Quando le parole non bastano o non riescono ad esprimere un’emozione o un vissuto o quando si ha la necessità di parlare attraverso un altro tipo di linguaggio, in psicoterapia si possono utilizzare strumenti non verbali. Tra questi la fotografia è uno strumento versatile che può inserirsi in diversi setting terapeutici, adeguandosi all’approccio del clinico e alla sua modalità di fare terapia.
Attraverso le fotografie il paziente ci parla di sé, del suo mondo interno, della sua visione del mondo. La fotografia in psicoterapia può diventare un utile strumento per indagare, esprimere e rafforzare l’identità, ma anche un ponte per connettersi con ricordi, pensieri e sentimenti sepolti profondamente nell’inconscio. Ciò accade perché le fotografie parlano lo stesso suo linguaggio, comunicano attraverso le immagini. Anche i nostri primi ricordi sono immagini perché la memoria visiva è una delle primissime forme di memorizzazione. Sapere ciò è importante perché un terapeuta che usa le fotografie con i propri pazienti deve essere consapevole di quanto si può andare in profondità sia nello spazio (interno) che nel tempo.
Le fotografie permettono di travalicare il linguaggio verbale e i blocchi che possono essere connessi ad esso, offrendo una distanza di sicurezza data dalla possibilità di parlare non direttamente di sé, ma attraverso una fotografia che diventa, in questo senso, un oggetto transazionale, terzo tra paziente e terapeuta.
Molti psicoterapeuti nel tempo hanno introdotto, in modo spontaneo e intuitivo, la fotografia in terapia: a volte portata dal paziente e accolta dal terapeuta come strumento interessante e spunto di riflessione, altre volte richiesta dal clinico poiché esplicitamente utile al lavoro.
Judy Weiser, psicologa e arteterapeuta canadese, ha dedicato la sua carriera alla ricerca in questo campo, arrivando negli anni ’90 a definire cinque tecniche con l’obiettivo di tracciare delle linee guida specifiche che potessero aiutare il terapeuta ad introdurre la fotografia in terapia.
Estremamente versatili, le PhotoTherapy Techniques si adattano a diversi contesti e a molteplici orientamenti. Non rientrano infatti in una specifica cornice teorica, ma si appoggiano alla formazione del terapeuta, adattandosi al suo modo di lavorare e al suo modo di relazionarsi al paziente.
PHOTO-PROJECTIVE
Nel PHOTO-PROJECTIVE la fotografia viene utilizzata in modo proiettivo, il terapeuta propone un mazzo di fotografie al paziente che ne sceglie una o più, in risposta a consegne come: “Scegli la fotografia che più ti chiama”; “Scegli una fotografia che ti piace e una che non ti piace”; oppure ancora: “Una fotografia che senti essere in contatto con le tue emozioni.”
L’immagine viene esplorata a partire dal contenuto visivo per poi arrivare alle proiezioni del paziente e ai suoi significati più profondi. È utile sempre iniziare dalla descrizione dell’immagine per passare, solo in un secondo momento, a domande che attivino l’immaginazione del paziente.
Versatile e funzionale, il Photoprojective è facilmente associabile al TAT, e ciò la rende tra le cinque tecniche, quella più accolta da terapeuti ad orientamento psicodinamico.
FOTOGRAFIE SCATTATE O RACCOLTE DAL PAZIENTE
La seconda tecnica, l’utilizzo di FOTOGRAFIE SCATTATE O RACCOLTE DAL PAZIENTE, prevede una consegna da fare al di fuori del colloquio: il paziente scatta fotografie per approfondire un tema su cui si sta lavorando in terapia. È una tecnica che viene integrata bene da terapeuti di stampo cognitivista, la fotografia come compito a casa si associa a prove comportamentali e a prescrizioni di orientamento strategico.
