Dipendenza affettiva e Narcisismo patologico

Mi chiamo Germana Verganti. Sono una psicologa, psicoterapeuta Analista Transazionale Certificata Eata, iscritta all’Ordine degli Psicologi con il n.18910. Ho conseguito la Laurea in Psicologia dell...
Dipendenza affettiva e Narcisismo patologico

La Dipendenza affettiva è un disturbo della relazione che comporta la distorsione della percezione di sé e dell’altro.

Tale modello relazionale, che causa disagio e frustrazione nell’affettivo dipendente, tende a riprodursi come uno stereotipo. In questo tipo di relazione vengono meno gli elementi essenziali per definirsi sana:

  • la reciprocità,
  • la complementarietà dei ruoli,
  • il potersi sostenere in modo equilibrato,
  • il rispetto.

Nella relazione tossica, possiamo individuare due parti:

  • una parte (dipendente affettiva) che si aggrappa disperatamente all’altro
  • un’altra (controdipendente) che rifugge l’intimità e la dipendenza perché percepite come pericolose.

La parte dipendente affettiva che si aggrappa disperatamente all’altro, si riconosce degna di valore solo in relazione al partner, è estremamente bisognosa di amore e accudimento per colmare dei vuoti affettivi derivanti dalla sua storia familiare, oppure da eventi avvenuti nel corso della sua vita, come ad esempio episodi di bullismo o mobbing, eventi quindi che hanno scalfito la fiducia in se stessa, la sua autostima e l’idea di essere meritevole di amore e rispetto.

La persona dipendente si dedica totalmente al partner, ponendo il soddisfacimento dei bisogni altrui davanti ai propri, se ascolta i suoi bisogni si sente immediatamente in colpa e si ritiene una persona cattiva, spesso in conseguenza di manipolazioni psicologiche da parte del compagno che solitamente è un narcisista patologico oppure un antisociale (queste persone sanno, specialmente all’inizio, come presentarsi con fare molto amichevole e seduttivo, per poi rivelarsi altamente maltrattanti, e sono incuranti delle conseguenze negative che arrecano all’altro).

Prodigarsi continuamente per il partner comporta un notevole dispendio di energie, qualsiasi cosa si faccia non è mai abbastanza, spesso le umiliazioni e i maltrattamenti diventano sempre più esacerbati, si assiste a una vera e propria escalation, da cui è fondamentale uscire prima possibile, rivolgendosi a uno psicoterapeuta e mettendo in pratica il “no contact” che è un modo per mettere confini con l’abusatore, al fine di proteggersi e avere cura di sé.

Berne, fondatore dell’Analisi Transazionale, parla di carezze (stroke), ovvero delle unità di riconoscimento, di cui necessitano tutte le persone. Le carezze possono avere valenza positiva (un complimento, una pacca sulla spalla) o negativa (critiche, offese, umiliazioni), queste ultime sono predominanti nelle relazioni tossiche, la persona dipendente affettivamente piuttosto che non essere vista e considerata dal compagno, è disposta a subire umiliazioni, proprio perché in qualche modo, paradossalmente, colmano un vuoto affettivo; una carezza negativa è meglio di niente!

Dipendenza affettiva. Tutte le persone hanno bisogno di carezze per sentirsi viste e riconosciute dall’altro, e solitamente vanno alla ricerca di quelle unità di riconoscimento che sono familiari, perché ciò che è conosciuto infonde un senso di sicurezza.

Il partner (controdipendente) che si incastra spesso con una persona affettivamente dipendente è ad esempio un narcisista patologico, una persona che si serve costantemente della manipolazione per raggiungere i suoi obiettivi, incurante della sofferenza che arreca al prossimo. Per raggiungere i suoi scopi, è disposto a mentire sui propri sentimenti ricorrendo a quella che si chiama tecnica del love bombing, cioè dichiarazioni d’amore smisurato alla partner, o al future faking (fare progetti su un futuro insieme).

A questo punto la vittima  potrebbe avanzare il desiderio di avere una relazione stabile con il narcisista, il quale però teme terribilmente l’intimità, vista come una minaccia al suo Sè grandioso e onnipotente, e teme di dipendere dall’altro, perché potrebbero in tal modo  emergere le sue fragilità, cosa troppo dolorosa e intollerabile, visto che da bambino era rifiutato se esprimeva i suoi bisogni e le sue emozioni, ma era accettato, ad esempio, solo se rispecchiava le richieste dei genitori.

I genitori di una persona narcisista possono essere stati trascuranti oppure aver considerato il figlio come il proprio prolungamento, e averlo messo costantemente al centro dell’attenzione come un oggetto da ammirare, ma non da amare per la sua autenticità. Il messaggio che arriva al figlio, in entrambi i casi, è quello di non essere degno di amore, mancanza che andrà a compensare cercando approvvigionamento narcisistico.

