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Cognizione e Dolore

cognizione dolore

L’esperienza multidimensionale del dolore è qualcosa con cui la pratica clinica si confronta molto frequentemente e ha un impatto sullo stato fisiologico e psicologico dell’individuo.

Il dolore viene solitamente definito come un’esperienza spiacevole dal punto di vista sensoriale o emotivo associata a un danneggiamento dei tessuti conclamato o potenziale.

Ne consegue che il fenomeno percettivo del dolore è soggettivo e coinvolge l’elaborazione cognitiva, non è un fenomeno puramente sensoriale. La cognizione comprende l’acquisizione, l’elaborazione, la conservazione e il recupero di informazioni da parte del cervello. La cognizione comprende elementi critici come attenzione, percezione, memoria, capacità motorie, funzionamento esecutivo e capacità verbali e di linguaggio.

La cognizione è una componente fondamentale della percezione soggettiva del dolore che richiede valutazione cognitiva, apprendimento, ricordo di esperienze passate e processo decisionale attivo. Gli aspetti fondamentali di apprendimento e memoria richiedono l’attenzione, che viene potenziata dall’aggiunta di una componente emotiva al processo.

Sono varie le aree cerebrali corticali e subcorticali coinvolte nella percezione, nella comunicazione e nella modulazione del dolore. Sono sempre più le evidenze relative a una forte associazione tra i sistemi neurali di cognizione e dolore che ha un ruolo bidirezionale di modulazione.

Le osservazioni nell’ambito del dolore cronico (dolore che persiste per più di 3 mesi) di solito superano la durata dello stimolo del dolore e hanno effetti molto negativi sugli elementi psicosociali dell’individuo (Hart et al., 2000; Treede et al., 2019; Walankar et al., 2020). Sebbene sia stato dimostrato da tempo che il dolore cronico altera gli esiti cognitivi, studi svolti negli ultimi dieci anni hanno richiamato l’attenzione in particolare sugli effetti multidimensionali del dolore su vari domini cognitivi (Nadar et al., 2016).

Oltre ad avere conseguenze psicosociali, il dolore può avere un impatto anche sui domini funzionali e sulla qualità della vita in generale (Al Mahrouqi et al., 2020). Inoltre, l’impatto economico del dolore cronico costa 635 miliardi di dollari all’anno in costi medici diretti, perdita di produttività e programmi di disabilità (Barrett et al., 2020).

Pertanto, la valutazione della relazione tra cognizione e dolore è fondamentale per comprendere le sindromi di dolore cronico, le loro associazioni con le comorbilità e il loro impatto psicosociale per migliorare gli obiettivi terapeutici e l’outcome per i pazienti.

In questa rassegna narrativa, esploriamo le prove disponibili e riassumiamo la letteratura esistente sugli effetti del dolore su vari cambiamenti cognitivi. Esaminiamo anche l’associazione anatomica, biochimica e molecolare tra dolore e neurocognizione.

Inoltre, ci concentriamo sul deterioramento cognitivo causato dai farmaci analgesici. Sottolineiamo la necessità di migliorare la comprensione della fisiopatologia e dei meccanismi del deterioramento cognitivo associato al dolore cronico e al suo trattamento.

 

Anatomia e Fisiopatologia del Dolore

Capire l’associazione tra i sistemi neurali coinvolti nel dolore e nella cognizione è fondamentale per decodificare la relazione tra queste due entità. Al livello più elementare, la via del dolore consiste in

  1. trasduzione,
  2. trasmissione,
  3. modulazione e
  4. percezione (Institute of Medicine, and Committee on Pain, Disability, and Chronic Illness Behavior, 1987; Yam et al., 2018).

Gli stimoli relativi al dolore vengono trasdotti, da una serie di nocicettori specializzati, in un segnale riconoscibile, trasmesso attraverso le fibre Aδ (tatto, temperatura) e C (dolore). La maggior parte delle fibre sensoriali proietta poi ai gangli della radice dorsale (DRG), da cui l’input sensoriale viene trasmesso al sistema nervoso centrale (SNC; Bourne et al., 2014). In caso di persistenza degli stimoli di dolore, si verifica la sovra-regolazione delle fibre A per percepire il dolore in aggiunta alle fibre C; ne consegue la sensibilizzazione centrale che porta all’iperalgesia.

In primo luogo, le fibre C contribuiscono alla modulazione a livello dei DRG regolando la configurazione e la sensibilità dei recettori dell’N-metil-D-aspartato (NMDA) (Neumann et al., 1996). Un’ulteriore modulazione del dolore ascendente avviene a livello del midollo spinale attraverso il rilascio di acido gamma-aminobutirrico. Si è osservato il ruolo della perdita funzionale della lamina II nello sviluppo del dolore neuropatico cronico (Bourne et al., 2014).

I tratti spinotalamici che trasmettono le sensazioni legate a dolore e temperatura corrono lungo il midollo spinale ventrolaterale fino al nucleo posteriore ventrale e al nucleo centrale del talamo. In seguito, le proiezioni talamiche trasmettono alla formazione reticolare del tronco encefalico, all’ipotalamo e ai centri corticali superiori.

Queste proiezioni alla formazione reticolare, alla materia grigia periacqueduttale (PAG) e ai nuclei talamici mediali sono componenti importanti dei domini motivazionali e affettivi del dolore (Bourne et al., 2014). La riorganizzazione talamica è un percorso essenziale per lo sviluppo del dolore centrale e del dolore neuropatico.

