La crisi del coronavirus sta avendo un impatto significativo sul sonno dei bambini
Negli ultimi mesi la vita delle famiglie italiane è stata stravolta in modo improvviso e sostanziale: già a fine febbraio in alcune regioni, e nel mese di marzo in altre, infatti, l’emergenza sanitaria del Covid-19 ha determinato inizialmente la “temporanea” chiusura di nidi di infanzia e scuole di ogni ordine e grado, per poi arrivare, nell’arco di poche settimane, alla necessità di non uscire dalle proprie abitazioni per circa due mesi, se non per motivazioni comprovate.
Alla fase 1 è seguita nel mese di maggio una fase 2, tanto attesa, di rinnovata libertà, seppure con molte restrizioni; tuttavia per i bambini e per i loro genitori non è cambiato molto: i servizi educativi non hanno riaperto e si sono dovuti attendere i mesi estivi per ottenere una qualche forma di ritrovata socializzazione attraverso i pochi centri estivi che sono partiti.
Ora possiamo certamente dire che è stata un’esperienza mai vissuta prima, che ha colto noi adulti del tutto impreparati rispetto a come comportarci con i nostri bambini. In questi mesi, sono stati realizzati vari studi circa le possibili ripercussioni di questa situazione e i primi risultati parlano di numerosi effetti psicologici, fra cui includono anche i disturbi del sonno (Impatto psicologico del lockdown nei bambini).
Personalmente, occupandomi da anni di problemi di sonno nei bambini, quello che ho potuto osservare è stato un deciso aumento delle regressioni, a tutte le età, sia per quanto riguarda il numero dei risvegli notturni sia per le difficoltà di addormentamento diurno e serale, a cui potrebbero aver contribuito diversi fattori.
Una prima variabile da considerare riguarda il fatto che le giornate delle famiglie sono state radicalmente trasformate: niente scuola per i bambini, niente lavoro per i genitori (tranne per chi svolgeva lavori necessari oppure era in smart working), separazione forzata da nonni, altri familiari e coetanei. La conseguenza di tutto questo è stata uno stravolgimento delle routine quotidiane e sappiamo quanto queste solitamente siano connesse ad una buona qualità del sonno diurno e notturno dei bambini.
A questo si aggiunge il fatto che i bambini non hanno avuto per molto tempo l’opportunità di scaricare le loro straripanti energie all’asilo, al parco giochi o nell’attività sportiva: in tal modo, il rischio era che fossero molto più nervosi e irritabili, ma anche più attivi e quindi meno inclini a rilassarsi per addormentarsi la sera o durante il giorno per il pisolino.
Un altro fattore, certamente non secondario, riguarda le eventuali tensioni, stress e paure genitoriali, che in un periodo così eccezionale per tutti potevano essere amplificate: questo aspetto può influenzare in modo significativo il sonno dei bambini, i quali vivono e “respirano” le emozioni dei loro genitori e ne sono condizionati, nonostante questi credano di poter nascondere le loro preoccupazioni ai figli.
Oltre alle emozioni dei genitori, nel mio lavoro ultimamente ho dovuto fare più attenzione del solito ai vissuti dei bambini e, soprattutto, alle nuove paure che potevano essere emerse in questo periodo così “strano”: mi riferisco all’uso delle mascherine, ma anche al distanziamento sociale, al doversi difendere da un pericolo “invisibile” e a molti altri aspetti del tutto nuovi nella loro vita. Sappiamo bene, infatti, che i vissuti del giorno possono disturbare in vari modi il sonno notturno, così come potrebbero rendere più difficile l’addormentamento serale (perché il bambino non è sufficientemente tranquillo per lasciarsi andare al sonno).
Un ultimo elemento critico che ho avuto modo di rilevare in questi mesi è stato l’uso delle tecnologie (tablet e cellulari in particolare), che da un lato sono state essenziali per affrontare un momento difficile, ma dall’altro possono aver influenzato i ritmi circadiani dei bambini a causa dell’emissione di luce blu, che causa una riduzione della produzione di melatonina (ormone che favorisce l’addormentamento). Anche la TV, pur non emettendo onde luminose analoghe, è ugualmente dannosa perché richiede di mantenere ritmi di attenzione elevati e rapidi che sovraccaricano il cervello del bambino e lo tengono in uno stato di tensione che non favorisce l’abbandonarsi al sonno.
Ovviamente è stata una situazione fuori dall’ordinario, in cui tutti abbiamo cercato semplicemente di “sopravvivere” e quindi l’abuso delle tecnologie può essere più che comprensibile: ora è il momento di ristabilire stili di vita più sani per i bambini e routine quotidiane regolari per tutta la famiglia (riaperture delle scuole a settembre permettendo!).
L’aspetto essenziale da considerare per le regressioni nel sonno è che possono essere temporanee se gestite bene e con la necessaria tranquillità; al contrario possono cronicizzarsi ed evolvere in problemi di sonno veri e propri se si innescano altre dinamiche relazionali, come una reazione ansiosa da parte dei genitori e un susseguirsi di tentativi casuali per far fronte alla situazione.
Per tale ragione ritengo che in tali evenienze possa essere determinante chiedere il supporto di uno psicologo specializzato sul sonno dei bambini, che sia in grado di capire di volta in volta quali fattori sono coinvolti in modo prevalente nella regressione e in che modo è possibile farvi fronte senza farsi prendere dal “panico”.
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