Il disturbo dissociativo dell’identità: una diagnosi controversa

Il disturbo dissociativo dell’identità: una diagnosi controversa

Presentiamo una breve descrizione delle controversie che circondano la diagnosi del disturbo dissociativo dell’identità. Segue una discussione delle somiglianze e delle differenze proposte tra il disturbo dissociativo dell’identità e il disturbo borderline della personalità. Il fenomeno dell’autoipnosi viene discusso nel contesto dei traumi sessuali nella prima infanzia e del disturbo dell’attaccamento come nel significato degli alter-ego o delle personalità alternative.

L’autore descrive le recenti ricerche delle neuroscienze che correlano i sintomi del disturbo dissociativo dell’identità ai disturbi dell’attenzione dimostrabili e ai processi della memoria. Una descrizione clinica di un paziente tipico è inclusa, comprese alcune raccomandazioni per approcciarsi al trattamento.

DID. Un caso esemplificativo: Mary (Mary, Edtih, “Baby”)

Mary era una trentenne mite e reticente con molti tratti evitanti. Stava parlando di alcuni fatti del suo passato che includono gravi abusi sessuali che sono cominciati quando aveva 20 mesi. Ha cominciato a parlare allo psichiatra di una voce piangente che sentiva costantemente.

Mary: La bambina piange tutto il tempo, la bambina. La sento. Tutto il tempo è triste. Non può parlare e piange tutto il tempo. (Mary smette di parlare, il suo atteggiamento e la postura sono cambiate radicalmente, cogliendo di sorpresa lo psichiatra. Sembrava veramente ci fosse un’altra persona nella stanza.)
Mary (ora Edith): Una smidollata, ecco cosa è. Non sopporto più queste stronzate. Lo uccido. Lo uccido. Uccido anche te perché lei si merita di morire.
Psichiatra: Chi, la bambina?
Mary (ora Edith): Mary. Perché è una debole!
Psichiatra: E la bambina?
Mary (ora Edith): Di cosa stai parlando?
Psichiatra: Posso parlare con Mary?
Mary (ora Edith): Mary non ha le palle di venire qui!

Le reazioni dei medici al disturbo dissociativo dell’identità

Nel 1988, Dell ha intervistato alcuni medici per definire le reazioni che hanno incontrato negli altri come reazione al loro interesse nel disturbo dissociativo dell’identità (DID), in precedenza chiamato disturbo delle personalità multiple.

Di 62 intervistati che hanno trattato pazienti con DID, più dell’80% ha riferito che hanno visto reazioni da “moderate ad estreme” dai colleghi, inclusi tentativi di rifiutare che i loro pazienti fossero ammessi in ospedale o costringere i pazienti a essere dimessi, anche pazienti che i medici ritenevano ed essere ad alto rischio suicidario. Dell ha ipotizzato che le reazioni emotive alla diagnosi di DID sono fermate dall’ansia suscitata “dalla rappresentazione clinica bizzarra”. Per alcuni medici le reazioni emotive sono simili a quelle dei pazienti psichiatrici d’emergenza.

Diagnosi controversa

Un altro motivo per cui esiste una discussione controversa sulla diagnosi di DID è la disputa sul significato dei sintomi osservati.

Il DID è un disturbo con un’unica tipologia chiave di sintomi e comportamenti che alcuni medici non riescono a vedere? O è una negligenza volontaria per i sintomi creati dagli altri medici che hanno voluto credere che sia qualcosa che in realtà non esiste?

Un terzo motivo importante di controversia è che i criminali vengano “liberati” senza che vengano puniti dal sistema di giustizia, che attribuisce questi comportamenti alle altre personalità e non ritiene il perpetratore responsabile.

