In che modo la fisiologia influenza i processi mentali e il comportamento?
Mi sono posto questa domanda studiando i bambini fin dalla nascita, compresi quelli con problemi di sviluppo come la prematurità, la sindrome dell’X fragile, i disturbi dello spettro autistico, il mutismo selettivo, la sindrome di Ehlers-Danlos, e la sindrome di Prader Willi, con l’obiettivo comune di identificare i meccanismi che influenzano la regolazione del comportamento e delle emozioni.
Sulla base delle mie ricerche, ho sviluppato la Teoria Polivagale, che esplora come i circuiti neurali coinvolti nella regolazione dei nostri organi corporei influenzino le risposte emotive e i comportamenti verso gli altri e l’ambiente circostante. Numerose ricerche documentano che la regolazione dello stato comportamentale ed emotivo è mediata dal sistema nervoso autonomo attraverso vie neurali che hanno origine nel tronco encefalico e che comunicano con gli organi del nostro corpo formando un’autostrada neurale bidirezionale cervello-corpo. Quando questo sistema funziona in modo ottimale, possiamo autoregolarci e accogliere gli altri per co-regolarci attraverso il comportamento sociale.
Problemi
Le indagini parallele sulla neurofisiologia, sulle emozioni e sul comportamento sociale durante lo sviluppo del bambino portano a chiedersi come questi domini funzionali siano interconnessi. In sostanza, quali sono i meccanismi fisiologici che permettono o disturbano la regolazione emotiva e la socialità?
In che modo la conoscenza della neuroanatomia, della biologia evolutiva e della regolazione dello stato autonomo ci aiuta a comprendere meglio la regolazione emotiva e la socialità nel bambino in via di sviluppo?
Contesto di ricerca
La teoria polivagale sottolinea la transizione evolutiva dagli antichi rettili asociali ormai estinti ai mammiferi sociali. Poiché siamo mammiferi, condividiamo con gli altri mammiferi un tronco encefalico praticamente identico con strutture neurali che controllano e regolano il nostro sistema nervoso autonomo. Il tronco encefalico contiene strutture neurali che regolano meccanismi di sopravvivenza fondamentali che mantengono le funzioni di supporto alla vita senza richiedere le strutture cerebrali superiori più evolute necessarie per la consapevolezza e l’intenzionalità.
L’anatomia del tronco encefalico dei mammiferi è molto simile a quella del tronco encefalico dei rettili, che è stato riproposto e modificato nel corso dell’evoluzione per sostenere, oltre alla difesa, processi come il gioco e l’intimità.
Sebbene i cervelli dei mammiferi, e in particolare degli esseri umani, siano ben sviluppati con una corteccia di grandi dimensioni, la loro architettura cerebrale differisce da quella dei vertebrati che si sono evoluti prima dei mammiferi. Nei mammiferi c’è una grande variazione di specie nelle dimensioni della corteccia: con l’aumentare dei comportamenti intenzionali, dell’apprendimento, del problem solving e della socialità selettiva, aumenta anche la dimensione della corteccia. I rettili hanno una corteccia molto piccola e i vertebrati che hanno preceduto i rettili, come gli anfibi e i pesci, non hanno una corteccia.
Basi e applicazioni cliniche di Teoria Polivagale
Evoluzione dei processi di sopravvivenza
Possiamo concepire l’evoluzione come un processo di sviluppo molto lento che si svolge nell’arco di centinaia di milioni di anni, durante il quale si verifica una diversificazione delle specie o dei gruppi di organismi. Durante questo processo, sebbene siano avvenuti grandi cambiamenti nell’architettura del cervello, alcune parti del cervello appaiono relativamente coerenti tra i vertebrati, come il tronco encefalico.
Tuttavia, anche con le modifiche, i processi di sopravvivenza fondamentali regolati dai meccanismi del tronco encefalico continuano, anche negli esseri umani moderni, a funzionare al di fuori della nostra consapevolezza. Questi meccanismi di sopravvivenza modificano di riflesso lo stato fisiologico per sostenere o interrompere i processi omeostatici che supportano la salute, la crescita e il ripristino. In risposta alle minacce, l’omeostasi viene alterata per sostenere le strategie biocomportamentali di difesa, come i comportamenti di lotta/fuga, costosi dal punto di vista metabolico, o le reazioni di finta morte, conservative dal punto di vista metabolico ma potenzialmente letali, mediate da un antico sistema di difesa condiviso con vertebrati molto antichi e che nell’uomo si manifesta con lo svenimento durante le minacce.