Un ampio circuito neurale corticale è coinvolto nella percezione, localizzazione e modulazione degli stimoli dolorosi. Questa rete è costituita principalmente dai sistemi del dolore mediano e laterale. Il sistema mediano è costituito dalla corteccia cingolata anteriore (ACC) e dalle cortecce insulari, mentre il sistema laterale è costituito dalle cortecce somatosensoriali primarie (SI) e secondarie (SII).

Altre aree corticali coinvolte nella percezione del dolore sono la corteccia orbitale ventrolaterale e la corteccia motoria (Xie et al., 2009).

La via discendente del dolore comprende diverse componenti sopraspinali: il midollo rostrale ventromediale (RVM), il tegmento pontomesencefalico dorsolaterale e il PAG (Bourne et al., 2014). La via PAG-RVM-DH (corno dorsale) è chiamata via discendente di modulazione del dolore.

Nel sistema limbico, l’amigdala è associata alla componente emotivo-affettiva del dolore e alla sua modulazione. Si attiva in risposta a stimoli nocivi, ragione per cui il nucleo centrale dell’amigdala si chiama “amigdala nocicettiva” (Neugebauer, 2015).

L’interconnessione tra l’amigdala e la corteccia prefrontale, la corteccia cingolata, i gangli della base e i circuiti riverberanti cortico-limbici è implicata nelle affezioni con dolore cronico come la sindrome del dolore regionale cronico (CRPS), l’ipersensibilità viscerale nella sindrome dell’intestino irritabile (IBS), il dolore pelvico cronico (Thompson e Neugebauer, 2017).

Monoammine, serotonina (5-HT), dopamina (DA) e noradrenalina (NE), contribuiscono alla modulazione della via discendente agendo prevalentemente sulla lamina I e II del midollo spinale. Una modulazione discendente disregolata svolge un ruolo fondamentale nelle affezioni con dolore cronico (Bourne et al., 2014).

Neuroplasticità e Dolore Cronico

La neuroplasticità comprende i cambiamenti strutturali e funzionali che si verificano nel cervello e che consentono l’adattamento alle indicazioni ambientali, l’apprendimento, la memoria e la riabilitazione dopo una lesione cerebrale (Gulyaeva, 2017). Di fatto, è la base neurochimica della formazione della memoria (Joshi et al., 2019).

La neuroplasticità nel contesto del dolore si riferisce ai cambiamenti che alterano la risposta dell’individuo al dolore con lo sviluppo di dolore cronico o ipersensibilità (Basbaum et al., 2009; Gulyaeva, 2017). Gli adattamenti neuroplastici del cervello al dolore cronico portano alla modulazione dei domini cognitivi, influenzando la percezione del dolore.

Studi di imaging hanno suggerito una riorganizzazione spazio-temporale dell’attività cerebrale in relazione al dolore cronico, durante la quale la rappresentazione del dolore si sposta gradualmente dalle strutture sensoriali a quelle emotive e limbiche. Pertanto, la transizione dal dolore acuto al dolore cronico è un tipo di plasticità indotta dall’attività dei circuiti limbico-corticali che porta alla riorganizzazione della neocorteccia (Thompson e Neugebauer, 2017).

Le evidenze suggeriscono un ruolo della corteccia prefrontale mediale (mPFC) nell’interazione cortico-limbica per la modulazione della risposta a livello dell’amigdala. Da ciò potrebbero derivare nuove tecniche per il controllo del dolore che implichino il controllo dell’amigdala da parte della mPFC. Esiste una differenza interindividuale nella codifica degli stimoli dolorosi e nella generazione della memoria di queste esperienze.

Questa differenza interindividuale si basa sul modo in cui vengono gestiti gli stimoli nocivi rispetto a quelli innocui e sul livello di ansia dell’individuo. Il talamo mediale e l’ACC sono responsabili della codifica degli stimoli come dolorosi, mentre la corteccia somatosensoriale discerne gli stimoli non dolorosi.

Questo processo di codifica è anche associato a una maggiore connettività funzionale tra il talamo e la mPFC ed è essenziale per la componente affettiva della percezione del dolore e della formazione della memoria (Tseng et al., 2017).

Vari fattori neurotrofici, lipidi neuro-modulatori e neuropeptidi sono implicati nello sviluppo della plasticità (Duric e McCarson, 2006; Doan et al., 2015). Neuropeptidi come NE, DA e 5-HT sono essenziali per modulare i segnali del dolore discendente e la componente affettiva del dolore, che è spesso legata alla depressione.

Analogamente, i fattori neurotrofici di derivazione cerebrale (BDNF) sono associati allo sviluppo della plasticità sinaptica e alla neurogenesi de novo nei circuiti del dolore periferici e centrali. La diminuzione dei livelli di BDNF nell’ippocampo si riscontra nelle affezioni con dolore cronico e questo dato ha correlazione positiva con lo sviluppo di sintomi simil-depressivi (Duric e McCarson, 2006; Doan et al., 2015).

Un classico esempio di neuroplasticità nel contesto del dolore cronico è il dolore neuropatico da arto fantasma (Ramachandran e Rogers-Ramachandran, 2000). La sua fisiopatologia centrale coinvolge la complessa interazione di elementi corticali, memoria e percezione del dolore.

