Terapia di esposizione e Virtual Reality

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Una “nuova” realtà virtuale per una “nuova” terapia di esposizione.

Riflessioni e consigli per un trattamento migliore dei disturbi d’ansia. 

Numerose ricerche hanno dimostrato l’efficacia dell’utilizzo della realtà virtuale (Virtual Reality – VR) nella terapia di esposizione. La VR non consiste in una vera e propria terapia ma rappresenta uno strumento tecnologico in grado di favorire quella che viene definita terapia di esposizione, ossia il ripetuto confronto con stimoli che provocano paura.

L’ambiente virtuale risulta uno strumento utile in quanto consente di gestire molti aspetti dello stimolo temuto e fornisce, inoltre, un accesso facile a situazioni difficili da organizzare nel mondo reale come, ad esempio parlare in pubblico, avvicinarsi ad animali, volare in aereo, guidare in mezzo al  traffico, affrontare le altezze. Allo stato dell’arte della terapia espositiva ci sarebbe però da evidenziare un aspetto importante nell’utilizzo dellaVR.

Tenendo conto, infatti, che negli ultimi due decenni i progressi raggiunti nelle aree di apprendimento ed estinzione della paura hanno portato alla formulazione di un nuovo modello concettuale e procedurale dell’esposizione (non più basata sull’ “abituazione alla paura” o sulla “disconferma delle convinzioni fobiche” ma sull’ “apprendimento inibitorio”), sembra sensato considerare che anche la tecnologia virtuale dovrebbe adeguarsi a tali sviluppi.

A questo proposito, a parer di chi scrive, sarebbero necessarie specifiche modifiche del software e dell’hardware con aggiunte di tecnologie e tecniche di biofeedback e di realtà aumentata.

Terapia di esposizione e virtual reality: in vivo o in immaginazione?

Abitualmente l’esposizione viene applicata in due modi: in vivo, cioè attraverso il contatto diretto con lo stimolo temuto, oppure in immaginazione ossia immaginandolo.

Pur essendo entrambi efficaci, questi due metodi presentano però dei limiti che possono precludere un’adeguata esecuzione della terapia. L’ esposizione immaginativa risulta, infatti, difficile per quei pazienti che hanno scarse abilità nel creare immagini mentali. Non tutte le persone, infatti, riescono a provare ansia immaginando situazioni o stimoli temuti. L’ esposizione in vivo, invece, presenta altre limitazioni. Certi pazienti, ad esempio, possono essere restii ad esporsi veramente agli stimoli fonti di molta ansia e paura (in particolar modo nelle prime fasi della terapia).

Inoltre, alcune esposizioni in vivo risultano difficilmente praticabili con una adeguata frequenza come nel caso, ad esempio, della paura di volare o degli agenti atmosferici. L’utilizzo della realtà virtuale, nel trattamento dei disturbi d’ansia, permette di superare egregiamente tutte queste barriere.

Numerosi studi, infatti, riguardo la terapia esposizione e virtual reality, hanno dimostrato come gli ambienti virtuali sono in grado di evocare le medesime reazioni ed emozioni della situazione vissuta nel mondo reale. Visto la minore gravità percepita (consapevolezza di non realtà) la VR mantiene inoltre motivato il paziente ad esporsi e permette al terapeuta di generare e manipolare stimoli e contesti diversi, di regolare i tempi e la frequenza delle esposizioni, in completa autonomia e con il massimo del controllo.

Alcune esposizioni a determinati stimoli, che in vivo risulterebbero costose, impraticabili o addirittura pericolose, grazie alla realtà virtuale risultano applicabili e ripetibili nello studio del terapeuta. Dunque, l’utilizzo della VR è senza dubbio in grado di migliorare gli interventi espositivi, in particolar modo quando risultano difficilmente praticabili.

Nuovo modello concettuale e nuove modalità operative per l’esposizione in vivo/ immaginazione nella virtual reality

Oggi il funzionamento della terapia espositiva è concettualizzato in maniera diversa rispetto al passato e questo sta comportando tutta una serie di aggiornamenti (anche radicali) della tecnica, sia in vivo che in immaginazione. Negli ultimi due decenni, le ipotesi prevalenti dell’abituazione dell’ansia e della disconferma delle convinzioni ansiogene, come principali fattori terapeutici, sono state via via  messe in discussione e sostituite da quello che viene definito “modello inibitorio”.

