Problem Solving: il giusto mix di razionalità e creatività. (Parte I)

L’altro giorno mi è capitato di guardare alla televisione una puntata di “McGyver”, il più brillante (e irrealistico) “action man” della storia dei telefilm: per distruggere un raggio laser, il nostro eroe ha utilizzato un pezzo dello specchio di una toilette per donne, un quarto d’ora più tardi ha usato il vetrino del suo orologio per fabbricarsi un piccolo telescopio, la parte interna del ricevitore di un telefono fisso è diventata un’ottima calamita (io non lo sapevo..)! Mi sono messo a riflettere un po’ su questo personaggio, sicuramente geniale, e sono arrivato a pensare a quella che senza dubbio è la sua miglior caratteristica: una grande capacità di problem solving! Da bravo “smanettone” mi sono documentato un po’, e vorrei provare a confrontarvi con voi sul tema

Il problem solving. Ormai ne sentiamo parlare sempre più spesso, ma cos’è realmente, quest’abilità? Possiamo comprenderla, controllarla, migliorarla?

Mi è piaciuta molto una delle definizioni che ho trovato, secondo cui il problem solving è “il processo mentale attraverso il quale nuove informazioni vengono derivate da altre già note (i dati del problema)” e parla di come il risolutore nel corso di tale attività ricorra alle proprie conoscenze “che gli consentono, attraverso una successione di stadi risolutivi, di istituire un legame tra le informazioni fornite dai dati e la soluzione del problema”.
Semplificando, potremmo dire che si tratta dell’abilità di un individuo di giungere alla soluzione di un problema a partire dai dati del problema stesso e dalle proprie conoscenze precedenti sul mondo per generare una soluzione.

Non parliamo di una competenza tecnica, non riguarda la capacità di risolvere situazioni riguardanti una materia specifica nella quale si è esperti. Potremmo definire banalmente il problem solving come la capacità di trovare una soluzione a qualsiasi tipo di problema. È dunque una competenza trasversale, utile in tutti gli ambiti della vita, dall’ambito professionale a quello sentimentale, passando per quello amicale. Chi non ha mai organizzato una vacanza? O dovuto asciugare l’acqua che esce dal frigorifero nel momento in cui ci si accorge di essere sprovvisti di straccio? O ancora in ambito professionale, quante volte capita di dover risolvere un problema senza avere gli strumenti adeguati per farlo? Tante volte. Ogni giorno. E noi dobbiamo essere “qualitativamente” abili nel risolvere brillantemente tutti questi problemi.

Il succo del discorso intorno al problem solving a mio avviso è in questa frase: “Un problema è un invito al cambiamento per raggiungere i nostri obiettivi”. Un problema esiste quando c’è un ostacolo al raggiungimento di un obiettivo. Facciamo un esempio che può sembrare banale: stiamo percorrendo una strada di montagna con la nostra auto. Ad un tratto incontriamo un albero caduto che ci sbarra la via. Il nostro obiettivo è andare avanti, ma ovviamente non siamo in grado di spostare l’albero; alla fine, decidiamo di aggirare l’ostacolo uscendo dalla strada asfaltata per un breve tratto, per poi ritornare in carreggiata.

In questo caso il problema è stato risolto senza rimuovere l’ostacolo sul nostro cammino: abbiamo semplicemente modificato il percorso. Il problema quindi non corrisponde all’ostacolo, ma a una condizione in cui, a causa della presenza di ostacoli o impedimenti, siamo costretti a individuare nuove azioni per raggiungere i nostri obiettivi.

In presenza di un ostacolo non possiamo raggiungere i nostri obiettivi procedendo secondo le conoscenze o le esperienze precedenti. Dunque, per arrivare alla soluzione, è necessario un cambiamento nel nostro modo di vedere le cose o nei nostri comportamenti, che ci consenta di raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissati.

A questo punto, potremmo dire che la “prima regola” per un buon processo di problem solving è

Operare un cambiamento nel nostro modo di vedere e sentire, accedere ad un livello superiore!

Se abbiamo un problema di cui non riusciamo a trovare una soluzione, continuare a utilizzare gli stessi schemi di pensiero che si sono rivelati insufficienti a questo scopo non potrà mai sbloccare la situazione. Per uscire dal problema è necessario vedere qualcosa che non abbiamo considerato, aprire la mente a possibilità che ancora non abbiamo esplorato, evolvendo il nostro pensiero da un livello nel quale non si è in grado di risolvere il problema a uno più alto nel quale possiamo comprenderne la soluzione (avete mai visto “I soliti sospetti”? Beh, ve lo straconsiglio!).

Quindi, se vogliamo uscire da una situazione che ci sta stretta dobbiamo spostare il nostro punto di vista a un livello di pensiero diverso, prendere le distanze dalla situazione e pensare lucidamente.

