La malattia di Alzheimer (e altre demenze) ed il sostegno psicologico al malato e al caregiver

Katia Stoico
Autore: Katia Stoico
Katia Stoico è Psicologa Clinica, Psicogerontologa, Esperta di Consulenza Sistemico-Relazionale, dal 2002 collabora come libera professionista con diversi Enti privati di Milano (Onlus, Centri Diurni...
malattia di alzheimer

In questo articolo riportiamo l’esperienza di Katia Stoico, Psicologa e Psicogerontologa, con la malattia di Alzheimer ed altre forme di demenza, con un focus sull’importanza del sostegno psicologico tanto al malato, quanto a chi se ne prende cura.

La malattia di Alzheimer

Quando parliamo di malattia di Alzheimer, parliamo di una malattia che porta via la capacità di occuparsi di se stessi, che conduce ad una completa dipendenza dagli altri.

Parliamo spesso di soggetti anziani, ma non solo. Anche se in percentuale inferiore, spesso si tratta di persone che hanno meno di 65 anni.

Parliamo di anni di malattia, 10-15, a volte di più.

La malattia di Alzheimer è una patologia neurodegenerativa, progressiva ed irreversibile, del sistema nervoso centrale. È causata dall’accumulo di una sostanza, l’amiloide, che va a compromettere e uccidere i neuroni del cervello.

Clinicamente si manifesta con demenza. Per demenza si intende un disturbo delle funzioni intellettive, acquisito e di natura organica, caratterizzato da compromissione della memoria e di almeno una delle attività mentali primarie, quali:

  • il pensiero astratto
  • la capacità critica
  • le funzioni simboliche
  • l’orientamento topografico

A questo si aggiunge una significativa interferenza nelle attività di vita quotidiana e nelle relazioni interpersonali. Ciò si traduce nella necessità di essere aiutato, affiancato, supervisionato in ogni ambito. E, via via lungo l’evoluzione della patologia, in maniera sempre maggiore.

Circa un milione di soggetti colpiti in Italia, di cui oltre l’80% vive nel proprio domicilio ed è assistito dai familiari (coniugi, figli, fratelli, nipoti, a volte anche genitori…) che per l’80% circa sono donne. La restante quota risiede in case di riposo o istituzioni per lungodegenti per solitudine o gravità della situazione globale.

Le cause sono ancora sconosciute e la diagnosi è molto complicata da effettuare, quasi sempre probabile o possibile. Si ipotizzano dei fattori di rischio e recentemente sono state messe a punto tecniche sofisticate per aumentare la probabilità diagnostica, ma le cure sono al momento solo di sostegno e rallentamento delle problematiche, la guarigione è ad oggi impossibile.

 

I caregiver dei pazienti con malattia di Alzheimer

La malattia, seppur con diverse sfaccettature, porta comunque ad un modello simile. Una persona diventerà dipendente da un’altra che dovrà sobbarcarsi l’onere della cura: il caregiver.

Molti i sentimenti e i vissuti negativi sperimentati da queste persone. Tristezza, depressione, angoscia, rabbia, paura, incertezza, senso di colpa, solitudine, nostalgia…

Quanta sofferenza, quanta fatica, quanti sacrifici, ma anche quanto amore, quanta devozione, quanta buona volontà.

Perché accanto alla disperazione, alla solitudine, all’odio, all’abbandono, ci sono la speranza, la forza, l’amore di questi familiari.

Perché queste persone meravigliose, pur estremamente affaticate, sperano sempre che le condizioni di vita del proprio congiunto ammalato possano essere migliori di quanto la malattia faccia degradare. La speranza maggiore è che l’altro stia meglio, pur sacrificando il proprio benessere.

Purtroppo in queste storie spesso il caregiver si ammala e sta anche peggio dello stesso ammalato, in termini di aspetto fisico e di salute, come se il carico della cura lo schiacciasse. Ma lui prosegue nel suo impegno finché le forze glielo consentono. Perché è convinto che il proprio amore e la propria devozione siano insostituibili e che nessuno potrà occuparsi nello stesso modo del proprio caro.

È chiaro che c’è nel familiare un peggioramento delle condizioni generali di vita. Certamente si impone una totale revisione dello stile di vita, dei modelli relazionali e delle modalità comunicative.

E diviene importante sostenere i caregiver, affiancarli, prenderli per mano, perché per occuparsi bene di qualcuno non bisogna perdere di vista se stessi, le proprie necessità ed i propri desideri.

 

Cosa può fare lo Psicologo?

Conoscere la malattia, saperla gestire, relazionarsi in maniera corretta con la persona e sentirsi supportati nel proprio ruolo assistenziale. In tutto ciò lo Psicologo trova un ambito di intervento privilegiato e prezioso. È però fondamentale che questi abbia una formazione specifica e ben dettagliata della problematica, estremamente complessa ed articolata. Solo così potrà essere di aiuto a questi nuclei familiari provati dalla situazione e bisognosi di trovare un nuovo equilibrio ed una nuova motivazione alla vita.