Modalità come la stimolazione cerebrale non invasiva (NIBS) e le terapie cognitivo-comportamentali (CBT) hanno mostrato effetti positivi nel trattamento del dolore neuropatico, rafforzando il ruolo della cognizione e della percezione corticale nella fisiopatologia del dolore (Kikkert et al., 2019).

Gli stimoli nocivi ripetitivi spesso portano allo sviluppo di un cambiamento disadattivo a livello del SNC. Questo cambiamento disadattivo, chiamato wind-up o facilitazione o sensibilizzazione centrale, è responsabile dello sviluppo del dolore cronico intrattabile o del dolore non responsivo (Müller, 2000).

Ne sono manifestazioni l’iperalgesia o l’allodinia. Nell’iperalgesia, stimoli lievemente nocivi sono percepiti come dolorosi a causa di una nuova regolazione della soglia nocicettiva dei nervi periferici. Nell’allodinia, invece, vengono coinvolti nervi che trasportano impulsi non nocivi ai neuroni che percepiscono il dolore, per cui uno stimolo non nocivo viene percepito come uno stimolo nocivo.

Inoltre, l’attivazione spontanea del DRG può contribuire al fenomeno del wind-up (Gottin et al., 1995; Wilder-Smith, 1995). Quando gli stimoli sensoriali agiscono su meccanismi neurali centrali modificati, l’output è influenzato dalla memoria di questi stimoli dolorosi (Melzack et al., 2006). Il concetto di analgesia preventiva si concentra sulla prevenzione del fenomeno del wind-up.

Questo obiettivo viene spesso raggiunto bloccando la trasmissione periferica del dolore con anestetici locali e la percezione centrale con oppioidi e antagonisti dei recettori NMDA (Gottin et al., 1995; Müller, 2000). Vi è un crescente interesse per l’uso di analgesici preventivi nel contesto chirurgico. Tuttavia, le opinioni degli autori sono contrastanti sull’uso di analgesici preventivi per i pazienti chirurgici (Gottin et al., 1995; Wilder-Smith, 1995).

 

Evidenze Cliniche su Dolore e Cognizione

Esiste una relazione bidirezionale tra cognizione e dolore (Villemure e Bushnell, 2002). La compromissione dell’elaborazione cognitiva è stata studiata in varie sindromi dolorose croniche comuni, con studi incentrati su diversi tipi di output cognitivi.

La fibromialgia, l’emicrania, il mal di schiena cronico, l’artrite reumatoide, la neuropatia diabetica, l’osteoartrite, la CRPS, le sindromi da dolore neuropatico periferico e la sclerosi multipla sono state l’oggetto della maggior parte degli studi clinici (Calandre et al, 2002; Dick e Rashiq, 2007; Cousins et al., 2015; Gil-Gouveia et al., 2015; Curatolo et al., 2017; Huang et al., 2017; Jensen et al., 2018; Martinsen et al., 2018; Alemanno et al., 2019; Said et al., 2019; Oláh et al., 2020).

I principali parametri cognitivi analizzati comprendono l’attenzione, l’apprendimento, la memoria, la concentrazione sostenuta, la velocità di elaborazione, l’abilità psicomotoria e la funzione esecutiva.

Le metodologie impiegate in questi studi comprendono una serie di test, che in genere comprende questionari sul dolore quali scale di valutazione numerica, scale analogiche visive o il questionario del dolore di McGill per misurare il dolore, insieme a test sulla cognizione. La funzione cognitiva può essere valutata utilizzando misure soggettive di autovalutazione o usando misure oggettive con test neuropsicologici formali, empiricamente validati, incentrati su uno o più aspetti della cognizione.

Per rendere oggettiva la diagnosi e predire i benefici terapeutici di interventi individualizzati per il dolore cronico, si sta studiando l’uso di firme con fMRI. Questo circuito neurale comprende potenzialmente il talamo, la corteccia cingolata anteriore e posteriore e il PAG (Wager et al., 2013).

L’analisi dei cambiamenti di queste firme nel tempo e con il trattamento può contribuire ad aprire la strada alla medicina personalizzata in futuro (Thorp et al., 2018). Sono talvolta, ma non sempre, presi in considerazione i disturbi affettivi in comorbilità (come la depressione e l’ansia) e gli effetti dei disturbi del sonno e dell’uso di farmaci; presentano quindi un’interessante dicotomia nell’approccio sperimentale.

 

Attenzione

L’attenzione è la capacità dell’individuo di elaborare le informazioni e implica coscienza focalizzata o diretta (Mirsky et al., 1991). Un sistema diffuso di neuroni interconnessi controlla l’attenzione al livello più fondamentale, chiamato matrice dell’attenzione.

Questo sistema riceve continuamente input sensoriali intrinseci ed estrinseci, che hanno successivamente un impatto sugli adattamenti funzionali. L’attenzione è una funzione globale delle strutture corticali e sottocorticali della materia grigia, con tratti di materia bianca interconnessi. Il lobo frontale e gli input provenienti da una rete diffusa di strutture talamiche e biemisferiche sono la componente essenziale delle reti neurali dell’attenzione (Filley, 2002).