I casi di DID riportati da Frankel, Ganaway e McHugh sono stati attribuiti invece al contagio sociale, alla suggestione ipnotica e alle diagnosi sbagliate. Questi autori hanno discusso riguardo ai pazienti descritti come DID come altamente ipnotizzabili, e quindi molto suggestionabili. Hanno, inoltre, sottolineato che questi pazienti sono propensi a seguire direttamente o implicitamente le suggestioni ipnotiche e che la maggioranza delle diagnosi di DID sono fatte da pochi psichiatri specializzati.

Affermazione teorico-empirica del DID

Nel 1993, Lauer, Black e Keen hanno concluso che il DID era un epifenomeno del disturbo borderline della personalità, riscontrando poche differenze nei sintomi tra le due diagnosi. Lo hanno descritto, piuttosto, come una sindrome di sintomi nelle persone con personalità disturbate, in particolare nel disturbo borderline della personalità. Hanno concluso che il DID “non ha un unico quadro clinico, test di laboratorio affidabili, e potrebbe non essere fermata da altri disturbi con successo, non ha una storia naturale unica o pattern familiari.”

Lo stesso anno, dopo gli sforzi per rispondere a questa domanda per via empirica tramite la letteratura, North e collaboratori hanno concluso che la diagnosi non può essere convalidata “veramente”, ma bisogna “credere nella sua esistenza”. Hanno affermato che “la conoscenza attuale non è sufficiente per convalidare il DID come diagnosi separata”, ma questo non rifiuta il concetto.

In seguito, Spira ha prodotto un libro scritto dai sostenitori dell’esistenza del DID, descrivendo le opzioni di trattamento.

Loewenstein e Bliss hanno concluso che il DID esiste e i sintomi spontanei di autoipnosi sono alla base della fenomenologia del DID.

Gelinas ha descritto i sintomi dell’autoipnosi e del disturbo post-traumatico da stress (PTSD) nei pazienti DID come probabili reazioni all’abuso sessuale nell’infanzia.

Spiegel e Rosenfeld hanno attribuito ai traumi nell’infanzia la “regressione spontanea d’età” (verso un alter-ego più giovane) osservata nei pazienti DID e credono anche che i sintomi PTSD relativi al trauma sono centrali nel DID.

Horevitz e Braun hanno scoperto che il 70% dei pazienti che hanno avuto una diagnosi di “disturbo delle personalità multiple” (DID) potrebbero (come da dati) incontrare i criteri del disturbo borderline della personalità. Tuttavia, hanno anche scoperto che altri pazienti potrebbero non essere così caratterizzati, e hanno concluso che il DID era realmente un’identità distinta, ma sovra-diagnosticata.

Disturbo dissociativo dell’identità vs. disturbo borderline di personalità

Coons e collaboratori hanno svolto una valutazione sui pazienti diagnosticati con il DID con la Structured Clinical Interview per i disturbi DSM (SCID) e per il DSM-III-R dei disturbi della personalità (SIDP-R), una valutazione per il disturbo dissociativo (DDIS), Scala della Depressione di Beck, Scala dell’esperienza dissociativa (DES) e la Scala dell’Istituto Shipley. Hanno scoperto che il 64% dei pazienti DID rispondono ai criteri per il disturbo borderline della personalità, ma quelli che non che non lo fanno hanno comunque un riscontro con molti dei criteri per il disturbo borderline della personalità.

Tuttavia, come hanno scoperto Horevitz e Braun, un terzo delle persone che hanno avuto una diagnosi DID sull’ASSE I sulla base delle scale di valutazione sopra citate non incontrano alcun criterio sui disturbi dell’ASSE II.

Coons e collaboratori hanno concluso che il DID fosse una “sindrome” delle persone con disturbi della
personalità, in particolare con il disturbo borderline della personalità, e che sia il disturbo borderline che il DID sono sullo stesso spettro, con il DID che rappresenta il suo limite più grave. Hanno discusso che il DID si sviluppa da uno strato di tratti borderline. Gli autori hanno sostenuto che la molteplicità di sintomi associati con il DID includono insonnia, disfunzioni sessuali, rabbia, istinti suicidi, automutilazione, dipendenza da alcool e droghe, ansia, paranoia, somatizzazione, dissociazione, cambiamenti di umore e cambiamenti patologici nelle relazioni.