Mi occupo di queste problematiche da oltre 20 anni ed ho avuto esperienza con migliaia di nuclei familiari che vivono questa situazione, conosco la tematica in ogni sfaccettatura, come anche la sua differente articolazione all’interno delle differenti famiglie.

Sebbene la malattia sia la stessa nei diversi soggetti, si inserisce in situazioni profondamente differenti che ne influenzano l’evoluzione e per le quali sono previsti interventi personalizzati e di accompagnamento.

La mia formazione permanente si arricchisce di una casistica estremamente numerosa che mi permette di affrontare ogni nuova situazione con un bagaglio di competenze enorme, che mi piacerebbe trasmettere ai miei colleghi.

Riporterò di seguito un esempio di un primo colloquio con un nucleo familiare, in assenza della persona malata.

 

Un esempio, il caso di CE.

La donna affetta da malattia di Alzheimer ha 80 anni, il marito 81. Sono giunti al colloquio in 4: il marito, i due figli (un maschio ed una femmina) e la sorella della signora di 10 anni più giovane che abita nello stesso stabile.

Il marito della signora è un uomo molto semplice, nella vita ha solo lavorato (era operaio). La moglie si occupava di tutto il resto, compresa la parte economica e burocratica. Quindi lui adesso si trova in grande difficoltà perché deve ricoprire dei ruoli e occuparsi di molte cose che non ha mai fatto. In aggiunta a ciò non accetta i deficit della moglie e sottolinea in continuazione gli errori e le mancanze, cosa che fa innervosire la stessa. Da alcuni mesi non lo riconosce più come marito, gli chiede chi sia, ma poi di fatto non lo allontana. Lui però non riesce a metabolizzare questa cosa.

I primi sintomi sono comparsi circa 3 anni e mezzo fa: dimenticanze e trascuratezze (di sé e della casa). Parlatone con il medico di base questi ha prescritto una risonanza che aveva rilevato un problema di natura vascolare. Si sono così rivolti ad un neurologo ospedaliero. Ed è stato rilevato un decadimento cognitivo lieve (in una relazione successiva hanno cominciato a parlare di Alzheimer). La figlia, per non lasciare nulla di intentato, ha fissato un secondo consulto con un professore di un altro rinomato ospedale.

 

Esempi di strategie d’intervento

La malata è ancora parzialmente in grado di occuparsi di molti aspetti, certamente va seguita ed aiutata, traffica molto in casa, mettendo sottosopra tutto e nascondendo le cose. Il marito dice che passa le giornate a ricercare ciò che sparisce (ho suggerito di semplificare e togliere le cose più importanti), fa confusione in bagno con i prodotti. Lo stress più grande del marito è pensare a tutte le cose da fare. Questo da qualche mese gli toglie anche il sonno.

Chiedendo come si svolge la giornata (al mattino i due coniugi escono sempre per le varie commissioni) è venuto fuori che i due nipoti (figli della figlia, ormai grandi, oltre 20enni), cresciuti con i nonni, si recano ancora tutti i giorni a pranzo in modo da fargli un po’ di compagnia. Questa cosa però, sebbene faccia piacere al nonno, è fonte di stress perché deve preparare loro da mangiare e non ha mai avuto il coraggio di dirlo alla figlia.

Abbiamo ipotizzato alcune strategie, es. che mangino solo cose pronte (es. tonno, mozzarella…) oppure che si prendano una pizza prima di salire dai nonni. Alle 17 la sorella della pz si reca da lei e le fa un po’ di compagnia, permettendo al marito di uscire ed andare a giocare a carte con gli amici. I figli sono presenti nei fine settimana. Tale organizzazione è sicuramente di grande supporto per il marito ed ho incentivato a proseguire in questa maniera anche piuttosto regolare. Abbiamo anche ipotizzato un Centro Diurno, ma dopo l’estate perché ora andranno al paese di origine.

La malata è una persona di indole buona e gentile, molto accomodante, basta saperla prendere. Il marito però non ha l’approccio giusto, è piuttosto rigido, i figli lo rimproverano. Ma è una persona semplice e non avvezza: ho cercato di fornirgli delle strategie di approccio con numerosi esempi.

Chi Sono

Psicologa Clinica, Psicogerontologa, Esperta di Consulenza Sistemico-Relazionale. Dal 2002 collabora come libera professionista con diversi Enti privati di Milano (Onlus, Centri Diurni, RSA, Cooperative sociali) con posizione di Psicologa – Psicogerontologa (colloqui di sostegno, counseling e psicoeducazione ai caregiver degli anziani, formazione volontari, gestione gruppi familiari Alzheimer Cafè Milano e gruppi AMA, programmazione e progettazione servizi). Si occupa di attività di ricerca, pubblicazioni, docenze, formazione. Ha uno studio privato in provincia di Milano.

 

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