Esiste una sovrapposizione tra le vie del dolore e la matrice dell’attenzione, che rende particolarmente interessante lo studio dell’attenzione nel dolore e della sua modulazione. Legrain et al. (2009) hanno suggerito che la persistenza di stimoli dolorosi abbia un impatto sui meccanismi di controllo attenzionale necessari per rimuovere gli stimoli irrilevanti per i compiti, con conseguente diminuzione delle prestazioni.

Negli studi sperimentali, l’attenzione viene valutata in base alla durata dell’attenzione, alla commutazione dell’attenzione tra ≥2 compiti cognitivi e all’attenzione divisa, che studia la capacità di elaborare >1 fonte di informazioni contemporaneamente (Moore et al., 2019).

I giovani adulti e gli adulti di mezza età possono utilizzare compiti cognitivamente impegnativi per deviare l’attenzione e autogestire il dolore in una certa misura (Valet et al., 2004). La sensibilità al dolore diminuisce con l’impegno in compiti che richiedono attenzione e con l’uso di distrattori ambientali (Sloan e Hollins, 2017; Hoegh et al., 2019).

Tuttavia, negli anziani questa capacità è limitata e il dolore cronico può compromettere l’indipendenza, il che è un fattore di rischio per disabilità fisica, ricovero e morte (van der Leeuw et al., 2018). Comorbilità come la depressione e l’ansia possono avere un impatto sia sulla percezione del dolore che sull’attenzione (Shuchang et al., 2011). Pertanto, i pazienti affetti da dolore cronico, soprattutto nella fascia di età più avanzata e con affezioni co-occorrenti, richiedono un’attenzione particolare in ambito clinico.

Gli studi clinici condotti nell’ultimo decennio hanno dimostrato una maggiore incidenza di deficit di attenzione riferiti dai pazienti in presenza di dolore cronico (McCracken e Iverson, 2001; Muñoz e Esteve, 2005; van der Leeuw et al., 2018). La maggior parte degli studi non ha riscontrato alcuna associazione tra età, genere, cronicità del dolore, ansia, depressione, farmaci, sede del dolore e prestazioni cognitive (Dick e Rashiq, 2007; Martinsen et al., 2018).

È interessante notare che studi recenti mostrano una minore accuratezza nei compiti di commutazione dell’attenzione e di attenzione divisa nei pazienti con fibromialgia (Moore et al., 2019). I modelli animali utilizzati per studiare l’impatto del dolore sull’attenzione e sul comportamento appreso (operant nose poke test) mostrano un aumento delle omissioni e una diminuzione dell’accuratezza in presenza di dolore infiammatorio indotto sperimentalmente (Boyette-Davis et al., 2008; Pais-Vieira et al., 2009).

A causa dell’eterogeneità delle tipologie di sindromi con dolore cronico, delle scale del dolore utilizzate e dei test cognitivi per la valutazione dell’attenzione, è difficile trarre conclusioni definitive (Emerson et al., 2020; Rischer et al., 2020).

 

Memoria

Concettualmente, la memoria consiste in una successione di sistemi di immagazzinamento essenziali per il flusso di informazioni dall’ambiente a un deposito di memoria a breve termine, che poi alimenta la memoria a lungo termine. Le informazioni sugli indizi ambientali passano attraverso buffer sensoriali temporanei, che sono essenzialmente parte dei processi percettivi (Baddeley, 2010).

La memoria di lavoro è un sottoinsieme della memoria che controlla il flusso di informazioni in entrata e in uscita dalla memoria a lungo termine, svolgendo così un ruolo essenziale nell’apprendimento e nella cognizione (Shiffrin, 1977). L’ippocampo è associato alla formazione della memoria esplicita a lungo termine e alla gestione dei fattori di stress emotivo (Zaletel et al., 2016; Sawangjit et al., 2018).

Studi sull’uomo e sugli animali mostrano una diminuzione del volume dell’ippocampo e della plasticità strutturale e biochimica in presenza di dolore cronico (Johnston et al., 2012; Mutso et al., 2012; Tajerian et al., 2018). L’amigdala è un’altra regione cerebrale cruciale per l’apprendimento. L’amigdala basolaterale si attiva in presenza di glucocorticoidi, che hanno un impatto sul consolidamento della memoria.

Inoltre, le prestazioni e il recupero della memoria di lavoro sono compromessi in presenza di elevati livelli di glucocorticoidi (Roozendaal et al., 2006). Il coinvolgimento dell’amigdala nel dolore cronico è stato ora dimostrato in studi sull’uomo e in modelli animali di dolore cronico, evidenziando l’influenza dell’eccitazione dei neuroni del corno dorsale (DH) e l’interazione tra l’amigdala e la mPFC (Neugebauer et al., 2004; Ji et al., 2010).

Studi sull’uomo e sugli animali mostrano una diminuzione del volume dell’ippocampo e della plasticità strutturale e biochimica in presenza di dolore cronico (Johnston et al., 2012; Mutso et al., 2012; Tajerian et al., 2018). L’amigdala è un’altra regione cerebrale cruciale per l’apprendimento.

L’amigdala basolaterale si attiva in presenza di glucocorticoidi, che hanno un impatto sul consolidamento della memoria. Inoltre, le prestazioni e il recupero della memoria di lavoro sono compromessi in presenza di elevati livelli di glucocorticoidi (Roozendaal et al., 2006). Il coinvolgimento dell’amigdala nel dolore cronico è stato ora dimostrato in studi sull’uomo e in modelli animali di dolore cronico, evidenziando l’influenza dell’eccitazione dei neuroni del corno dorsale (DH) e l’interazione tra l’amigdala e la mPFC (Neugebauer et al., 2004; Ji et al., 2010).

