In questo ultimo mese abbiamo assistito ad un fenomeno sociale – e non solo virale, di estrema novità, un cambiamento disarmante che nessuno si sarebbe mai aspettato di dover accogliere.
Dal punto di vista psicologico, l’avvento dell’epidemia da COVID-19 ha richiamato in primo luogo l’attenzione degli esperti su alcuni punti fondanti la percezione umana del pericolo: uno stato di allarme generalizzato e la conseguente attivazione psico-fisica, un senso di disorientamento, paura e ansia.
La paura, in particolare, è l’emozione che più ci permette di ricostruire il nostro modo di reagire al pericolo. Essa si manifesta nella testa e nel corpo (attraverso reazioni di tipo fisico, come palpitazioni, sudorazione, disturbi gastro-intestinali e tante altre) proteggendoci da situazioni dannose per la nostra incolumità. In sostanza, è in grado di apportare modificazioni al nostro equilibrio psicofisico, di spostare completamente la nostra attenzione sulla minaccia e di prepararci a reagire in qualsiasi momento.
Lo stato di allarme così sperimentato, unito a diversi bias cognitivi (ad esempio l’euristica della disponibilità) ha portato molti a rifugiarsi nel cibo, vista come fonte principale di sopravvivenza e sostentamento.
Nelle ultime settimane, i supermercati sono stati letteralmente saccheggiati da ondate di persone intente a fare scorte di beni alimentari di prima necessità (ad esempio la pasta), insieme a diversi prodotti non primari ma certamente reputati essenziali per il consumo e il vivere quotidiano (ad esempio la cioccolata). E’ interessante notare come la scelta di queste due categorie alimentari sembri soddisfare quelli che Maslow avrebbe definito le prime due priorità alla base della piramide dei bisogni dell’essere umano.
Come si evince dall’immagine, alla base di questa piramide ci sono i bisogni legati alla sopravvivenza fisiologica, che si declinano in bisogni fisiologici (nutrirsi, dormire ecc.) e bisogni di sicurezza e protezione (protezione sia da pericoli esterni sia il bisogno di sicurezze interne alla persona).
Secondo Maslow, alla base della piramide starebbero quindi quei bisogni che necessariamente devono essere stati soddisfatti prima di poter raggiungere quelli successivi.
Pur essendo un modello reputato ormai semplicistico, rende bene l’idea di quali siano i diversi tipi di bisogno nell’uomo e di quali possano emergere maggiormente in situazioni di emergenza, rispetto ad una situazione di normalità. Se riprendiamo infatti le nostre due categorie alimentari, che chiameremo “pasta” (primaria) e “cioccolata” (non primaria), potremo notare come entrambe ricoprano un ruolo fondante nell’assecondare il bisogno fisiologico (in questo caso il nutrimento), così come anche il bisogno di sicurezza (proteggersi dal pericolo e mettersi al sicuro facendo quante più scorte di cibo possibile).
Facendo una riflessione più approfondita, potremmo collocare la scelta della “cioccolata” all’interno della terza fascia piramidale, ovvero il bisogno di affetto. Come è noto, infatti, l’acquisto di cibi dolci o ipercalorici è collegato non tanto alla soddisfazione della fame fisica, quanto piuttosto a quella emotiva, ossia ad un consumo di cibo legato ad uno dei bisogni di sopravvivenza psicologica più importanti: assecondare il nostro piacere. Il sentirci emotivamente appagati dopo aver mangiato una barretta di cioccolato, cercare di rimediare al nostro senso di vuoto affettivo mangiando uno snack goloso, rientra esattamente in questa categoria.
Riassumendo, possiamo notare come la corsa e l’acquisto degli alimenti riesca a ricoprire le prime tre fasce alla base della nostra piramide.
L’emergenza sanitaria che stiamo vivendo, rispecchia perfettamente i bisogni che abbiamo finora elencato, da quelli fisiologici a quelli di affetto e appartenenza.
La poca conoscenza del fenomeno virologico (pericolo), l’impossibilità di uscire, la costrizione all’isolamento sociale e il conseguente vuoto affettivo e limitazione della propria libertà, potrebbero, per alcuni, sfociare in complesse disregolazioni emotive legate proprio al consumo inappropriato degli alimenti.
D’altra parte, è il nostro stesso istinto di sopravvivenza che ci spinge a cercare cibi con un più alto contenuto calorico, al fine di “fare la scorta” e rimanere sazi più a lungo, nel caso in cui si presentasse un periodo di carestia (assenza di cibo o limitazioni nell’accesso al cibo).
E’ chiaro che all’interno di questa complessa situazione, ogni individuo reagisce secondo i suoi schemi adattivi e la sua soggettività. Sarebbe impossibile poter generalizzare uno stesso schema di comportamento all’intera popolazione.
E’ bene comunque tenere in considerazione due elementi conclusivi:
- Stare a casa ci costringe a dover entrare in contatto con noi stessi e la nostra intimità più di quanto facessimo prima, e questo per alcuni può risultare difficile e talvolta doloroso. La soluzione? A volte può essere il cibo come forma di consolazione, declinandosi in abbuffate o consumo eccessivo di specifici alimenti piuttosto che altri.
- Esiste però l’altra faccia della medaglia: mangiare può trasformarsi in un momento di gioia e condivisione, utili per superare questo periodo di sacrificio e difficoltà. Condividere la preparazione e il consumo dei pasti in famiglia, dedicare del tempo a se stessi cucinando e scegliendo gli alimenti giusti, possono oggi diventare buone abitudini da protrarre nel tempo, migliorando qualitativamente il benessere e lo stile di vita di ciascuno.
L’augurio è di uscire da questa emergenza con una consapevolezza in più: nutrirsi non è solo un bisogno fisiologico, ma un atto d’amore importante che scegliamo di compiere giorno dopo giorno.
Dott.ssa Giulia Pelini
Psicologa
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Bibliografia:
- Ciceri M. R., La paura, Bologna, Il Mulino, 2001
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