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Pulsione di morte e nuovi sintomi nella clinica contemporanea

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Pulsione di morte e nuovi sintomi nella clinica contemporanea

“Le cose serie fanno serie”, sostiene Lacan

I progetti seri, sorretti dall’entusiasmo e dal saper fare, riescono cioè ad accettare la sfida della durata, a riproporsi, ad avere la meglio sul tempo, sulla sua precarietà ed evanescenza, sulle decelerazioni e i dietro-front che impone spesso anche ai più temerari. La pulsione di morte (Todestrieb) è quella spinta all’autodistruzione che Freud, dopo aver investigato a lungo il mistero della libido, finisce per riconoscere intimamente umana[1].

La pulsione di morte dalla teorizzazione freudiana

È proprio la teorizzazione freudiana del postulato del principio di morte – di quell’al di là del principio di piacere (Lustprinzip) che permette di decifrare fenomeni psicopatologici e sociali altrimenti enigmatici e intellegibili.  Riconoscere questa “forza demoniaca” permette al clinico di non stupirsi dinanzi alla resistenza al lavoro di analisi, e dunque alla cura, di chi, aspirando all’inerzia, prediligendo il chiuso all’aperto, squalificandosi dal gioco del desiderio, rigettando la minaccia dell’ingovernabile, opta per la morte, nel vano tentativo di stringere a sé quel godimento assoluto che la vita obbliga inesorabilmente a perdere[2].

I disturbi del comportamento alimentare, le depressioni melanconiche e le dipendenze mostrano in filigrana proprio l’incapacità a lasciare andare la dimensione assoluta dell’ideale e intraprendere il lavoro del lutto, a capire che è la mancanza ad essere a fondare l’esperienza del desiderio, del pensiero e dell’arte, a rendere dunque la vita, proprio perché mancante di qualcosa, vita viva,  generativa, aperta all’incontro con l’Altro, umana, in definitiva.

È  la siepe che, impedendo a Leopardi di godere totalmente del panorama, gli si rivela sempre cara. Il poeta intuisce l’opportunità preziosa di quella castrazione, che difatti non lo demoralizza, non lo intristisce, non gli vieta nulla, permettendogli invece di immaginare l’eterno, di pensare alle stagioni del passato, di sentire il suono di quella in cui vive, di riconoscersi, in questa vertiginosa esperienza del pensiero, profondamente umano[3].

 

[1] «In base ad ampie considerazioni sui processi che danno luogo alla vita e che conducono alla morte, è probabile che si debbano riconoscere due tipi di pulsioni, corrispondenti ai processi opposti di costruzione e di distruzione nell’organismo. Il tipo di pulsioni che in fondo lavorano silenziosamente e che perseguirebbero lo scopo di condurre l’essere vivente alla morte hanno perciò meritato il nome di “pulsioni di morte”; rivolte verso l’esterno grazie all’azione congiunta di molteplici organismi elementari unicellulari, verrebbero a manifestarsi come tendenze distruttive o aggressive. Le altre sarebbero le pulsioni libidiche analiticamente a noi meglio note come pulsioni sessuali o di vita e che potremmo compendiare nel modo migliore sotto il nome di Eros», Sigmund Freud,  Voci di enciclopedia: “Psicoanalisi” e “Teoria della libido”(1922), Bollati-Boringhieri, Torino, 1977. Vedi anche Sigmund Freud, Al di là del principio del piacere, Bollati-Boringhieri, Torino, 1975.

[2]«Per Freud la pulsione di morte è un antilutto. La morte non viene assunta soggettivamente, ma agita. Vi sarebbe negli esseri umani la tendenza a godere senza limite, al di là del principio di piacere, al di là della barriera biologica della difesa della vita. Per questa ragione la clinica psicoanalitica non è solo una clinica del soggetto del desiderio, ma è anche e soprattutto una clinica della pulsione di morte», Massimo Recalcati, L’uomo senza inconscio. Figure della nuova clinica psicoanalitica, Raffaello Cortina, Milano, p. 302.

[3]Giacomo Leopardi, Canti e poesie disperse, Accademia della Crusca Editore, Firenze 2009

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