Gli studi condotti in passato hanno dimostrato che il dolore cronico influisce negativamente sulla memoria di lavoro, sul ricordo e sulla memoria di riconoscimento (McCracken e Iverson, 2001; Muñoz e Esteve, 2005; Berryman et al., 2013). La maggior parte dei pazienti con dolore cronico riferisce di avere memoria, capacità di ricordo e concentrazione scarse nelle attività quotidiane (Dufton, 1989; Iezzi et al., 1999, 2004; McGuire, 2013).

È interessante notare che la memoria implicita (semantica, procedurale e condizionata) ha meno probabilità di essere influenzata dal dolore a causa della sua natura automatica (Grisart e Van der Linden, 2001). Inoltre, la maggior parte degli studi ha concluso che i pazienti con dolore presentano deficit nelle misure di screening cognitivo generale e specialistico (Povedano et al., 2007; Rodríguez-Andreu et al., 2009).

Non è ancora chiaro se l’intensità e la natura della sindrome del dolore cronico abbiano un impatto sulla memoria semantica, sulla memoria verbale immediata o ritardata, sulla memoria di riconoscimento, sulla memoria visuospaziale e sulla memoria a lungo termine (Ryan, 2005; Weiner et al., 2006; Lee et al., 2010).

Diversi gruppi hanno modellato il deterioramento cognitivo legato al dolore in modelli animali e hanno dimostrato scarse prestazioni per non corrispondenza ritardata in compiti in cui era richiesto di premere una leva e di riconoscimento ritardato di oggetti nuovi (Lindner et al., 1999; Millecamps et al., 2004; Hu et al., 2010).

L’inferiore accuratezza e l’aumento della latenza di risposta per compiti cognitivamente impegnativi sono stati descritti come effetti negativi del dolore sull’apprendimento spaziale, sul riconoscimento e sulla memoria (Hu et al., 2010). Si stanno analizzando modelli su ratti neuropatici per studiare il ruolo di nuovi bersagli terapeutici molecolari per il dolore cronico (Qian et al., 2019).

 

Elaborazione, Funzione Esecutiva e Processo Decisionale

La funzione esecutiva consiste in una serie di processi neurologici che aiutano con le funzioni cognitive complesse, come pianificazione, organizzazione, controllo dei pensieri, autoregolazione, azioni mirate per obiettivi, iniziazione e analisi delle azioni (Moriarty et al., 2011). Il processo decisionale emotivo richiede funzionamento esecutivo (Tyng et al., 2017).

A livello anatomico, il funzionamento esecutivo consiste in funzioni mentali superiori regolate dai lobi frontali, compresa la corteccia prefrontale dorsolaterale, (DLPC), ACC, la corteccia orbitofrontale (Verdejo-García et al., 2006). Esiste una sovrapposizione funzionale tra le vie cerebrali incaricate del funzionamento esecutivo e quelle legate alla percezione del dolore. La riduzione di materia grigia è correlata al declino cognitivo legato all’età, alla compromissione delle funzioni esecutive e a una velocità di elaborazione inferiore (Minkova et al., 2017).

Questi cambiamenti nella materia grigia legati all’età sono accelerati nelle sindromi da dolore cronico. Il volume di ACC, IC e DLPC diminuisce nei pazienti con dolore cronico (Ceko et al., 2013; Lai et al., 2020; Planchuelo-Gómez et al., 2020). Poiché queste aree rientrano nella neuromatrice del dolore, le perdite in queste aree si correlano al cambiamento nelle funzioni esecutive cognitive e nella velocità di elaborazione.

In pazienti con dolore cronico, sono stati studiati percezione, velocità di elaborazione, funzioni esecutive e processo decisionale; ne è emerso che il dolore ha un impatto negativo sull’apprendimento percettivo e il processo decisionale emotivo (Grisart and Van der Linden, 2001; Apkarian et al., 2004; Barnhart et al., 2019).

I pazienti con dolore mostrano maggiore evitamento di ciò che può essere doloroso, ma non si sono evidenziati impatti sulla cognizione complessiva nella sotto-categoria (Verdejo-García et al., 2009). La tipologia di dolore cronico definisce l’impatto sulle funzioni esecutive. Nell’FM l’impatto esiste, mentre non si notano correlazioni nelle neuropatie e nel dolore muscoloscheletrico cronico (Grisart and Van der Linden, 2001; Verdejo-García et al., 2009).

È interessante rilevare che il processo decisionale emotivo subisce un impatto più significativo nei pazienti con dolore cronico alla bassa schiena rispetto a quelli con CPRS (Apkarian et al., 2004). Non è ancora chiaro se intensità e natura della sindrome da dolore cronico abbiano un impatto sulla velocità di elaborazione e sui compiti di interferenza dell’attenzione. I modelli animali del dolore infiammatorio mostrano una compromissione del processo decisionale emotivo nei compiti di gambling per roditori (Pais-Vieira et al., 2009; Ji et al., 2010).

 

Efficienza Psicomotoria e Tempi di Reazione

Gli studi clinici su pazienti con dolore cronico, come neuropatie, hanno dimostrato che il dolore ha un impatto negativo su performance ed efficienza psicomotoria, nonché su tempi di reazione verbale (Ryan et al., 1993; Antepohl et al., 2003; Ryan, 2005; Shuchang et al., 2011).