Herman ha definito che il DID è un disturbo di stress estremo, probabilmente una forma di PTSD complessa dovuta a traumi ripetuti e prolungati.

Il significato degli Alter-Ego o delle Alternative

Sebbene gli alter-ego descritti nel DID sono spesso considerati come “stati dell’io”, Watkins e Watkins hanno definito una distinzione tra questi due concetti.

Hanno definito che gli stati dell’io “sono un sistema organizzato di comportamenti ed esperienze i cui elementi si legano insieme per alcuni principi comuni, ma che sono separati l’un l’altro da dei confini che sono più o meno definiti”.

Watkins e Watkis e altri hanno differenziato il concetto degli alter-ego dal concetto degli stati dell’ego, perché gli alter-ego nel DID hanno “la propria identità, e coinvolgono un centro di iniziative ed esperienze, hanno un’auto-rappresentazione caratteristica che può essere un ricordo autobiografico, e distinguono ciò che comprendono essere loro azioni da quelle che sono fatte dagli alter-ego, e hanno un senso di padronanza delle proprie esperienza, azioni, e pensieri, mentre potrebbero non avere un senso di padronanza per la responsabilità delle azioni, esperienze, pensieri degli altri alter-ego.”

Trauma, Attaccamento e DID

In generale, i medici che hanno accettato la validità del DID come diagnosi, l’attribuiscono alle conseguenze dell’esposizione a situazioni di estrema ambivalenza e abuso nell’infanzia che sono gestiti con una elaborata forma di negazione in modo che il bambino creda che l’evento sia accaduto a qualcun altro (forse a un amico immaginario). Dato che a quello stadio della vita il bambino crede che gli amici immaginari “esistano”, la “soluzione” ai traumi gravi può essere un’identità dissociativa.

Invece, i sintomi PTSD sono più probabili quando l’esperienza di trauma avviene più avanti nell’infanzia o durante la vita adulta.

L’abuso grave sui bambini, uno stile di attaccamento disorganizzato e disorientato e l’assenza di supporto sociale e familiare sembrano precedere lo sviluppo del DID. La tendenza a dissociarsi sembra essere connessa alla struttura patogena della famiglia e al disturbo dell’attaccamento acquisito nell’infanzia, come anche al temperamento originario e alla genetica. Lo stile di parenting verso questi pazienti è di solito autoritario e rigido, ma paradossalmente con un’inversione nella relazione genitori-figlio.

Blizard ha ipotizzato che i bambini che mostrano dei pattern disorganizzati/disorientati nell’attaccamento possono essere in grado di dissociarsi dalla loro rappresentazione del comportamento contraddittorio dei genitori e che, nel DID, e ciò distingue i pattern di attaccamento che possono essere incorporati dalle varie personalità. La disorganizzazione che è stata osservata nell’attaccamento dei pazienti DID è particolarmente interessante nell’ottica di alcune delle recenti scoperte delle neuroscienze su questo disturbo.

Recenti ricerche neuroscientifiche sul disturbo dissociativo dell’identità: attenzione e memoria

Attenzione.

In uno studio, un sottocampione di pazienti con DID ha manifestato una dispersione di interesse anormale nei test verbali Wechsler Adult Intelligence Scale-Revised (WAIS-R). Questa variabilità è stata attribuita a sottili deficit neuropsicologici rispetto il fattore memoria/distraibilità simile a quanto visto nel disturbo dell’attenzione.

In un altro studio, rispetto ad altri pazienti con disturbo dissociativo, i pazienti DID hanno mostrato un’inibizione prepulse (PPI) del riflesso di allarme acustico, suggerendo processi attenzionali disadattivi quando attivati a livello controllato, ma non a livello automatico preattentivo. I pazienti DID hanno mostrato una maggiore vigilanza, con conseguente riduzione dell’abitudine ai riflessi di allarme e aumento del PPI. Questa risposta è un processo volontario che allontana l’attenzione da stimoli spiacevoli o minacciosi. Gli autori hanno concluso che i processi attentivi volontari aberranti possono quindi essere una caratteristica distintiva del DID.