Secondo tale modello l’efficacia dell’esposizione sarebbe dovuta alla formazione di nuove memorie antagoniste capaci di competere ed inibire quelle eccitatorie di paura (Toso 2019 in pubblicazione). Ogni apprendimento inibitorio sarebbe il risultato di marcati errori di predizione i quali, per essere ottenuti, hanno bisogno di elevate aspettative di minaccia e relative esperienze di disconferma. Dunque la formazione di un nuovo apprendimento inibitorio necessita di intense e prolungate esperienze di ansia.

Considerando questo il modo di funzionare della terapia, si sono cominciate a sperimentare specifiche strategie comportamentali con l’intento di massimizzare la formazione, il consolidamento ed il recupero di tali memorie inibitorie.

I principali interventi  pensati e verificati sono (per un approfondimento vedi Toso et al. 2016; Craske et al. 2018):

  • Rimozione di tutto ciò che da sicurezza. Consiste nell’eliminare qualunque cosa in grado di ridurre l’aspettativa di minaccia durante l’esposizione;
  • Esposizione rinforzata occasionalmente. Consiste nell’inserire, di tanto in tanto, uno stimolo capace di mantenere elevata la predizione di danno nei confronti di ciò che si teme;
  • Esposizione approfondita. Consiste nel suddividere lo stimolo temuto in varie parti. Ci si espone, dunque, ad una di esse, poi all’altra ed infine ad entrambe contemporaneamente. In questo modo l’aspettativa di minaccia rimane sempre elevata;
  • Variabilità. Variare le caratteristiche dello stimolo temuto (es. forma e colore) e dell’approccio allo stimolo durante le esposizioni, permette di mantenere elevata l’aspettativa di minaccia;
  • Attenzione: Mantenere focalizzata l’attenzione sullo SC e sul non verificarsi dello SI temuto permette di aumentare l’aspettativa di minaccia, ma anche di incrementare la rilevanza della relazione tra SC e no SI;
  • Variazione del contesto. L’apprendimento inibitorio è specifico per il contesto in cui si forma. Per tale ragione la variazione dei contesti, durante le esposizioni, permette di compensare il rinnovo del contesto ostacolando il ritorno della paura;
  • Utilizzo di spunti per il recupero. Usare un promemoria, durante la terapia, facilita il recupero di memorie inibitorie successivamente. Esso permette, infatti, di compensare il rinnovo del contesto ostacolando il ritorno della paura;
  • Umore positivo. Aumentare l’umore positivo, prima e durante l’esposizione, rende lo SC più gradevole facilitando la formazione, il consolidamento ed il recupero della memoria.

Quali consigliati per una realtà virtuale finalizzata all’apprendimento  inibitorio?

Il classico uso della virtual reality per la terapia di esposizione consiste nel favorire l’abituazione alla paura in un contesto virtuale. Tale fine è perseguito mediante un confronto graduale allo stimolo temuto così da ridurre piano piano l’ansia.

In base al nuovo modello inibitorio, però, favorire l’abituazione è controproducente. Tutti gli interventi che ne derivano, infatti, non fanno altro che ostacolare l’abituazione dell’ansia aumentando l’aspettativa di minaccia. Per sfruttare al meglio la virtual reality durante la terapia di esposizione, occorrerebbe, dunque, ripensarla.

Di seguito vengono consigliate alcune necessarie modifiche al fine di implementare le strategie comportamentali sopra descritte. Tali rettifiche dovrebbero prevedere anche l’integrazione di tecnologie di “realtà aumentata” e di “biofeedback”.