Il numero di siti del dolore e la durata della neuropatia mostrano una correlazione positiva con l’efficienza psicomotoria (Ryan, 2005). Non è ancora chiaro se intensità e natura della sindrome da dolore cronico abbiano un impatto su latenza e ampiezza delle capacità motorie. La misura dell’efficienza psicomotoria è stata studiata e riportata soprattutto in pazienti con neuropatie, il che rende difficile generalizzare questa osservazione su varie coorti di dolore.

 

Terapie per Dolore Cronico e Impatto sulla Cognizione

Terapie Farmacologiche

La gestione del dolore cronico resta una sfida per i professionisti sanitari. Oltre al trattamento dell’infiammazione con farmaci antinfiammatori non steroidei, le modalità di controllo del dolore comuni operano sulla componente sensoriale del dolore. I target comprendono il controllo della trasmissione del dolore (oppioidi e antidepressivi triciclici, TCA), e la modulazione dell’eccitabilità neuronale (oppioidi, anticonvulsivi).

I recettori oppioidi sono presenti sono nei loci neurali associati alla segnalazione e alla percezione del dolore (Corder et al., 2018). Il sistema oppioide ha un posizionamento ottimo nelle reti cerebrali per modificare la percezione del dolore, con i neuroni somatosensoriali del DRG, gli interneuroni eccitatori e i neuroni della lamina I che trasmettono le informazioni a talamo e PAG.

La non linearità di intensità degli stimoli di dolore e la percezione del dolore derivano dall’input neurale associato alle informazioni sensoriali, emotive, enterocettive, inferenziali e cognitive. Nella via discendente del dolore, gli oppioidi agiscono su PAG, RV, e midollo spinale per modificare la percezione degli input nocicettivi. Gli analgesici oppioidi agiscono altresì a livello rostrale, subcorticale e corticale, con conseguente impatto analgesico legato all’alterazione delle risposte affettive e somatiche del corpo (Corder et al., 2018).

Gli oppioidi pongono delle problematiche specifiche come stipsi, diarrea, sedazione, nausea, emesi e prurito (Benyamin et al., 2008; Pask et al., 2020). Detto ciò, gli oppioidi restano l’analgesico più prescritto nell’ambito del dolore cronico poiché sono particolarmente efficaci (Portenoy, 2011). Spesso, i pazienti che assumono terapie a lungo termine sviluppano la tolleranza al farmaco oppioide e sono necessarie dosi più elevate per ottenere un medesimo beneficio terapeutico (Anand et al., 2010).

Tuttavia, un consumo più elevato di oppioidi compromette specifici domini cognitivi, in particolare attenzione, linguaggio, orientamento e funzione psicomotoria. Il follow-up periodico con i pazienti che assumono farmaci per il dolore cronico è essenziale per diagnosticare cambiamenti cognitivi lievi (Pask et al., 2020). Detto questo, gli eventi avversi fondamentali pre-specificati relative agli oppioidi, comprese dipendenza, depressione e in particolare declino cognitivo spesso non vengono riportati (Els et al., 2017).

Le evidenze suggeriscono che i bambini le cui madri avevano dipendenza da oppioidi tendono a mostrare una maggiore incidenza di disfunzione cognitiva, compromissione psicomotoria, problemi di attenzione e QI complessivamente inferiore man mano che crescono (Lee et al., 2020). La diminuzione dell’arousal indotta dagli oppioidi è provocata dal blocco delle proiezioni dell’arousal colinergico dal tronco encefalico al talamo e alla corteccia (Brown et al., 2018).

Studi recenti evidenziano la diminuzione volumetrica di materia grigia e ridotta modulazione bilaterale dell’amigdala in presenza di somministrazione di morfina per un mese, una volta al giorno (Lin et al., 2016). Gli antagonisti del recettore oppioide mu e del recettore oppioide kappa hanno un impatto sulla normale funzione cognitiva. Si osserva maggiore ritardo psicomotorio, minore accuratezza e compromissione nei ricordi.

Questo impatto bidirezionale su dolore e cognizione è ciò che ha consentito ai ricercatori di testare gli antagonisti degli oppioidi come farmaci potenzialmente in grado di migliorare il profilo cognitivo (Jacobson et al., 2018).

Per quanto oppioidi, TCA e terapie anticonvulsive abbiano un impatto inevitabile sui domini cognitivi, esso si osserva in maniera non coerente negli studi su uomo e animali. La maggior parte degli studi sull’uomo suggeriscono la diminuzione dell’attenzione, dell’elaborazione, della codificazione e del recupero delle memorie, dei tempi di reazione e della performance psicomotoria con assunzione di oppioidi, TCA e anticonvulsivi (Hindmarch et al., 2005; Sjøgren et al., 2005; Cherrier et al., 2009; Salinsky et al., 2010).

Tuttavia, le evidenze di alcuni studi sull’uomo e sul modello animale sono innegabili l (Jamison et al., 2003; Tassain et al., 2003; Shannon and Love, 2004, 2005). Pertanto, gli analgesici negli studi su dolore cronico e cognizione potrebbero potenzialmente alterare i risultati e non possono essere controllati efficacemente per ragioni etiche.

