Parlare di fecondazione assistita non significa parlare solo di madri e padri o della loro difficoltĆ ad essere genitori. Significa anche parlare di figli. Figli nati dalla procreazione assistita.
In tempi di eterologa e di donazione dei gameti, questo aspetto sembra essere ancora piĆ¹ rilevante.
Nel corso degli anni, si sono moltiplicati gli studi sullo āsvelamentoā dei genitori ai figli rispetto al concepimento. Si tratta di studi che prendono in considerazione la capacitĆ di accettazione dei genitori rispetto al fatto di aver ricorso alla tecnologie riproduttive, il benessere dei figli, le loro capacitĆ emotive e relazionali.
Gli studi, seppur spesso fatti su piccoli gruppi abbastanza omogenei come contesto (sono studi di follow-up fatti in varie fasi di vita dei figli sino all’adolescenza) e con limiti riconosciuti, sono concordi sul fatto che non ci siano particolari differenze tra questi e i figli concepiti naturalmente. Dunque, le tecnologie riproduttive non incidono sulle competenze relazionali, emotive dei figli. CiĆ² che fa sempre la differenza sono i genitori e le loro competenze.
Da quando le pratiche di fecondazione assistita sono nate, ci sono state due correnti di pensiero rispetto all’atteggiamento da avere nei confronti dei figli: chi sosteneva che andasse condiviso il modo in cui erano nati e chi non lo riteneva importante.
Negli ultimi anni, medici, psicologi, sociologi e tutti quelli che si occupano di questi argomenti, sostengono lāimportanza di condividere come un figlio ĆØ stato concepito. Su questa linea, quindi, si sono via via moltiplicati gli studi sulle modalitĆ con cui questo argomento viene affrontato.
In uno studio non recente, ma molto attuale e interessante, del 2007, ĆØ emerso che il principale timore che rende difficile la comunicazione su questo argomento, ĆØ quello di essere in qualche modo rifiutati dai figli o di non essere piĆ¹ riconosciuti come genitori. CāĆØ la paura di creargli dei disturbi emotivi o dei sensi di inferioritĆ o diversitĆ rispetto ai loro simili, come se fosse uno stigma sociale il fatto di essere venuti al mondo con lāaiuto della procreazione assistita, tanto piĆ¹ attraverso la donazione di gameti.
Sono stati identificati due tipi di strategie utilizzate per comunicare ai figli come sono nati. A volte usati in modo esclusivo, a volte combinati tra di loro. In entrambi i casi perĆ² si cerca il momento giusto, si normalizza lāintervento di un donatore e si cerca di contenere le paure dei bambini e dei genitori.
Il primo āseed plantingā, si contraddistingue dal fatto che lo “svelamento” precoce al bambino ĆØ di fondamentale importanza. Intorno ai 3-4 anni, quando cominciano a porsi domande sul ācome nascono i bambiniā, ĆØ giusto parlarne nel modo piĆ¹ chiaro ed autentico possibile. Il timore ĆØ che aspettando a svelare la veritĆ , il bambino possa pensare che ci possa essere qualcosa di vergognoso, di brutto o di anormalitĆ nel donatore. Al contrario, il fatto di parlarne magari ripetutamente e di inserire questo discorso nei consueti argomenti familiari, permette al bambino di percepire questa informazione e questa modalitĆ come normale nella costruzione di una famiglia.
La seconda strategia āright timeā ĆØ caratterizzata dalla credenza che cāĆØ un momento giusto nello sviluppo del bambino in cui ĆØ maggiormente in grado di ricevere e comprendere questa informazione. Questi genitori ritengono che sia inutile svelare ai bambini come sono nati, se non hanno la capacitĆ di comprendere alcuni aspetti medici e biologici della riproduzione, quindi ritengono sia meglio attendere lā etĆ scolare. Un secondo elemento che caratterizza questa strategia ĆØ il consolidamento della routine e delle relazioni familiari. I genitori ritengono che posticipare questo svelamento dia la possibilitĆ di rendere piĆ¹ saldi e sicure le relazioni e la routine familiare, per cui la notizia di un donatore non rischia di minacciare la sicurezza emotiva e affettiva del bambino.
Lāaspetto che mette maggiormente in difficoltĆ i genitori non ĆØ il contenuto in sĆ©, ma trovare le parole giuste per raccontare senza dire āio non sono il tuo padre/madre realeā. Eā importante non confondere il ruolo del donatore con i ruoli familiari.
In questo studio vengono identificati 5 temi narrativi, ovvero cinque storie diverse per gli aspetti che vengono messi maggiormente in rilievo e per lāetĆ a cui si rivolgono:
- Lāaiutante
- I pezzi di ricambio
- Le famiglie sono diverse
- Travaglio dāamore
- Dado e bulloni
Nella prima storia i genitori convengono sullāidea che hanno avuto bisogno di aiuto per avere un bambino. La figura del donatore o del medico diventa allora quella di un aiutante speciale. La frase ricorrente ĆØ āil dottore/il donatore ci hanno aiutato ad avertiā.
Nella seconda storia si esprime lāidea che uno dei due genitori aveva delle parti ārotteā che andavano messe a posto per avere un bambino. Si mette lāattenzione sul fatto che il corpo di uno dei genitori lavorava in modo differente rispetto a quello degli altri e quindi cāĆØ stato bisogno di ricorrere a un dottore o ad altre persone (ad es.ālo sperma del papĆ era rotto e quindi abbiamo chiesto a un dottoreā)
āLe famiglie sono diverseā racconta la molteplicitĆ di tipi di famiglie che ci possono essere. Vengono elencate le famiglie adottive, con un solo genitore, con coppie omosessuali, famiglie che non hanno figli o famiglie miste. E anche famiglie che per avere un figlio devono ricorrere alle tecnologie riproduttive.
āTravaglio dāamoreā enfatizza il desiderio di avere un figlio e il duro lavoro per ottenerlo.
Lāultima storia presuppone che il bambino abbia una certa etĆ per comprendere il linguaggio riproduttivo. In questo caso, vengono usati termini piĆ¹ espliciti come donatrice di ovuli o donatore di sperma.
Quel che ĆØ certo ĆØ che nella ricerca del modo migliore per raccontare da dove arriva un bambino, i genitori si informano cercano libri, si confrontano e chiedono aiuto. Proprio perchĆ© la questione ĆØ delicata, i fantasmi sono tanti e il confine tra genitore reale e genitore biologico ĆØ molto sottile.
BIBLIOGRAFIA
Kirstin Mac Dougall, MFAa, Gay Becker, Ph.D.a, Joanna E. Scheib, Ph.D.b, and Robert D.
Nachtigall, M.D, Strategies for disclosure: How parents approach telling their children that they were conceived with donor gametes. 2007, fertility and sterility, 87(3).
Blake, L., Jadva V., Golombok S., 2014, Parent psychological adjustment, donor conception and disclosure: a follow up over 10 years, Human reproduction (29), 11Il secondo āright timeā
Le differenze riguardano il tempo in cui questi argomenti vengono affrontati