eccessi e imbrigliata nella dipendenza da sostanze stupefacenti, non sarebbe degna di alcuna celebrazione, nĆ© ricordo.

Secondo chi converte le debolezze Ā e le cadute degli altri in colpe e atti deplorevoli, Maradona sarebbe un cattivo esempio, un uomo da cancellare dalla memoria universale. Di opinione diversa, tutti gli altri, riversati per le strade del mondo e quelle del web per pregare, piangere, intonare cori, onorarne il genio e lā€™umanitĆ . Proprio quellā€™umanitĆ  che disturba chi crede che una vita possa essere consacrata al bene assoluto, conservandosi priva di macchie, errori, ombre.

Massimo Recalcati ci dice, proprio a tal proposito, del carattere morboso del moralismo, e distingue il moralista intransigente e granitico, impossibilitato a cedere alle proprie tentazioni, dal moralista di facciata che, smessi i panni della perfezione, si concede nel privato a ciĆ² che, in pubblico, giudica riprovevole[1].

In entrambi i casi, ĆØ possibile ravvisare la difficoltĆ  a riconoscersi umani, e dunque, chiamati per costituzione ad incarnare e a vivere le contraddizioni, a conoscere il fallimento, a destreggiarsi, di continuo, tra bene e male, luci e ombre.

Il tempo ipermoderno, sovrastato dal mito della perfezione a tutti i costi, spinge il soggetto a misconoscere i sentimenti, le passioni, i pensieri che mal si accordano con lā€™immagine del sĆ© ideale. Riconoscere il brutto che ci abita, rifiutarsi di proiettarlo paranoicamente sugli altri[2] e sul mondo che ci circonda, familiarizzare con lo straniero che ĆØ in noi ĆØ infatti impegnativo e sempre piĆ¹ in controtendenza. Molto piĆ¹ facile invece crogiolarsi nellā€™illusione che il materiale di scarto dellā€™esistenza riguardi sempre lā€™altro e che sia possibile isolare il bene dal male, con sicurezza e senza possibilitĆ  di appello.

La condanna a Maradona nasce proprio da questa visione dicotomica e, dalla stessa, anche le riflessioni di chi elogia il Maradona calciatore ā€“ eroe, divino, eccellente ā€“, rifiutando il ricordo del Maradona uomo ā€“ drogato, ingestibile, eccessivo.

Come se fosse possibile passare a setaccio una vita, separando la crusca dalla farina!

Non esiste dunque un Maradona ideale, nĆ© un uomo ideale che si dedica ai diritti delle minoranze e che puĆ², in quanto paladino di tali lotte, ergersi ad inquisitore e giudice degli altri. Esiste lā€™uomo reale, che ĆØ trama, intreccio di possibilitĆ  e limiti, apertura alla vita e pulsione di aggressione, chiamato di continuo a fare i conti con il lato piĆ¹ oscuro che lo abita e che, per non naufragare nella violenza e nella malattia, dovrebbe riconoscere.

Scrive sempre Massimo Recalcati: ā€œSe nellā€™animale la violenza scaturisce dal programma dellā€™istinto come la spinta alla riproduzione della specie, nellā€™uomo essa appare innanzitutto come tentazione: quella di liberarsi dal peso della presenza dellā€™alteritĆ  dellā€™Altroā€[3].

La melanconia grave, le dipendenze, i disturbi dellā€™alimentazione palesano infatti con esiti clinici diversi lo stesso tentativo di rigettare lā€™alteritĆ  dellā€™Altro che ĆØ in noi e il carattere deficitario Ā che imprime alla nostra esistenza. Lā€™isolamento dal mondo, la vita che si chiude, la ricerca di un godimento assoluto, la conversione della mancanza a essere in un vuoto ā€“ ora da saturare, ora da preservare ad ogni costo ā€“ , manifestano la paura di venire a patti con quel ĪŗĪ±ĪŗĻŒĪ½ che Zeus ha inviato agli uomini per punire Prometeo e con il quale i poeti riescono a scendere a patti meglio degli altri.

 

Scrive Rilke:Ā Ā Ā 

Ma il Mostruoso e il Micidiale,

come lā€™accetti, come lo sopporti?

Io celebro.

Ma il Senzanome, ma lā€™Anonimo,

come, Poeta, tuttavia lo nomini?

Io celebro.

Donde trai il tuo diritto dā€™esser vero

in ogni maschera, in ogni costume?

Io celebro.

E come puĆ² la quiete ed il furore

conoscerti, la stella e la tempesta?

PerchƩ io celebro.

[Dediche].Ā Muzot, dicembre 1921

 

 

[1] Massimo Recalcati, Diego, Orban, la maestra e il moralismo, La Stampa, giovedƬ 3 dicembre 2020

[2] Ā«Il paranoico ĆØ come se vivesse assumendo per vero un ā€œpostulato di innocenzaā€: lui ĆØ innocente e lā€™Altro ĆØ il colpevoleĀ»,Ā  Massimo Recalcati, Jacques Lacan. La clinica psicoanalitica: struttura e soggetto, Raffaello Cortina, Milano 2016, pp. 229-231

[3] Massimo Recalcati, ā€œIl gesto di Cainoā€, Einaudi, Torino 2020, p.7

 

Autrice: Alessandra Calabrese

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