Gli endocannabinoidi (EC) costituiscono il sistema antinocicettivo innato del corpo. Le ricerche attuali cercano di capire meglio il sistema EC e massimizzarne il potenziale per consentire di controllare il dolore in sicurezza. Le aree di maggiore interesse comprendono l’inibizione del metabolismo degli EC, l’anandamide (AEA) e l’1-arachidonoilglicerolo (2-AG), che sono i primi ligandi EC riconosciuti nel corpo (Devane et al., 1992; Stella et al., 1997; Anand et al., 2010).

EC, AEA e 2-AG, assieme ai relativi modulatori enzimatici, l’amide idrolasi degli acidi grassi e monoacilglicerolo lipasi sono componenti fondamentali della modulazione della percezione del dolore, nonché il target di molti interventi terapeutici. Anche se le evidenze precliniche suggeriscono che i trasmettitori degli oppioidi abbiano un ruolo nel declino cognitivo, non esistono abbastanza evidenze per affermare un ruolo degli EC come potenziali responsabili della riduzione di abilità cognitive (Woodhams et al., 2017).

L’interesse circa i benefici dei prodotti derivati dalla cannabis nella gestione del dolore cronico persistente sta aumentando (Wallace et al., 2015). Tuttavia, studi recenti mostrano che i prodotti derivati dalla cannabis aumentano il rischio di depressione e ansia negli adulti con dolore cronico (Wildes et al., 2020). Pertanto, è essenziale personalizzare la terapia analgesica secondo il profilo del paziente al fine di prevenire dolore e conseguente declino cognitivo.

Terapie Non Farmacologiche

Gli oppioidi sono analgesici potenti, ma, se guardiamo al profilo degli effetti collaterali e alle evidenze circa l’epidemia di oppioidi che sta emergendo, capiamo come mai siano esplorate, in questo momento, terapie non farmacologiche alternative. L’elaborazione sensoriale dei segnali può essere modulata alterando la componente dell’attenzione dell’elaborazione cognitiva (Petrovic et al., 2000).

La modulazione dell’elaborazione centrale sensoriale è stata analizzata efficacemente tramite la misurazione del flusso sanguigno cerebrale regionale tramite la Tomografia a Emissione di Positroni (PET) nel corso di compiti cognitivamente difficili e con uno stimolo di dolore (Petrovic et al., 2000). Gli studi di neuroimaging con PET e fMRI mostrano che la percezione del dolore diminuisce con tecniche di distrazione semplici.

Questa conclusione ci orienta verso il fenomeno di soppressione corticale del dolore in presenza di un compito cognitivamente difficile. È emerso un aumento dell’intensità osservabile del segnale e dell’attivazione della corteccia cingolata frontale, compresa l’ACC orbitofrontale e perigenuale, il PAG e il talamo posteriore (Valet, 2004).

Tale fenomeno si traduce nella pratica clinica con l’uso di tecniche innovative come la realtà virtuale e la realtà aumentata, strumenti clinici da implementare per la gestione del dolore (Pozeg et al., 2017; Pourmand et al., 2018; Chuan et al., 2020).

La terapia cognitivo comportamentale (CBT) fa riferimento alle tecniche psicoterapiche usate per ridurre la percezione del dolore. Tradizionalmente comprende terapia di rilassamento, modulazione del ritmo delle attività, igiene del sonno, programmazione di attività piacevoli, individuazione e cambiamento delle distorsioni cognitive (Barrett et al., 2020). La CBT mostra risultati promettenti anche nella prevenzione della conversione da dolore acuto a cronico (Glare et al., 2020).

La catastrofizzazione del dolore è uno stile di reazione che ha un impatto sull’outcome per i pazienti con dolore cronico; si tratta di un cambiamento disadattivo e i pazienti ritengono che il dolore sia incontrollabile, permanente e distruttivo. La CBT è una modalità di trattamento fondamentale per questa categoria di pazienti con dolore cronico (Day et al., 2020; Gilliam et al., 2020). Le evidenze dei pazienti di fibromialgia suggeriscono i benefici clinici della CBT nel ridurre la catastrofizzazione del dolore (Lazaridou et al., 2017).

I metodi più innovativi della CBT, come la gestione dialettica del dolore (DPM), sono utilizzati per migliorare la terapia per il dolore cronico e reagirvi (Barrett et al., 2020). Sedute di gruppo incentrate sulle capacità di DPM comprendono l’integrazione dialettica del cambiamento con l’accettazione del momento presente; tale costrutto si rafforza con le pratiche di mindfulness.

Emozioni, vulnerabilità, auto-compassione, motivazione, invalidazione ed efficacia interpersonale, insieme ad altre difficoltà personali, sono al centro del lavoro, visto l’impatto che spesso hanno sui pazienti con dolore cronico (Barrett et al., 2020).

Aldilà del dolore cronico, terapie come agopuntura, ipnosi, mindfulness, sistemi basati su realtà virtuale e aumentata sono utilizzate per il dolore acuto in setting ospedaliero o ambulatoriale, poiché mal di testa, emicranie e dolore in casi acuti ed emergenziali (Lindner et al., 2020; Vekhter et al., 2020). Come procedura complementare, l’agopuntura propone benefici terapeutici aumentando le soglie del dolore e l’attivazione insulare (Cao et al., 2019).