Questo antico sistema era adattivo per i vertebrati antichi, che non avevano una corteccia di grandi dimensioni che sarebbe stata rapidamente danneggiata quando il livello di saturazione dell’ossigeno nel sangue scendeva. I piccoli mammiferi roditori hanno modificato questo antico sistema di difesa per fingere la morte, immobilizzandosi per brevi periodi per sembrare morti a un predatore attivo. Risposte simili sono state riportate da adulti sopravvissuti a gravi abusi da bambini.
Omeostasi, sensazioni di sicurezza e di minaccia
Dal punto di vista funzionale, quando il nostro sistema nervoso autonomo sostiene in modo efficiente l’omeostasi, i segnali provenienti dagli organi viaggiano attraverso i nervi sensoriali fino al tronco encefalico e poi dal tronco encefalico alle strutture cerebrali superiori che supportano una consapevolezza cosciente che interpretiamo come sensazione di sicurezza.
Quando l’omeostasi viene alterata, i segnali provenienti dai nostri organi corporei vengono interpretati come sensazioni di minaccia. Le sensazioni di minaccia innescano una serie di emozioni che coinvolgono il sistema limbico, definito da strutture situate al di sopra del tronco encefalico antico e al di fuori delle aree corticali coinvolte nella coscienza. Il processo attraverso il quale gli stati corporei vengono rilevati consapevolmente è chiamato interocezione.
Domande chiave della ricerca
- Possiamo documentare che specifici segnali di sicurezza calmano di riflesso il sistema nervoso autonomo per ottimizzare la regolazione emotiva, la socialità, l’apprendimento e i processi omeostatici legati alla salute?
- Gli stati autonomici sono indicatori affidabili della sensazione di sicurezza o di minaccia?
Risultati di ricerche recenti
La teoria polivagale propone che lo stato autonomico funzioni come una variabile intermedia che contribuisce a far sì che proviamo emozioni positive e ci impegniamo socialmente, reagiamo in modo difensivo con comportamenti di lotta o fuga, oppure ci immobilizziamo e ci dissociamo imitando la risposta di finta morte di un topo nelle fauci di un gatto.
Questi esempi illustrano i tre circuiti autonomici funzionali nei mammiferi descritti di seguito:
- Il circuito vagale ventrale regola il ramo calmante del vago, un nervo cranico con un ramo che collega il tronco encefalico e il cuore. Questo circuito ha la capacità di rallentare la frequenza cardiaca ed è collegato alla regolazione neurale dei muscoli striati del viso e della testa per formare un sistema di coinvolgimento sociale che consente di trasmettere lo stato autonomico attraverso il viso e la voce. Inoltre, questo circuito può gestire funzionalmente i circuiti più primitivi tenendoli fuori dagli stati di difesa per sostenere le attività prosociali di gioco e intimità.
- Un sistema simpatico spinale che supporta la mobilizzazione, condiviso con diverse specie di vertebrati che si sono evolute prima dei mammiferi. Nei mammiferi, se questo sistema, costoso dal punto di vista metabolico, viene sovraccaricato, si spegne e disinibisce l’antico sistema vagale dorsale.
- Un antico sistema vagale dorsale è condiviso praticamente da tutti i vertebrati. Quando viene reclutato in difesa, conserva le risorse metaboliche e funziona per ridurre il sangue ossigenato che arriva al cervello. Nei mammiferi, sebbene adattivo per brevi periodi di tempo, è potenzialmente letale.
Applicazioni cliniche della Teoria Polivagale, con Deb Dana
Funzionamento dei circuiti
Questi circuiti, parallelamente all’evoluzione, sono organizzati gerarchicamente in modo che i circuiti più recenti inibiscano quelli più vecchi. In caso di minaccia, le esigenze di sopravvivenza comportano un’interruzione sistematica di questa organizzazione gerarchica, in cui i circuiti evolutivamente più vecchi vengono disinibiti in sequenza per ottimizzare la sopravvivenza.
Questo processo è stato definito “dissoluzione” da John Hughlings Jackson, un neurologo, che ha utilizzato questo costrutto per descrivere la “de-evoluzione” o l’evoluzione inversa che ha osservato in seguito a danni cerebrali dovuti a malattie o lesioni. Questa gerarchia è bidirezionale e, attraverso la neurocezione, gli indizi di sicurezza possono attenuare e quelli di pericolo amplificare le reazioni di minaccia.
