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COVID: in aumento tentati suicidi e autolesionismo tra i giovani

COVID: in aumento tentati suicidi e autolesionismo tra i giovani

L’allarme lanciato da Stefano Vicari, responsabile di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza del Bambino Gesù: «L’isolamento mette a grave rischio la tutela della loro salute mentale. Stiamo negando ai ragazzi una parte affettiva che fa parte del loro diventare adulti»

“Si tagliano gli avanbracci, le cosce, l’addome. Altri tentano il suicidio. Mi viene in mente una ragazzina di 12 anni che si è buttata dalla finestra che è il modo più usato tra i ragazzi tra i 12 e i 15 anni. Gli adolescenti tendono a emulare quanto vedono sulla rete ed è per questo, probabilmente, che un metodo molto utilizzato in questo periodo è l’assunzione di grandi dosi di tachipirina oppure rastrellano tutti i farmaci che trovano in casa e ingeriscono un mix». Ecco come rischiano di morire gli adolescenti e la cronaca la fa il Prof. Stefano Vicari, Ordinario di Neuropsichiatria Infantile presso la facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e Responsabile dell’Unità Operativa Complessa di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù.

Il suo racconto è accorato e preoccupato perché con il Covid le cose sono peggiorate e di molto: «Sicuramente c’è una coincidenza molto sospetta e siamo certi che la rapida crescita a cui assistiamo in questi ultimi mesi di alcuni disturbi in particolare come l’ansia, l’irritabilità, lo stress, i disturbi del sonno sono legati direttamente all’isolamento». Tra i giovani è vera e propria emergenza. Per esempio a dicembre il Reparto di Neuropsichiatria infantile dell’ospedale Regina Margherita di Torino ha lanciato l’allarme: i ricoveri per Tentativi Suicidio (TS) sono passati da 7 nel 2009 a 35 nel 2020 e nello stesso periodo (2009-2020), nel Day hospital psichiatrico, l’ideazione suicidaria è passata dal 10% all’80% dei pazienti in carico. Numeri che fanno rabbrividire, soprattutto se si pensa che riguardano i giovanissimi.

E al Bambino Gesù di Roma com’è la situazione?
«Vediamo negli anni un incremento notevolissimo delle attività autolesive e dei tentativi di suicidio: nel 2011 i ricoveri sono stati 12, nell’anno appena concluso abbiamo superato quota 300. Sebbene le statistiche ufficiali ci dicano che il numero dei suicidi è in leggero calo tra gli adolescenti, l’attività autolesiva è in rapido aumento. Mai come in questi mesi, da novembre a oggi, abbiamo avuto il reparto occupato al 100 per cento dei posti disponibili, mentre negli altri anni, di media, eravamo al 70 per cento. Le diagnosi che predominano sono quelle del tentativo di suicidio. Ho avuto per settimane tutti i posti letto occupati da tentativi di suicidio e non mi era mai successo».

Ma una volta curati nel fisico, questi ragazzi come motivano questi gesti?
«Le motivazioni non sono così determinanti. È un atteggiamento figlio di uno psicologismo vecchia maniera: se arrivi in pronto soccorso con l’infarto, ti importa poco sapere il perché quello che conta è di essere curato. Le cause sono importanti ma secondarie. Le malattie mentali sono malattie, hanno una base biologica e sono il risultato di processi lunghi. La familiarità è il primo fattore di rischio. La leggenda del trauma di psicanalitica memoria è stata ridimensionata da un pezzo».

E allora?
«Dobbiamo iniziare a pensare ai disturbi mentali come a vere e proprie malattie, come lo sono il diabete e l’ipertensione, con una base biologica e genetica e fattori ambientali che possono favorirne la comparsa. Non si tratta tanto di come uno viene allattato al seno o del rapporto con la madre, ma è legato molto di più all’esposizione durante la gravidanza ad agenti inquinanti, alcol o fumo durante la gravidanza, nascere prematuri, andare male a scuola, farsi le canne in età precocissima. E poi c’è l’incuria. Il vero maltrattamento, il trauma vero che da un impatto sulla salute mentale non è neanche tanto la violenza, ma l’indifferenza e l’abbandono da parte dei genitori. Forme moderne di incuria sono anche la ipostimolazione, come lasciare un bambino di due o tre anni molte ore davanti la tv o con il tablet.»

A cosa lo riconduce questo aumento?
Sappiamo dai dati di letteratura che il lockdown, la chiusura totale e la chiusura delle scuole ha determinato un aumento degli stati d’ansia e depressione nei ragazzi e un disturbo del sonno. I cinesi lo scrivevano già ad aprile – maggio. Talvolta vediamo un disturbo post traumatico da stress perché i ragazzini vivono con forte preoccupazione le preoccupazioni dei genitori. Ci sono adolescenti che sono ancora più estremisti dei genitori, che non toccano niente e non escono più per la paura del contagio.

Lei che consiglierebbe ai genitori?
Di mantenere i ritmi pre Covid: svegliare i figli alle 7:30 – 8:00 del mattino e non lasciarli dormire fino alle 11:00, perché questo vuol dire che la sera non vanno a letto. La deprivazione del sonno è un fattore di rischio a cui fare attenzione: alcuni ragazzi passano l’intera notte a chattare o a giocare online.

