Ascoltare il Trauma e le Parti con la Psicoterapia Sensomotoria

Janina Fisher, PhD, psicologa clinica e psicoterapeuta, esperta internazionale nel trattamento del trauma. Vicedirettrice del Sensorimotor Psychotherapy Institute fondato da Pat Odgen. Istruttrice pr...
Janina Fisher Vegnogna Psicoterapia Sensomotoria

Guarire le ferite da attaccamento ascoltando il nostro trauma con la Psicoterapia Sensomotoria (SP).

Usare la Psicoterapia Sensomotoria per parlare con le parti interiori che provano vergogna.

Come terapeuti, incontriamo spesso pazienti così presi dall’odio che i nostri migliori sforzi per migliorare un loro senso di autostima sembrano solo scavare più a fondo il buco del giudizio e del disprezzo di sé. Per alcuni, la prospettiva stessa di accettazione di sé può sembrare ripugnante e profondamente ansiosa. In questi casi, è spesso in corso un’intensa battaglia nel profondo. A volte la guerra può essere letteralmente tra la vita e la morte, come se una parte del paziente volesse vivere mentre un’altra facesse pressioni per il suicidio come protezione definitiva contro sentimenti opprimenti.

Quando il blocco dei pazienti può essere ripetutamente ricondotto a questo tipo di conflitti interni, ho iniziato a chiedermi se il pantano clinico risultante potesse essere un riflesso di una sorta di “disturbo dell’attaccamento interno”. È possibile che per alcuni l’alienazione diventi una strategia di sopravvivenza essenziale fin da piccoli?

Questo approccio di coping è pratico durante l’infanzia, ma alla fine si rivela insufficiente una volta che le esigenze della vita adulta richiedono qualità e comportamenti che non possono far parte del nostro repertorio precedente. Non importa cosa succeda all’esterno, non importa quanto siamo amati e apprezzati nelle nostre vite adulte, le parti critiche dentro di noi sono pronte a condannarci come inadeguati o immeritevoli, alimentando un senso globale di ansia e vergogna.

 

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Una crisi dal nulla

Marcia non sapeva che la sua esperienza infantile di abusi e abbandono aveva portato all’auto-alienazione e che ora stava causando caos nella sua vita altrimenti normale. È arrivata nel mio studio come casalinga di 29 anni dicendo una cosa che ha scosso anche una terapeuta di lunga data come me: “Voglio rinunciare ai miei figli e lasciare mio marito“.

Dieci anni prima, dopo essersi diplomata al liceo aver sposato suo marito e aver avuto tre figli in rapida successione, pensava di essere arrivata a una vita in cui sarebbe stata per sempre felice e contenta. Poi senza preavviso, dopo la nascita della figlia più piccola, è diventata improvvisamente qualcuno che non riconosceva più, e di certo non le piaceva. Un giorno poi esplose di rabbia con i suoi figli fino a nascondersi nell’armadio iniziando a bere.

Inorridita dal suo comportamento nel tempo ha cercato il mio aiuto perché, come diceva lei, stava diventando “pazza come la famiglia che mi ha cresciuta“.

 

L’analisi di Janina Fisher

Mentre ascoltavo la sua storia, potevo sentire i conflitti interni legati all’attaccamento come “voci” diverse nella sua narrazione. Mentre parlava del fatto che bevesse molto, il suo linguaggio del corpo proiettava un’adolescente ribelle, mentre una voce giudicante era inorridita dal comportamento. Questa voce è stata subito seguita da un senso di profonda vergogna e dal pensiero che avrebbe dovuto “rinunciare ai bambini” come atto di penitenza. C’era anche un’altra voce: la parte arrabbiata, che periodicamente eruttava contro suo marito, percependolo come un “utente” distante da tutto questo.

Una volta che ho iniziato a formare un quadro coerente del tumulto che Marcia stava vivendo, le ho dato sia la “buona notizia che la cattiva notizia”. La buona notizia era che non doveva rinunciare ai suoi figli per salvarli, la cattiva notizia era che il trauma che pensava di essersi lasciata alle spalle era ancora con lei. Ho iniziato a esplorare con lei come emergessero in lei i problemi di attaccamento interno irrisolti, poiché, altrimenti, i normali stress della vita evocano paure e sentimenti delle sue parti interiori rinnegate e abbandonate.

 

La Psicoterapia Sensomotoria

Utilizzando la Psicoterapia Sensomotoria, approccio elaborato da Pat Ogden, base del mio lavoro terapeutico, ho iniziato ad aiutare Marcia a distinguere tra gli impulsi, i pensieri e i sentimenti delle sue parti interiori traumatizzate, le azioni e le reazioni del suo “sé adulto“. Da lì, ho iniziato a guidarla nel fare amicizia con le parti, cosa che aveva inconsciamente rinnegato tanti anni fa e che stava causando il caos nella sua vita.

Ma come facciamo a “fare amicizia” con parti di noi stessi? La risposta è: allo stesso modo in cui facciamo amicizia con chiunque altro. Mostriamo interesse e curiosità. Ho invitato Marcia a scoprire cosa facesse funzionare le sue parti come se fossero persone che stava conoscendo per la prima volta. Quali erano le loro simpatie e antipatie, paure e fantasie, abitudini e margini di crescita? Ciò significava insegnarle ad ascoltare, ad ascoltare davvero ciò che queste parti stavano cercando di dirle, anche se ciò significava fare un radicale atto di fede.

 

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Accreditamento ufficiale di Livello 01 in Psicoterapia Sensomotoria, riconosciuto dal Sensorimotor Psychotherapy Institute

 

Risvegliare l’adulto interiore

La settimana successiva arrivo per il nostro appuntamento e Marcia è molto più calma, senza la solita depressione o quella rassegnazione che l’avevano caratterizzata fino a quel momento. Quando le ho riferito questa mia impressione immediata, Marcia ha riso e ha disegnato il profilo di un marsupio sulla parte anteriore del suo corpo: “potrebbe avere qualcosa a che fare con il fatto che ho portato la piccola parte di me con me per tutta la settimana? Adesso è sempre qui, sul mio cuore.”

Nonostante le difficoltà Marcia ha continuato ad immaginare di portare il suo io più giovane nel suo cuore e giorno dopo giorno si è sviluppata in lei una graduale trasformazione. Invece di essere innescata da suo marito e dai suoi figli, la sua famiglia ora ha evocato un nuovo livello di gratitudine e cura. Abbracciare la parte più ferita di lei ha trasformato il suo rapporto con se stessa e con i suoi cari.

Quando comprendiamo che odio verso noi stessi e l’alienazione non sono altro che una strategia di sopravvivenza delle parti più “giovani”, comprendiamo anche di avere parti più compassionevoli e sagge. Nel frattempo, noi terapeuti abbiamo il compito di modellare pazientemente con calore e apertura ogni singola parte, anche quelle che più minacciose, come le parti suicide o svalutanti, accogliendo tutte le loro voci in terapia come ospiti d’onore.

 

Articolo liberamente tradotto da “The Anatomy of Self-Hatred”, di Janina Fisher

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