  1. Non usare esposizioni graduate, ossia non proporre le immagini (virtuali) dello stimolo temuto in maniera graduale. Esposizioni meno intense possono essere utilizzate un po’ all’inizio della terapia ma solo al fine di far prendere, al paziente, un po’ di dimestichezza con la tecnica. Per poter creare una nuova memoria di estinzione servono, invece, sequenze di immagini dello stimolo temuto che permettano di mantenere elevata l’aspettativa di minaccia e di contrastare l’abituazione  (ad esempio mediante scene molto minacciose, utilizzando la variabilità dello stimolo, strategie di esposizione rinforzata occasionalmente oppure di esposizione approfondita);
  2. Sempre al fine di promuovere il maggiore errore di predizione e, dunque, un forte apprendimento inibitorio la nuova virtual reality avrebbe bisogno di un sistema di “realtà aumentata” capace aiutare il paziente a mantenere l’attenzione sulle riproduzioni virtuali dello stimolo temuto (per esempio evidenziandole). Questo ostacolerebbe l’evitamento attentivo causato dall’ansia elevata o conseguente all’abituazione;
  3. Tenendo conto che durante l’esposizione l’ansia tende a calare (abituazione) serve un sistema di rilevazione di specifici parametri fisiologici dell’ansia stessa (ad es. frequenza cardiaca) in grado di restituire, mediante apposito feedback, l’informazione di una loro riduzione. Volendo mantenere elevata l’aspettativa di minaccia, infatti, un calo di tali indici deve essere preso come una spia di allarme (e non più come esito di buon risultato) in seguito alla quale è necessario modificare la scena espositiva rivitalizzando l’ansia;
  4. Al fine di promuovere una generalizzazione dell’apprendimento inibitorio servono immagini dello stimolo temuto ambientate in più contesti di vita possibili (spazio/temporali). Così se ad esempio lo stimolo minaccioso è un cane, le esposizioni in realtà virtuale dovrebbero considerare, oltre che cani diversi e approcci differenti del paziente nei loro confronti, anche esposizioni ai cani in contesti differenti (al parco, per strada, ecc);
  5. Servono degli stimoli (ad esempio l’ascolto della musica) che permettano di migliorare l’umore poco prima o durante l’esposizione in virtual reality. Favorire un buon umore, durante la terapia di esposizione, migliora la valenza dello stimolo temuto, motiva il paziente ad esporsi e potenzia l’apprendimento inibitorio. Alcune musiche, tra l’altro, avrebbero anche la capacità intrinseca di potenziare il consolidamento mnestico incrementando la neuroplasticità che sta alla base dell’apprendimento;
  6. Infine, per mantenere motivato il paziente nell’ eseguire le intense esposizioni, c’è bisogno di un adeguato sistema di rinforzo. L’uso di un apparato informazionale, che aggiorni il paziente del lavoro svolto o che sta svolgendo durante ogni seduta (ad esempio un feedback visivo che descriva livelli d’ansia mantenuti sopra un livello medio), potrebbe rinforzare il comportamento espositivo. Ovvio che il paziente deve essere messo adeguatamente al corrente di quanto sia importante e determinante per creare un nuovo apprendimento, mantenere elevata l’ansia durante le esposizioni.

Conclusioni

La virtual reality non consiste in una vera e propria terapia di esposizone ma rappresenta uno strumento tecnologico in grado di favorire quella che viene definita terapia di esposizione, ossia il ripetuto confronto con stimoli che provocano paura. Oggi sappiamo che il meccanismo alla base del funzionamento terapeutico dell’esposizione è la formazione di una memoria inibitoria e che per massimizzare tale nuovo apprendimento occorrono esposizioni capaci di creare forti errori di predizione, contrastare il processo di abituazione e favorire, dunque, intense e ripetute esperienze d’ansia.

Sulla base di queste considerazioni, al fine di massimizzare l’esposizione, non serve più una realtà virtuale finalizzata a favorire la riduzione dell’ansia (all’interno della seduta o tra una seduta e l’altra), bensì una RV che favorisca la formazione, il consolidamento ed il recupero della nuova memoria inibitoria. Occorre, dunque, una tecnologia che permetta al paziente di affrontare virtualmente stimoli temuti mantenendo elevata l’aspettativa di minaccia e così, di conseguenza, anche l’ansia. Solo tramite ripetute ed intense esposizioni di questo tipo, al termine della terapia, lo stimolo minaccioso non farà più paura ed i risultati saranno mantenuti nel tempo.

 

Bibliografia

Craske, M.G., Hermans, D., Vervliet, B. (2018). State of the art and future directions for extinction as a
translational model for fear and anxiety.Philosophical Transactions B, 373 (1742).

Bouton ME (1993). Context, time and memory retriveval in the interference paradigms of Pavlovian
learing. Psychological Bullettin 114, 80 – 99.

Toso E. (2017). Massimizzare la terapia di esposizione: un approccio basato sull’apprendimento
inibitorio. Tr.it. Craske MG, Treanor M, Conway C, Zbozinek T, Vervliet B (2014). Maximizing
exposure therapy: an inhibitory learning approach. Behaviour Research and Therapy, 50, 10-23.

Toso E. (2019). La seconda giovinezza della terapia di esposizione. Nuovo modello concettuale e nuove
modalità operative. In pubblicazione.

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