Il paradigma della clinica securitaria non ĆØ il solo paradigma della societĆ e della clinica contemporanee. Infatti si assiste allāoscillazione dal paradigma securitario a quello della clinica del vuoto, che Massimo Recalcati teorizza nei primi anni del 2000[1] e che cercheremo ora di analizzare in rapporto ai disturbi alimentari.
Ā«E mentre lāuomo nel suo tormento si fa muto, a me un dio concesse di dire come soffroĀ». CosƬ Goethe scrive nel suo Torquato Tasso. Dire di cosa si soffre ĆØ la possibilitĆ concessa dal percorso terapeutico. Occorre tempo e fede nell’ascolto dell’Altro. Cosa diremmo, se potessimo? A cosa potremmo ricondurre la radice della sofferenza, se non alla mancanza che ci attraversa, all’imperfezione che ĆØ stoffa dell’umano e che tutti cerchiamo in modi diversi di negare?
Al centro della clinica del vuoto occorre proprio collocare lāincapacitĆ dellāuomo di accettare la propria mancanza a essere e il tentativo maldestro di ridurla Ā a vuoto empirico.
La trasformazione della mancanza in vuoto localizzato offre lāillusione di poter controllare, riempire, anestetizzare il vuoto, di esercitare un qualche controllo sullāincompiutezza inaggirabile che caratterizza la condizione umana e che una stupefacente coincidenza linguistica evidenzia bene: nella lingua greca, bĪÆos ĆØ la vita e biĆ³s ĆØ lāarco[2]. La vita umana non ĆØ dunque vita autosufficiente e compiuta, piuttosto un arco imperfetto. Ma ĆØ proprio lāimperfezione a garantire lāesperienza del desiderio, perchĆ© anima la tensione verso lāassoluto.
Al contrario, il vuoto localizzato, che si lascia riempire e otturare,Ā trasforma il soggetto in un uomo che non deve chiedere mai e che non avverte quindi la spinta generativa del desiderio, nĆ© lāesigenza di rapportarsi agli altri. Massimo Recalcati parla a tal proposito di un effetto di falsa padronanza[3].
Il vuoto pieno cancella lo spazio, la pausa, lāassenza e nega dunque il pensiero, la creativitĆ , la relazione.
Se nella clinica securitaria, il soggetto si lascia assorbire dal vuoto e vi cade melanconicamente a capofitto, nella clinica del vuoto ĆØ impegnato febbrilmente a riempirlo con gli oggetti-ovatta offerti dal mercato e attraverso lāadesione ai miti propinati dalla societĆ ipermoderna.
Il discorso mefistofelico del capitalista, cheĀ suggerisce lāidea di poter riempire il vuoto, risuona pressappoco cosƬ: āCircondati di oggetti! Raggiungi Ā la bellezza, il Ā successo e sarai feliceā.
Tuttavia, lāoggetto acquistato puĆ² solo essere oggetto di godimento e mai di desiderio, strumento di isolamento e non occasione Ā di incontro.
Allo stesso modo, unāimmagine perfetta o un ruolo sociale di prestigio non sottraggono lāuomo alla sua precarietĆ , al suo difetto, alla sua lesione costitutiva.
Si potrebbe scrivere che disturbi alimentari come la bulimia e lāobesitĆ , come le dipendenze, ubbidiscano al primo comandamento, assegnando allāoggetto il compito di colmare il vuoto, di proteggere il soggetto dal mondo esterno, di scongiurare il fallimento, di compensare lāassenza del segno dāamore dellāAltro.
Nella sua spinta compulsiva alla divorazione, la bulimica mastica e trita il vuoto, gode della bocca piena, eppure ĆØ la terribile sensazione di vuoto ad attenderla a fine abbuffata e al vuoto ritorna subito dopo proprio come un elastico che scatta indietro: cerca tenacemente di ripristinarlo, vuoleĀ ritrovare la presenza rassicurante delle ossa. Dunque, nessun senso di appagamento, nessuna soddisfazione, nessun rimpiazzamento del segno dāamore dellāAltro che manca, ma godimento mortifero,Ā disistima, senso di colpa, nostalgia per Ā la volontĆ ferrea, inamovibile, adrenalinica del tempo anoressico.
Disturbi alimentari: obesitĆ e anoressia
Anche lāobesa satura il vuoto, riempie ogni parte del corpo, rifiuta la connessione con lāAltro, ripiegandosi su se stessa. Ma lāaccumulazione di cibo ĆØ costante, continua. Lāincorporazione dellāoggetto, pur innescando una vera e propria angoscia di soffocamento, non incontra mai il diniego del soggetto. Non si registra quindi lāinquieta dinamica pieno/vuoto della bulimia, ma la riduzione del corpo ad un contenitore sempre pieno, la sua denigrazione a oggetto-scarto, a involucro nel quale sprofondare e dal quale lasciarsi inghiottire.
Lāanoressica sembrerebbe affascinata dal vuoto, ma il vuoto al quale ambisce e che raggiunge Ā con ostinazione non ĆØ il vuoto bucato della mancanza a essere, ma un viatico al godimento assoluto, un vuoto artificioso che le offre lāillusione di unāautarchia senza limiti, di unāindipendenza che puĆ² far a meno di formulare una qualche domanda dāamore e di presenza allāAltro. Lāanoressia mostra che la tutela del vuoto ĆØ indispensabile per uscire dal mondo, per lasciarsi cadere, per dire no alla vita oĀ per governare il mondo, per seguire il falso mito dellāautosufficienza e della perfezione, per proteggere dallāAltro il proprio desiderio, uccidendolo inevitabilmente.
Disturbi alimentari e processo di cura
Proprio la riabilitazione del desiderio per la vita, lāaccoglienza della propria mancanza a essere, la riapertura allāAltro e la fiducia sono gli effetti della cura, che non puĆ² essere rapida, non puĆ² estirpare il sintomo, nĆ© puĆ² essere scandita da prescrizioni alimentari, poichĆ© non ĆØ la fame, troppo poco o troppa, a determinare i disturbi alimentari.
Lāascolto, la pazienza, lāattesa, la gentilezza sono gli strumenti terapeutici ai quali fare affidamento.
Scrive Uberto Zuccardi Merli: Ā«Scegliendo la strada dellāascolto, della gentilezza, del rispetto del sintomo abbiamo adottato lāunica vera chiave per produrre trasformazioni autenticheĀ»[4].
[1]Massimo Recalcati, La clinica del vuoto. Anoressie, dipendenze, psicosi, Franco Angeli, Milano 2002.
[2]Ivano Dionigi, Quando la vita ti viene a trovare: Lucrezio, Seneca e noi, Editori Laterza, Bari 2018
[3]Massimo Recalcati, Elogio del fallimento. Conversazioni su anoressie e disagio della giovinezza, Erickson, Trento, 2011, p. 47
[4]Massimo Recalcati, Umberto Zuccardi Merli, Anoressia, bulimia e obesitĆ , Bollati Boringhieri, Torino, 2006, p.113