La meditazione mindfulness e la terapia cognitiva basata sulla mindfulness hanno dimostrato benefici terapeutici e miglioramento della sensibilità al trattamento con oppioidi nei pazienti con dolore cronico alla bassa schiena (Zgierska et al., 2016; Day et al., 2019, 2020). Le pratiche di mindfulness si focalizzano sull’alterare la catastrofizzazione del dolore, componente essenziale delle terapie non farmacologiche per dolore cronico. Ciò altera il contenuto e l’elaborazione cognitivi nonché affettività negativa: ciò porta a un cambiamento fondamentale per l’efficacia del trattamento (Day et al., 2020).

Altri modelli teorici ipotizzano che la meditazione mindful ristrutturi il contenuto cognitivo relativo al dolore, il che impone cambiamenti adattivi per contrastare la percezione del dolore. Gli studi mostrano l’aumento dei livelli di EC anche dopo pratiche di meditazione a breve termine, evidenziando il potenziale analgesico delle terapie mente-corpo (Sadhasivam et al., 2020).

Capire e individualizzare il trattamento e modularlo secondo le esigenze dei pazienti può migliorare le reazioni, l’aderenza e l’outcome del trattamento (Day et al., 2020; Zetterqvist et al., 2020). Prendere in considerazione le pratiche da svolgere a casa e i moduli online consente di migliorare aderenza e coerenza con le terapie basate sulla mindfulness (Day et al., 2020; Zetterqvist et al., 2020).

Spunti per il futuro

Studi clinici e preclinici indicano un legame definitivo tra dolore e domini cognitivi. Tuttavia, i precisi meccanismi psicologici e neurali sottostanti, il deficit cognitivo associato a ciascuna affezione con dolore cronico e il ruolo dei fattori soggettivi, della natura e della durata del dolore sono ancora da chiarire.

Il dolore cronico comporta anche adattamenti e alterazioni delle strategie cognitive, il che rende ancora più eterogenea l’interpretazione del deficit primario. I cambiamenti riorganizzativi associati alla neuroplasticità hanno un ruolo essenziale nella permanenza del dolore e nella sua modulazione e devono essere presi in considerazione nell’interpretazione dei risultati.

La mancanza di coerenza in termini di effetti cognitivi all’interno degli studi, di metodi e affezioni di dolore evidenzia la necessità di metodi di valutazione più standardizzati che consentano di confrontare i deficit cognitivi globali e precisi. L’uso di diverse serie di test neurocognitivi e di questionari sul dolore impedisce un confronto diretto tra le diverse affezioni con dolore cronico e il loro impatto sui domini cognitivi.

I test dovrebbero avere la sensibilità necessaria per identificare l’intensità del dolore e il suo effetto sui vari domini cognitivi. Queste limitazioni e la natura complessa dell’interconnessione tra dolore e matrice cognitiva rendono le conclusioni valutative piuttosto difficili. Gli studi futuri dovrebbero essere progettati per affrontare questi problemi. Inoltre, la ricerca attuale non prevede prove che permettano di trarre inferenze sugli impatti a lungo termine sulla cognizione nei pazienti con dolore cronico.

I modelli animali basati sul dolore cronico sono stati utilizzati per comprendere le implicazioni del dolore sui domini cognitivi a lungo termine; tuttavia, questi modelli evidenziano dei limiti nella loro capacità di imitare gli aspetti motivazionali, affettivi e valutativi del dolore.

Gli studi futuri dovrebbero essere modificati per integrare tecniche psicofisiologiche, psicofisiche, farmacologiche e di imaging cerebrale per valutare gli effetti cognitivi nel contesto del dolore cronico. Tali studi consentirebbero una comprensione multidimensionale degli effetti cognitivi e fornirebbero approfondimenti sui meccanismi sottostanti e sui risultati della farmacoterapia.

Le conoscenze attuali aprono la strada a future ricerche per comprendere meglio i domini cognitivi e la loro connessione con le varie dimensioni del dolore per migliorare la gestione terapeutica ed evitare esiti cognitivi sfavorevoli.

Conclusione

Negli ultimi vent’anni si sono nettamente consolidate le conoscenze sul ruolo sfaccettato del dolore nella modulazione dei domini cognitivi e viceversa. Questa esaustiva rassegna, incentrata sul ruolo multidimensionale del dolore in diversi domini cognitivi, tra cui l’attenzione, la memoria, l’elaborazione, il funzionamento esecutivo, il processo decisionale, l’efficienza psicomotoria e i tempi di reazione, evidenzia l’attuale comprensione dell’intricata associazione tra dolore e cognizione.

Abbiamo anche fornito approfondimenti sul ruolo di vari approcci farmacologici e non nella gestione del dolore e sulle implicazioni cognitive ad essa associate. È indispensabile comprendere la natura precisa del compito cognitivo influenzato dal dolore cronico se vogliamo adattare la terapia di gestione del dolore alle esigenze del singolo individuo. Questa gestione personalizzata del dolore multimodale consente di migliorare la qualità di vita a lungo termine e facilita il recupero.

 

Articolo liberamente tradotto:  “Cognition and Pain: A Review” by Tanvi Khera and Valluvan Rangasamy – Front. Psychol., 21 May 2021, Sec. Cognition, Volume 12 – 2021

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One thought on “Cognizione e Dolore

  • r_boscolo says:

    Articolo MOLTO interessante!!! Finalmente qualcuno che cita Ramachandran!
    Grazie davvero
    rosalba boscolo

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