Queste relazioni sono devastanti per la parte che si aggrappa disperatamente al partner o alla stessa dinamica della relazione, spesso infatti si tende proprio a ricercare rapporti con l’altro che ripropongono questo modello relazionale distorto, perché è l’unico schema conosciuto e familiare e perché si spera in una sorta di riscatto, si crede che  cambiando il partner allora si verrà finalmente accettati e colmare quel vuoto affettivo lasciato dalle figure di accudimento.

Questa però è solamente una illusione in quanto inconsapevolmente si vuole confermare il proprio tornaconto di copione (i comportamenti sono finalizzati a una conclusione prevedibile), nel caso di chi soffre di dipendenza affettiva, convalidare la convinzione di sé di non essere meritevole di amore. Anche la parte controdipendente ha il suo tornaconto di copione, infatti sia il dipendente affettivo che il narcisista interiorizzano fin da bambini modelli relazionali disfunzionali e li ricercano anche da adulti, perché c’è a livello inconscio un vantaggio secondario. Vediamo meglio questo aspetto:

  • Il dipendente affettivo è una persona molto insicura, con una bassa autostima che tenta di compensare le sue paure e i suoi vuoti ricercando una figura che appare come forte e sicura, che dia una illusione di protezione, esattamente come è il narcisista, che grazie al suo falso sé, sembra rispondere proprio a queste caratteristiche. L’altro è considerato indispensabile per la propria esistenza, c’è la grande paura di non farcela da soli e per questo ci si aggrappa all’altro, pagando anche prezzi elevati, come l’assoggettarsi a umiliazioni, manipolazioni, modalità tipiche dei narcisisti patologici o degli individui antisociali.
  • Il narcisista invece ha bisogno di costante ammirazione per nutrire il proprio ego, di sentirsi al centro dell’attenzione e di essere superiore. Con una partner che fa di tutto per soddisfarne i bisogni, si sente importante. Si crea così l’incastro “perfetto” tra il narcisista e il dipendente affettivo, che si “usano” l’uno con l’altro per raggiungere i propri obbiettivi inconsci, originatisi da traumi infantili.

Come uscire da queste relazioni tossiche di dipendenza affettiva?

È importante ascoltare il disagio e la frustrazione che derivano da queste relazioni e rivolgersi a uno psicoterapeuta che aiuti il paziente a divenire consapevole di avere un disagio (spesso la persona attua strategie, come la minimizzazione e la giustificazione, per evitare di riconoscere di avere un problema di dipendenza affettiva). La persona dipendente teme terribilmente la solitudine e il senso di vuoto che la accompagna, nello spazio di terapia è possibile condividere questi vissuti ed elaborarli, comprendere l’origine dei comportamenti disfunzionali, dargli un senso, imparare a spostare il focus su se stessi piuttosto che restare ossessivamente sull’altro.

La terapia è senz’altro un aiuto fondamentale in questo percorso, ma lo è ancora di più la volontà e la motivazione al cambiamento del paziente. Solo così si è in grado di scoprire le proprie risorse in modo da imparare a stare bene da soli, a non sentire più quella paura dell’abbandono che fa mancare la terra sotto i piedi. Spostare l’attenzione su di sé implica essere in contatto con il proprio Io, percepirsi, avere la consapevolezza dei propri pensieri, bisogni, desideri e dargli seguito.

La terapia prevede che la paziente si prenda le sue responsabilità imparando così a gestirsi e a camminare verso l’autonomia e l’autenticità, imparando a utilizzare tutte e tre gli Stati dell’Io della persona, Genitore, Adulto e Bambino, e a non ricercare più relazioni di natura simbiotica che comportano il non accedere a tutte le proprie capacità e risorse. Se non si interviene con un trattamento specifico, è frequente ricadere in relazioni tossiche, oppure arrivare ad attutire il dolore, derivante dalla separazione e dalla forte paura della solitudine, con condotte altamente disfunzionali e dannose, come l’uso di alcool, benzodiazepine, droghe e/o abbuffate di cibo.

Oltre a ricentrarsi su se stessi è d’aiuto attuare il “no contact”, il dipendente affettivo infatti deve, come una persona che dipende da sostanze, evitare anche la minima ricerca del partner. E’ indispensabile però che il no contact sia affiancato da una psicoterapia e dallo sviluppo di risorse che diano un sano nutrimento affettivo. Solo quando questo si concretizzerà la persona sarà in grado di relazionarsi all’altro secondo i principi di un rapporto sano, caratterizzato dalla reciprocità dei ruoli.

Bibliografia

Borgioni M., (2015). Dipendenza e controdipendenza affettiva: dalle passioni scriteriate all’indifferenza vuota. Ediziono Alpes, Milano.

S. Woollams, M. Brown (2009), Analisi Transazionale, psicoterapia della persona e delle relazioni. Cittadella Editrice, Assisi.

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