In un terzo studio, il flusso sanguigno cerebrale regionale (rCBF) nei pazienti con diagnosi di DID è diminuito bilateralmente nelle regioni della corteccia orbitofrontale (simile a quanto visto nel disturbo da deficit di attenzione) e aumentato nelle regioni frontali mediane e superiori e nelle regioni occipitali bilateralmente.

Memoria.

In uno studio sulla memoria nei soggetti a cui era stata diagnosticato DID, Nissen e collaboratori hanno scoperto che il grado di apparente compartimentazione degli elementi appresi dipendeva dalla misura in cui le informazioni venivano interpretate e memorizzate in modi che trasmettevano un significato unico all’alter o “allo stato di personalità”. Hanno concluso che i ricordi “impliciti” potevano essere meglio immagazzinati e recuperati principalmente durante stati di coscienza comportamentali discreti. Al contrario, un’identità poteva riconoscere parole neutre apprese dall’altra identità. Inoltre, i ricordi di parole presumibilmente neutre, che sono state presentate tramite input uditivo ma recuperate visivamente, hanno mostrato il trasferimento della memoria interidentità. Huntjens e collaboratori raccomandano che i modelli clinici di amnesia nel DID escludano menomazioni per materiale emotivamente neutro.

In uno studio su pazienti con DID che non escludeva pazienti affetti anche da sintomi di PTSD, il volume dell’ippocampo era più piccolo del 19,2% e il volume dell’amigdala era del 31,6% più piccolo rispetto ai soggetti sani.

In un altro studio, rispetto ai controlli, i soggetti esposti a trauma con sintomi di disturbo da stress post-traumatico ma senza DID avevano amigdala e ippocampi significativamente ridotti e una cognizione significativamente ridotta rispetto ai pazienti esposti a traumi con sintomi DID ma senza disturbo da stress post-traumatico, che avevano amigdala e ippocampi normali e cognizione normale.

Sono necessarie ulteriori ricerche per chiarire se i sintomi del DID svolgano effettivamente o meno una funzione protettiva e difensiva neurologicamente, creando un ambiente neuroprotettivo che migliori gli effetti neurotossici dello stress traumatico. Ciò sarebbe previsto dall’ipotesi adattativa descritta da Stankiewicz e Golczynska.

Fare la diagnosi: descrizione clinica

Il tipico paziente a cui viene diagnosticata DID è una donna, di circa 30 anni. Una revisione retrospettiva della storia di quel paziente in genere rivelerà l’insorgenza di sintomi dissociativi tra i 5 e i 10 anni, con l’emergenza di “alter” a circa 6 anni.

Tipicamente una volta adulti, i pazienti DID segnalano fino a 16 alters (gli adolescenti ne segnalano circa 24). La maggior parte di queste tuttavia svanirà rapidamente una volta iniziato il trattamento.

In genere è riportata una storia di abuso infantile, con una frequenza di abusi sessuali superiore alla frequenza di abusi fisici. I pazienti DID segnalano spesso sentimenti suicidi cronici con alcuni tentativi. La promiscuità sessuale è frequente, ma i pazienti di solito riferiscono una diminuzione della libido e l’incapacità di avere un orgasmo. Alcuni pazienti riferiscono di vestirsi con abiti del sesso opposto o che essi stessi siano del sesso opposto.

