“Tutte le parti sono benvenute”. Con questa frase si apre un nuovo modo di fare terapia.
Un modo rivoluzionario, che non vede i sintomi come patologie da sopprimere, ma come voci interne che hanno qualcosa da dire.
L’Internal Family Systems (IFS) è oggi considerato uno dei modelli più efficaci e rispettosi nel trattamento del trauma, dell’ansia, della depressione e dei disturbi da dipendenza.
Nato dal lavoro di Richard Schwartz negli anni ’80, e portato avanti oggi da terapeuti come Frank Anderson, l’IFS propone un’idea semplice e potente: la mente umana è composta da molte “parti” interne, ognuna con una sua storia, emozione e funzione.
Non combattere le tue parti. Ascoltale
Secondo l’IFS, ogni persona ha al suo interno un Sé centrale — il “Sé” con la S maiuscola — che è calmo, curioso, compassionevole. È da questo Sé che può iniziare il processo di guarigione.
Le parti, anche quelle che si esprimono attraverso comportamenti distruttivi o sintomi estremi, non sono nemiche da eliminare: sono protettrici, nate per difenderci da un dolore troppo grande. Quelle che portano le ferite più profonde sono chiamate esiliati, mentre le parti che cercano di tenerle lontane dalla coscienza si dividono tra manager (proattivi) e pompieri (reattivi, spesso impulsivi).
Approccio IFS: un nuovo paradigma terapeutico
Nel modello IFS, la guarigione non avviene cercando di correggere i comportamenti, ma mettendo in dialogo le parti, ascoltandole, aiutandole a fidarsi del Sé.
È un processo che somiglia a un viaggio: si parte dal riconoscimento delle voci interiori, si ottiene il permesso di accedere alle parti più vulnerabili, e infine si lavora per liberarle dai loro “fardelli”: le convinzioni traumatiche (“non valgo nulla”, “non sono amabile”) che hanno assorbito nel tempo.
L’effetto?
Più spazio interno, maggiore chiarezza, una sensazione profonda di connessione e integrità. Anche in pazienti con storie di trauma grave, il Sé resta accessibile, pronto a guidare il cambiamento.
Approccio IFS, dalla teoria alla clinica
Questo approccio diventa ancora più chiaro osservando cosa accade in seduta quando una parte prende il sopravvento. Come nel caso di Alice e del suo critico interiore.
Il caso di Alice e il critico interiore
Alice entra in seduta sopraffatta da un critico interno che assorbe, secondo lei, “almeno il 70% del mio spazio mentale”. Le sue altre parti pompieri (una bulimica e una dissociativa) cercano di distrarla da quella voce severa e umiliante, ma senza successo.
Il terapeuta la guida con rispetto e curiosità:
Terapeuta: Anche altre parti non lo amano?
Alice: Hanno paura di lui.
Terapeuta: Sarebbero disposte a permettere che lei parli con lui?
Alice: D’accordo.
Terapeuta: Dove lo localizza?
Alice: Nella gola.
Il critico viene riconosciuto come una parte manager. Durante il processo, Alice inizia a comprenderne la funzione: proteggere. È lì da sempre, da quando era bambina, per tenerla al sicuro da nuove umiliazioni e dolori. Nonostante la durezza, quella parte aveva un intento positivo.
Quello che accade nel corso di una seduta come questa è una trasformazione sottile ma potente: il critico non sparisce, ma smette di essere una minaccia.
È il Sé che si fa spazio, con calma e rispetto.
Questo esempio racchiude l’essenza dell’IFS: non si tratta di combattere le parti, ma di comprenderle e rinegoziare il loro ruolo.
Le parti non sono sbagliate. Sono stanche. Hanno solo bisogno di lasciare andare ciò che non serve più.
Come nel caso di Nadine:
Nadine e il suo fardello generazionale
Durante la seduta, Nadine entra in contatto con una parte che porta su di sé la convinzione che “le emozioni siano inutili, ostacolino e debbano essere respinte”. È una credenza radicata, trasmessa da madre a figlia, e custodita come un’eredità culturale silenziosa.
Nadine: “C’era questa consegna generalizzata, da parte di mia madre, secondo cui le emozioni non servono a nulla, ci ostacolano e dovrebbero essere respinte per poter andare avanti.”
“Adesso che sono adulta capisco quanto fosse deleteria.”
Il terapeuta aiuta Nadine a riconoscere che questa convinzione non è sua. Le appartiene, invece, alla madre… che a sua volta l’ha ereditata dalla nonna. Quando Nadine lo realizza, qualcosa cambia:
Nadine: “Non mi ero resa conto che fosse possibile! È dentro di me, è pervasiva. Sarei felicissima di cambiarla.”
Terapeuta: “Può rilasciarla. Le farò vedere come.”
Con una visualizzazione guidata, Nadine immagina di bruciare il fardello in un falò simbolico. Poi, con un gesto di libertà e guarigione, invita nella sua vita le qualità che quella parte aveva represso: tenerezza, dignità, vulnerabilità.
“Le sto chiedendo: posso tenerle con me, queste emozioni?”
“La risposta è: sì.”
Questo è il cuore del lavoro IFS: non eliminare una parte, ma liberarla dal peso che non le appartiene più.
Approccio IFS: “non siamo rotti, siamo parti in relazione”
L’IFS è stato descritto da Bessel van der Kolk come “il metodo che tutti i clinici dovrebbero conoscere per trattare il trauma”. Ma non è solo un modello clinico. È anche una pratica trasformativa, che integra psicologia e consapevolezza, neuroscienze e compassione.
Perché non siamo rotti da aggiustare, ma sistemi interni complessi da ascoltare.
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Fonte: Frank G. Anderson, Sistemi familiari interni – Skills Training. Schede di lavoro per trattare ansia, depressione PTSD e abuso di sostanze (2024)