“Mamma… papà… come sono nato?” E adesso come glielo dico?

Patrizia Vaccaro
Psicologa Psicoterapeuta, mi sono specializzata nel 2008 in Psicoterapia cognitiva e cognitivo-comportamentale presso il centro “Studi Cognitivi” di Milano. Sin dai primi anni della formazione ...
fecondazione assistita

Parlare di fecondazione assistita non significa parlare solo di madri e padri o della loro difficoltà ad essere genitori. Significa anche parlare di figli. Figli nati dalla procreazione assistita.
In tempi di eterologa e di donazione dei gameti, questo aspetto sembra essere ancora più rilevante.

Nel corso degli anni, si sono moltiplicati gli studi sullo “svelamento” dei genitori ai figli rispetto al concepimento. Si tratta di studi che prendono in considerazione la capacità di accettazione dei genitori rispetto al fatto di aver ricorso alla tecnologie riproduttive, il benessere dei figli, le loro capacità emotive e relazionali.

Gli studi, seppur spesso fatti su piccoli gruppi abbastanza omogenei come contesto (sono studi di follow-up fatti in varie fasi di vita dei figli sino all’adolescenza) e con limiti riconosciuti, sono concordi sul fatto che non ci siano particolari differenze tra questi e i figli concepiti naturalmente. Dunque, le tecnologie riproduttive non incidono sulle competenze relazionali, emotive dei figli. Ciò che fa sempre la differenza sono i genitori e le loro competenze.

Da quando le pratiche di fecondazione assistita sono nate, ci sono state due correnti di pensiero rispetto all’atteggiamento da avere nei confronti dei figli: chi sosteneva che andasse condiviso il modo in cui erano nati e chi non lo riteneva importante.

Negli ultimi anni, medici, psicologi, sociologi e tutti quelli che si occupano di questi argomenti, sostengono l’importanza di condividere come un figlio è stato concepito. Su questa linea, quindi, si sono via via moltiplicati gli studi sulle modalità con cui questo argomento viene affrontato.

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In uno studio non recente, ma molto attuale e interessante, del 2007, è emerso che il principale timore che rende difficile la comunicazione su questo argomento, è quello di essere in qualche modo rifiutati dai figli o di non essere più riconosciuti come genitori. C’è la paura di creargli dei disturbi emotivi o dei sensi di inferiorità o diversità rispetto ai loro simili, come se fosse uno stigma sociale il fatto di essere venuti al mondo con l’aiuto della procreazione assistita, tanto più attraverso la donazione di gameti.

Sono stati identificati due tipi di strategie utilizzate per comunicare ai figli come sono nati. A volte usati in modo esclusivo, a volte combinati tra di loro. In entrambi i casi però si cerca il momento giusto, si normalizza l’intervento di un donatore e si cerca di contenere le paure dei bambini e dei genitori.

Il primo “seed planting”, si contraddistingue dal fatto che lo “svelamento” precoce al bambino è di fondamentale importanza. Intorno ai 3-4 anni, quando cominciano a porsi domande sul “come nascono i bambini”, è giusto parlarne nel modo più chiaro ed autentico possibile. Il timore è che aspettando a svelare la verità, il bambino possa pensare che ci possa essere qualcosa di vergognoso, di brutto o di anormalità nel donatore. Al contrario, il fatto di parlarne magari ripetutamente e di inserire questo discorso nei consueti argomenti familiari, permette al bambino di percepire questa informazione e questa modalità come normale nella costruzione di una famiglia.

La seconda strategia “right time” è caratterizzata dalla credenza che c’è un momento giusto nello sviluppo del bambino in cui è maggiormente in grado di ricevere e comprendere questa informazione. Questi genitori ritengono che sia inutile svelare ai bambini come sono nati, se non hanno la capacità di comprendere alcuni aspetti medici e biologici della riproduzione, quindi ritengono sia meglio attendere l’ età scolare. Un secondo elemento che caratterizza questa strategia è il consolidamento della routine e delle relazioni familiari. I genitori ritengono che posticipare questo svelamento dia la possibilità di rendere più saldi e sicure le relazioni e la routine familiare, per cui la notizia di un donatore non rischia di minacciare la sicurezza emotiva e affettiva del bambino.

L’aspetto che mette maggiormente in difficoltà i genitori non è il contenuto in sé, ma trovare le parole giuste per raccontare senza dire “io non sono il tuo padre/madre reale”. E’ importante non confondere il ruolo del donatore con i ruoli familiari.
In questo studio vengono identificati 5 temi narrativi, ovvero cinque storie diverse per gli aspetti che vengono messi maggiormente in rilievo e per l’età a cui si rivolgono:

  1. L’aiutante
  2. I pezzi di ricambio
  3. Le famiglie sono diverse
  4. Travaglio d’amore
  5. Dado e bulloni

Nella prima storia i genitori convengono sull’idea che hanno avuto bisogno di aiuto per avere un bambino. La figura del donatore o del medico diventa allora quella di un aiutante speciale. La frase ricorrente è “il dottore/il donatore ci hanno aiutato ad averti”.
Nella seconda storia si esprime l’idea che uno dei due genitori aveva delle parti “rotte” che andavano messe a posto per avere un bambino. Si mette l’attenzione sul fatto che il corpo di uno dei genitori lavorava in modo differente rispetto a quello degli altri e quindi c’è stato bisogno di ricorrere a un dottore o ad altre persone (ad es.“lo sperma del papà era rotto e quindi abbiamo chiesto a un dottore”)
Le famiglie sono diverse” racconta la molteplicità di tipi di famiglie che ci possono essere. Vengono elencate le famiglie adottive, con un solo genitore, con coppie omosessuali, famiglie che non hanno figli o famiglie miste. E anche famiglie che per avere un figlio devono ricorrere alle tecnologie riproduttive.
Travaglio d’amore” enfatizza il desiderio di avere un figlio e il duro lavoro per ottenerlo.
L’ultima storia presuppone che il bambino abbia una certa età per comprendere il linguaggio riproduttivo. In questo caso, vengono usati termini più espliciti come donatrice di ovuli o donatore di sperma.

Quel che è certo è che nella ricerca del modo migliore per raccontare da dove arriva un bambino, i genitori si informano cercano libri, si confrontano e chiedono aiuto. Proprio perché la questione è delicata, i fantasmi sono tanti e il confine tra genitore reale e genitore biologico è molto sottile.

BIBLIOGRAFIA

Kirstin Mac Dougall, MFAa, Gay Becker, Ph.D.a, Joanna E. Scheib, Ph.D.b, and Robert D.
Nachtigall, M.D, Strategies for disclosure: How parents approach telling their children that they were conceived with donor gametes. 2007, fertility and sterility, 87(3).

Blake, L., Jadva V., Golombok S., 2014, Parent psychological adjustment, donor conception and disclosure: a follow up over 10 years, Human reproduction (29), 11Il secondo “right time”
Le differenze riguardano il tempo in cui questi argomenti vengono affrontati

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