A questo punto, la “seconda regola” fa senz’altro al caso nostro:

Spostare il focus sugli elementi positivi del contesto in cui si colloca il problema!

Se davanti ad un problema, sebbene possa sembrare apparentemente senza soluzione, riteniamo di uscire sconfitti, se pensiamo di non poterne trovare la soluzione, beh, state sicuri che non la troverete. Focalizzare la nostra attenzione su ciò che non va è il modo migliore per vivere male il problema senza riuscire a trovare una via d’uscita. Al contrario, se ci concentriamo sugli elementi positivi del problema, su quello che potremmo usare a nostro vantaggio, avremo sicuramente più possibilità di uscirne vittoriosi. Ma come è possibile orientare il proprio focus in modo positivo?

Attraverso la “terza regola”:

Porsi le domande giuste!

 

Domande del tipo “perché capitano tutte a me?”, “perché non riesco mai ad ottenere i risultati che desidero?”, sono domande improduttive perché ci fanno concentrare sul problema, inducendo in noi stati emotivi negativi che ci privano delle forze necessarie per affrontare e risolvere il problema. Il modo migliore per spostare il focus è porsi domande del tipo “cosa c’è di buono in tutto questo?”, “Come posso migliorare?”. Queste domande aiutano a concentrarsi sulla soluzione, ma soprattutto partono dal presupposto che la soluzione sia possibile. Ciò induce stati d’animo positivi e pieni di risorse.

Cosa dobbiamo chiederci, quindi? Alcuni esempi di domande giuste sono:Come posso dare il meglio in questa situazione?”  “Come posso raggiungere il mio obiettivo, divertendomi nel farlo?”  “Cosa devo fare per essere al mio meglio adesso?”

La “quarta regola”?

Liberiamo la nostra creatività!

Potrebbe apparire uno slogan banale e inflazionato, ma in realtà non lo è. Problem solving non significa avere un metodo standard per la risoluzione dei problemi, ma essere in grado di creare ogni volta una soluzione diversa e adatta alla situazione in cui ci troviamo. Tutto ciò richiede flessibilità ed una buona dose di creatività.

Potreste pensare che la creatività non vi appartiene, che è una dote che non tutti posseggono, che “sono una persona estremamente razionale, cosa ho a che fare con la creatività io??” Provate per un attimo a scegliere un problema, uno qualunque. Immergetevi completamente in esso, alla ricerca del maggior numero di informazioni possibili. Dopodiché, lasciatele sedimentare dentro di voi. Gran parte del lavoro viene svolto dalla nostra parte inconscia che produce associazioni libere tra le idee che affollano la nostra mente senza alcun tipo di censura come invece accade nel nostro pensiero conscio. Il modo migliore per produrre idee è fantasticare, lasciare libera la mente di vagabondare senza una meta precisa. Scoprirete che a volte, quando meno ve lo aspettate, distesi sul letto o sotto la doccia, vi troverete con un’efficace soluzione in mano!

Proviamo a sistematizzare un attimo tutto quanto?

Il primo step per un buon processo di problem solving parte proprio da qui: se osserviamo il problema da una certa distanza, spostiamo il nostro focus sugli elementi positivi del contesto, ci poniamo le domande giuste e usiamo tutto il potenziale creativo che possediamo…. Beh… è già un ottimo punto di partenza!!

Ovviamente non è tutto qua. Ovviamente oltre alla “qualità” di un giusto approccio, oltre alla parte più “creativa”, c’è bisogno della parte più “razionale”, di alcune tecniche e strumenti. Ma di questo parleremo nella seconda parte dell’articolo…

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0 thoughts on “Problem Solving: il giusto mix di razionalità e creatività. (Parte I)

  • molto d’accordo su tutto quanto, in particolare per quanto riguarda la seconda regola. Sospetto infatti che uno dei fattori più importanti per un buon processo di problem solving sia proprio focalizzarsi sugli elementi positivi del problema al fine di favorire ottimismo e aumentare la self-efficacy. A volte ho notato che partire prevenuti in modo pessimistico e fatalistico non fa nemmeno scattare gli altri punti del processo, con la conseguenza che sono poi gli altri a risolverci i problemi mentre noi rimaniamo inerti.

    Inoltre questo articolo mi ha fatto riflettere su una cosa: ma il problem solving è un processo che si svolge solo tra un individuo e il suo problema? affinchè ci sia problem solving è necessario che sia l’individuo, e solo lui, a poter risolvere il problema? si tratta solo di un rapporto “1 a 1”? se ad esempio un individuo si accorge che la soluzione migliore è, banalmente, chiamare un tecnico specializzato per risolvere il suo problema, questo può considerarsi comunque un riuscito problem solving?

    passo la palla al Dott. Caffarelli e a chi altri vorrà rispondere

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