Il termine neurocezione viene utilizzato per sottolineare che il sistema nervoso effettua il rilevamento al di fuori delle aree cerebrali coinvolte nel comportamento intenzionale cosciente. Sebbene le strutture cerebrali superiori possano essere coinvolte nella neurocezione, il processo non è legato alla consapevolezza cosciente, che richiederebbe un tempo di decisione per determinare la fonte degli indizi rilevati. Questa decisione è integrata in un circuito di neurocezione per garantire un rapido adattamento per ottimizzare la sopravvivenza. Ad esempio, se si sente un rumore forte, ci si ferma e si cerca di determinare l’origine e l’importanza del suono.
Neurocezione per la sicurezza
Mentre praticamente tutti gli organismi viventi evolutivamente antecedenti hanno una neurocezione per la minaccia, solo i mammiferi hanno una neurocezione per la sicurezza che rileva gli indizi di sicurezza e regola di riflesso le reazioni di minaccia.
Osservare una madre che calma il suo bambino che piange usando una voce melodica (prosodica) è un esempio potente. Il pianto del bambino riflette uno stato fisiologico di minaccia che ha provocato un’alterazione dell’omeostasi. Quando la madre parla o canta al suo bambino, quest’ultimo si calma. Una calma che è osservabile nel comportamento, nel tono muscolare e persino autonomamente nella frequenza cardiaca. Simili influenze calmanti della voce prosodica si osservano quando calmiamo animali domestici come cani, gatti e cavalli.
Lacune nella ricerca
La teoria polivagale fornisce una prospettiva per indagare come lo stato autonomico sia coinvolto nei sentimenti, nelle emozioni e nella socialità. Fornisce spunti per misurare le metriche autonomiche che indicizzano le caratteristiche della socialità e i sentimenti di sicurezza. Inoltre, porterebbe a ipotizzare che le caratteristiche di regolazione autonomica siano importanti mediatori potenziali della disregolazione emotiva, delle difficoltà sociali e della compromissione dei processi mentali.
Per verificare queste ipotesi sono necessarie misure accurate e oggettive della funzione omeostatica, del disagio e dei sentimenti di sicurezza. Inoltre, data la bidirezionalità della gerarchia degli stati autonomici, si potrebbero testare strategie terapeutiche e nuove metodologie di intervento in cui lo stato autonomico sarebbe il portale dell’intervento per migliorare la salute mentale e fisica.
Conclusioni e implicazioni
Il repertorio comportamentale umano è fortemente influenzato dallo stato autonomico. La regolazione neurale dello stato autonomico segue una traiettoria di sviluppo che può essere interrotta da malattie ed esperienze precoci, come la prematurità e i parti difficili. Inoltre, le esperienze negative vissute durante lo sviluppo precoce possono ritarare funzionalmente il sistema nervoso autonomo in uno stato cronico di minaccia.
La teoria polivagale fornisce una prospettiva ottimistica che ipotizza che molte delle caratteristiche difensive che emergono spontaneamente da un sistema nervoso autonomo sintonizzato per essere cronicamente difensivo siano gestibili attraverso interventi terapeutici che fanno leva su una neurocezione di sicurezza attraverso le potenti influenze calmanti degli indizi di sicurezza.
Attraverso l’evoluzione, l’area del tronco encefalico che regola il vago ventrale calmante è coinvolta anche nella regolazione neurale dei muscoli striati del viso e della testa. Ciò ha permesso alla vocalizzazione e all’espressione facciale di trasmettere funzionalmente lo stato autonomo ai conspecifici, informandoli che erano o non erano sicuri da avvicinare. Questo legame tra lo stato autonomico e le strutture che proiettano le emozioni identifica meccanismi neuroanatomici e neurofisiologici che supportano la co-regolazione e la socialità. La comprensione di questo legame è stata accolta dai terapeuti e dagli educatori che lavorano con bambini cronicamente bloccati in uno stato autonomo di minaccia.
Questa conoscenza porterà ad apprezzare il fatto che molti comportamenti dirompenti sono proprietà emergenti del sistema nervoso autonomo che si trova in uno stato di difesa e non sono intenzionali né modificabili attraverso punizioni o ricompense.
Teoria Polivagale per Bambini: applicazioni pratiche per costruire Sicurezza, creare Attaccamento e sviluppare Connessione
Articolo liberamente tradotto e adattato. Fonte: Porges SW. Autonomic state: A neurophysiological platform for feelings, emotions, and social engagement. In: Tremblay RE, Boivin M, Peters RDeV, eds. Lewis M, topic ed. Encyclopedia on Early Childhood Development [online]. https://www.child-encyclopedia.com/emotions/according-experts/autonomic-state-neurophysiological-platform-feelings-emotions-and-social. Published: September 2022. Accessed June 13, 2023.