Patologie metaboliche e sovrappeso: quali gli spazi di intervento psicologico?

Psicologa, psicoterapeuta cognitivo comportamentale, giornalista. Membro del Center for Mindful Eating, istituzione fondata da Jean Kristeller e colleghi per la diffusione della cultura e delle tecnic...
Patologie metaboliche e sovrappeso

Molte persone in sovrappeso, o con diabete o altra patologia metabolica, hanno molta esperienza con le diete. Molti dei miei pazienti hanno così tante informazioni sull’alimentazione che potrebbero tenere un corso di nutrizione! Molte persone affette da una patologia metabolica o in sovrappeso non mangiano adeguatamente rispetto alle proprie condizioni di salute, non per una mancanza di conoscenza, ma, è evidente, per altri motivi. Ed è qui che lo psicologo può fare molto.

Lo psicologo può –e deve- infatti, aiutare i pazienti a comprendere perché, nonostante le corrette informazioni, continua a farsi del male attraverso un’alimentazione disfunzionale. Si tratta di fame? Si tratta di cattiva gestione emotiva? Si tratta di auto-sabotaggio? Di un’abitudine?

Il paradosso della restrizione alimentare

Uno dei motivi è sicuramente rappresentato dalle pretese estenuanti che spesso i pazienti (ed i loro caregivers) hanno sul comportamento alimentare. Le persone che fanno i conti quotidianamente con una patologia metabolica o col sovrappeso, purtroppo generalmente pensano che per loro non è più possibile godere del cibo e questo è angosciante.  Così credono fermamente che mangiare in maniera sana e adeguata per le loro condizioni significhi pesare, contare e misurare il cibo e le calorie.

Sicuramente questo tipo di atteggiamento viene assunto poiché l’argomento è serio e va preso in carico. Ma il punto è che un regime alimentare molto rigido e restrittivo può andar bene un giorno o due, forse anche una settimana o qualche mese… ma poi? Non è uno stile alimentare sostenibile per la vita.

La dissonanza cognitiva

Ricordiamo che la semplice informazione, che spesso passa attraverso la prescrizione di un piano alimentare, può dar luogo ad un’elaborazione superficiale di tale informazione in seguito alla tensione emotiva generata da quella che Festinger definì nel 1957 “dissonanza cognitiva”. La dissonanza cognitiva è la situazione cognitiva in cui credenze, nozioni, opinioni e comportamenti si trovano in contrasto nella persona, come quando, ad esempio, un diabetico sta mangiando (o sente il desiderio di mangiare) dolci. Maggiore è il numero di elementi che vengono a trovarsi in contrasto e maggiore importanza riveste l’argomento, tanto maggiore sarà il disagio e lo stress generato dalla dissonanza.

La ricerca psicologica si è dedicata soprattutto alle conseguenze della dissonanza cognitiva. La nostra tendenza naturale, infatti, è ridurre le situazioni emotive di disagio, in questo caso, dunque, riducendo la dissonanza.Quando la dissonanza però è costituita da un’opinione ed un comportamento, la situazione si complica: quando modificare un comportamento risulta difficile, come ad esempio, assumere meno cibi grassi a causa del sovrappeso o di una patologia metabolica, tendiamo a ridurre la dissonanza cognitiva modificando l’elemento maggiormente modificabile: non dunque il comportamento (assumere meno grassi), ma la credenza: “Ho bisogno di mangiare sano” diventa, dunque “Si vive una volta sola, non voglio rinunciare!”. Paradossalmente, quindi, la storia cronica di prescrizioni alimentari in molti casi rinforza il comportamento dannoso.

 

Lo psicologo, dunque, è indispensabile in tutti quei casi in cui:

  1. Il paziente assume un comportamento alimentare disfunzionale rispetto alle proprie condizioni di salute e non riesce a gestirlo
  2. La causa di tale comportamento alimentare disfunzionale non è la mancanza di un adeguato piano alimentare o di informazione

 

Se ti interessa approfondire gli strumenti di cui necessita lo psicologo per lavorare con questo tipo di pazienti, leggi la scheda del corso “L’intervento psicologico sul comportamento alimentare di persone celiache, diabetiche e/ cardiopatiche”, un corso altamente pratico, che insegna allo psicologo una serie di competenze tecniche mutuate dalla terapia cognitivo comportamentale, che andranno a costituire la cassetta degli attrezzi indispensabile per l’aggancio, l’analisi della domanda e l’intervento personalizzato su persone affette da diabete, celiachia, cardiopatie o comunque patologie organiche con forte componente alimentare.

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Dott.ssa Teresa Montesarchio

 

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