I pazienti spesso riferiscono “esperienze extrasensoriali” legate a sintomi dissociativi, a volte chiamati allucinazioni. Riferiscono di sentire voci, periodi di amnesia, periodi di spersonalizzazione e possono usare il plurale (“noi” invece di “io”) quando si riferiscono al sé. Questi pazienti sperimentano così tanta dissociazione e anche molti sintomi somatici (alcuni casi assomigliano alla sindrome di Briquet o al disturbo di somatizzazione) che hanno una storia lavorativa molto incoerente. I pazienti di solito hanno periodi di tempo ai quali non possono dare spiegazioni, possono incontrare persone che li conoscono ma che non riescono a riconoscere e si trovano in possesso di abiti che non ricordano di aver acquistato e che normalmente non indosserebbero.

Disturbo dissociativo dell’identità vs. psicosi

La maggior parte dei pazienti DID viene in cura a causa di sintomi affettivi, di tipo psicotico o somatici. Tuttavia, in una situazione di emergenza con un nuovo paziente che non conosce il suo nome, è importante considerare che il paziente potrebbe avere una vera psicosi. Infatti la maggior parte di “Jane e John Does” che si presenta in contesti di emergenza psichiatrica si sono rivelati essere psicotici, piuttosto che in uno stato dissociato o avere una psicosi funzionale o organica associata. Sebbene i pazienti DID descrivano spesso di sentire voci, North e collaboratori hanno scoperto che nel DID le allucinazioni riportate spesso hanno anche una qualità visiva complessa.

Approcci al trattamento

I pazienti a cui è stato diagnosticato un DID tendono a possedere un’estrema sensibilità rispetto la fiducia interpersonale e ai problemi di rifiuto. Questo rende difficile il trattamento breve in un contesto di cura gestita. I terapeuti che trattano comunemente pazienti con disturbo dissociativo dell’identità li vedono come pazienti ambulatoriali settimanalmente o bisettimanali per anni. L’obiettivo è fondere gli stati di personalità pur conservando l’intera gamma di esperienze contenute in tutti gli alter.

Una delle questioni più importanti da affrontare durante il trattamento è la paura da parte di uno stato di personalità alterato o antisociale che lui/lei sarà cancellato dalla terapia. La paura cioè che l’obiettivo dello psichiatra possa essere quello di “sbarazzarsi” di un “alter” che potrebbe aver commesso atti illegali, anche violenti. Questo non sarebbe un obiettivo appropriato del trattamento. Lo stato di personalità è stato creato per difendere il sé da abusi e lesioni. Esso può diventare un elemento forte e importante se integrato in modo più adattivo nella struttura complessiva della personalità.

Infatti i pazienti tendono a cambiare stati di personalità quando c’è una minaccia psicosociale percepita. Questo passaggio consente a un alter in difficoltà di ritirarsi mentre emerge un alter che è più competente a gestire la situazione. Il sistema alter può replicare l’esperienza del paziente DID delle relazioni e delle circostanze che hanno prevalso nella famiglia di origine.

Un approccio di terapia cognitivo comportamentale (CBT) è spesso raccomandato per incorporare una comunicazione efficace con gli alter aiutando il paziente a trovare strategie di coping più adattive rispetto al “passaggio” quando è in difficoltà. Questo si può migliorare insegnando esercizi di rilassamento, suggerendo pause dall’ambiente per alcuni minuti e aiutando il paziente a ottenere il controllo sulle distorsioni cognitive del sé e del mondo. Il terapeuta cerca di modellare reazioni appropriate, calme e ponderate alle crisi.

Esempio: (continua): Mary

Psichiatra (a Mary, ora Edith): Sembra che tu pensi che Mary dovrebbe gestire le cose in modo diverso. Se Mary è ansiosa di venire ai suoi appuntamenti, quali sono alcune cose che può fare per sentirsi più a suo agio? C’è qualcosa che posso fare per aiutarla di più?

Mary come Edith: Dille di avere più coraggio. Può andare avanti senza di te se la lasci.

Psichiatra (a Mary, ora Edith): Non me ne vado. Sarò qui.

 

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Articolo liberamente tradotto e adattato. Fonte: Gillig P. M. (2009). Dissociative identity disorder: a controversial diagnosis. Psychiatry (Edgmont (Pa. : Township))6(3), 24–29.

 

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