FOTOGRAFIE DEL PAZIENTE SCATTATE DA ALTRE PERSONE: con la terza tecnica si indaga la storia del paziente, le fotografie lo facilitano nel racconto della sua vita e nell’esplorazione della sua personalità. Permettono inoltre di lavorare sulla percezione della sua immagine, si lavora sullo sguardo dell’altro, accettazione di sé e cambiamento nel tempo.
Il lavoro sulle fotografie dell’ALBUM DI FAMIGLIA è molto importante e particolarmente attraente per i terapeuti di orientamento sistemico. Le fotografie oggi non vengono più raccolte negli album, ma più spesso rimangono nel telefonino. Selezionare i più importanti fra i diversi scatti, stampare le fotografie per dare loro un senso e una nuova narrazione, è un esercizio estremamente utile, favorisce infatti l’osservazione da parte di terapeuta e paziente in modo congiunto, di storie, dinamiche e legami familiari. Guardare le fotografie insieme è intimo e appassionante, attiva ricordi e favorisce l’alleanza terapeutica.
I cassetti che le contengono vengono aperti dopo tanti anni, e le fotografie, spesso guardate in famiglia, possono attivare importanti domande, confronti e risposte.
I terapeuti ad orientamento gestaltico, che hanno familiarità con la tecnica della sedia vuota, possono introdurre il dialogo con le fotografie e con le persone in esse rappresentate, mentre i terapeuti sistemici si possono sentire agili nell’integrarle al genogramma.
AUTORITRATTO
L’ultima tecnica guarda al lavoro che si può fare in terapia attraverso l’AUTORITRATTO. Ben diverso da quando ne ha teorizzato l’utilizzo Judy Weiser, ora grazie al selfie, l’autorappresentazione è alla portata di tutti. Indagarne l’utilizzo che spontaneamente ne fa il paziente, permette al terapeuta di lavorare su diversi elementi della percezione di sé.
Per definire l’uso delle foto in terapia viene utilizzato il termine “fototerapia”, etichetta semplice e immediata, ma non completamente corretta, in quanto non è la semplice fotografia che produce la trasformazione, ma solo se integrata al lavoro clinico, sostenuta da un orientamento teorico e dall’esperienza del terapeuta, funziona e produce il cambiamento.
Non tutti hanno bisogno o possono beneficiare di un lavoro attraverso la fotografia, ma quando sappiamo che il paziente ama le immagini, quando ci dà descrizioni povere del suo mondo interno, o quando la terapia è in qualche modo ferma o procede a rilento, la fotografia permette di far emergere e di introdurre un nuovo tema che può sorprendere entrambi.
Perché un paziente dovrebbe scegliere un terapeuta che lavora con la fotografia? Alcune persone scattano fotografie e sanno che dietro a questa passione c’è altro, ma da soli non riescono ad esplorare i significati che sentono nelle loro immagini. Oppure c’è chi vorrebbe imparare a guardare le fotografie di famiglia in modo diverso, discutendole con il proprio analista e, per finire, c’è chi che si scatta decine di autoritratti ed è consapevole che i selfie di cui il telefono è pieno non sono per nulla causali.
Ai pazienti piace lavorare con la fotografia, rimangono sorpresi, vengono stimolati nella narrazione. L’immagine riattiva la memoria e la fotografia proiettiva, utilizzata come metafora visiva, aiuta a definire e a comunicare ricordi, emozioni e fantasie.
È importante riuscire ad integrare bene il medium fotografico nel proprio lavoro clinico, una buona preparazione è necessaria per arrivare a gestire con flessibilità, creatività e spontaneità questo strumento. L’esperienza poi guida e facilita la giusta consegna e le domande che possono condurre il paziente alla ricerca di sé all’interno dell’immagine.
La fotografia, quando usata in modo consapevole e ben introdotta nel percorso terapeutico, è uno strumento emotivo e relazionale che accompagna ed integra in modo creativo il nostro lavoro di terapeuta.
La PhotoTherapy nella pratica clinica
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La Phototherapy nella Pratica Clinica: Autoritratto, Sogno e Narrazione di sé