Ma quando le famiglie arrivano al pronto soccorso, che atteggiamento hanno?
«In alcuni casi cadono dalle nuvole, sono spaventati perché non si erano mai accorti del malessere dei figli. Ma i genitori non hanno colpe, piuttosto responsabilità. Hanno il dovere di monitorare quello che fanno i ragazzi, chi frequentano. Vuol dire interessarsi alla loro vita, mantenendo un dialogo aperto. Non certo fare i carabinieri. I genitori non sono la causa, ma hanno la grande possibilità di ridurre il rischio, così come la scuola».

Qual è il ruolo della scuola nella prevenzione della malattia mentale?
«La scuola favorisce le relazioni tra coetanei e, in questo senso, è un ammortizzatore dei conflitti adolescenziali. Nella scuola tutti abbiamo sperimentato relazioni positive e con gli amici, solo con essi, parlavamo delle cose che andavamo scoprendo. Chi è che di noi non ha avuto un professore che è stato un elemento di salvezza? Perché gli adolescenti sperimentano e violano i limiti che gli vengono posti dai genitori, e se non c’è qualche altro adulto che ha con il ragazzo un rapporto affettivo valido, rischi che si perda. Oggi questo cuscinetto sociale sta mancando, per questo i ragazzi “sbroccano”, diventano aggressivi e violenti, oppure si chiudono sempre di più nella loro stanza e non vogliono più uscire.

E chi dice che questa è una prova che aiuterà i ragazzi a crescere?
«Dice balle. Perché chi avrà gli strumenti sicuramente ce la farà, ma a me preoccupano tutti gli altri. Penso a chi vive in pochi metri quadrati, senza internet, che si deve svegliare molto presto anche solo per poter fare una doccia. A me è andata bene, faccio il Primario e il Professore Universitario, ma vengo da una famiglia economicamente modesta. Il mio riscatto sociale lo devo alla scuola. Senza il mio destino era segnato. Ma oggi chi nasce povero per l’80 per cento rischia di morire povero.

Cosa pensa di tutto questo dibattito sulle scuole chiuse e la Dad?
«Pensare che la scuola sia solo didattica è un errore drammatico. La didattica è una parte marginale della scuola. Bisogna smettere di pensare che la scuola deve formare i futuri lavoratori, trasferendo competenze, la scuola deve trasmettere conoscenze di vita. È una palestra educativa, non un avviamento al lavoro. Questa è una concezione autoritaria della scuola».

I suoi colleghi virologi però dicono che non è ora di tornare a scuola. Le scuole chiuse la preoccupano?
«Moltissimo. Lei cita i virologi che hanno dato ampio spettacolo di dichiarazioni anche contrastanti tra loro. I dati della letteratura ci dicono che ci si infetta a scuola per il 2 per cento. La scuola quindi è un luogo sicuro, ma è poco sicuro tutto quello che c’è intorno, come i trasporti. Stiamo mettendo a grave rischio la tutela della salute mentale degli adolescenti. Ci vorrà molto tempo, una volta finita l’emergenza, per far uscire di casa questi ragazzi che si sono chiusi e ci vorrà tempo per ricostruire relazioni positive. Stiamo negando ai ragazzi una parte affettiva che fa parte del loro diventare adulti».

Mi dà qualche numero di come viene affrontata la malattia mentale degli adolescenti in Italia?
«Sulla salute mentale nei minori in Italia si investe zero. L’OMS dice che “non c’è salute senza salute mentale”. Se lei pensa che il 20 per cento degli adolescenti ha un disturbo mentale, c’è da chiedersi come mai i posti letto dedicati alla psichiatria dei minori in Italia siano soltanto 92. I ragazzini non hanno dove essere ricoverati. Io gestisco 8 posti di questi 92, quasi il 10 per cento Ma si rende conto?».

Bastano questi posti per curare i minori di 18 anni?
«No, e quello che succede è che spesso i ragazzini che hanno bisogno di assistenza ospedaliera per un disturbo mentale si ritrovano con gli adulti già cronicizzati o nei reparti di pediatria, insieme a chi ha la bronchite. Lo trovo scandaloso. I servizi territoriali non esistono più. Le Asl hanno impoverito fortemente i servizi di neuropsichiatria infantile.

Perché se ne parla così poco?
«Perché la malattia mentale fa paura. Avere un figlio con un disturbo mentale fa sentire i genitori colpevoli. Se cominciassimo a parlarne come parliamo delle altre malattie, saremmo già un passo avanti. Chiedo che venga posta la massima attenzione su un fenomeno ad oggi  completamente ignorato».

Fonte: https://espresso.repubblica.it/attualita/2021/01/18/news/in-aumento-tentati-suicidi-e-autolesionismo-1.358584
Autrice: SARA DELLABELLA

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One thought on “COVID: in aumento tentati suicidi e autolesionismo tra i giovani

  • ANNA LINA OLIVIERI says:

    Condivido il pensiero del prof. Vicari. In particolare per quanto si riferisce alla trascuratezza/abbandono di alcuni/molti genitori
    che lasciano soli i figli con i vari social. Credo che alcuni di questi genitori non siano neppure consapevoli del danno e dei pericoli che corrono i figli, anzi, perché pensano che sia un segno di modernità e intelligenza e un buon modo per uscire dal confinamento Covid.
    Il problema è come aiutare queste famiglie ad essere più consapevoli?

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