Agire violenza nelle relazioni affettive ĆØ un problema di difficile comprensione.
E, questo, nonostante tutti quanti siamo disposti a riconoscere come nelle relazioni i conflitti siano una condizione estremamente diffusa e, crediamo noi, assai piĆ¹ comune di quanto di solito si tenda a pensare.
In questo articolo, proveremo a proporre come, osservando lo scenario delle relazioni affettive da questo specifico angolo visuale, i conflitti siano da considerare una condizione per cosƬ dire fisiologica dei rapporti intimi e perciĆ² diventa necessario distinguere quanto chiamiamo āconflittoā da ciĆ² che definiamo āatto violentoā.
Questa distinzione, nei nostri criteri, si pone quale condizione necessaria e opportuna per cogliere il valore di un intervento psicologico e trattamentale in rapporto a coloro che agiscono violenza entro le relazioni affettive: non abbiamo la pretesa di āinsegnare alle persone a non essere piĆ¹ violenteā, ma sappiamo che possiamo aiutarle a riconoscere entro quali condizioni conflittuali.
Allāinterno delle proprie relazioni, queste persone tendono a perdere il senso del limite e possano quindi diventare violente e, di conseguenza, possiamo sostenere in un cambiamento del proprio atteggiamento rispetto a queste stesse emozioni che loro stessi provano nei propri rapporti.
I rapporti affettivi: una scelta fondata sulla condivisione
Partiamo col discorso da questa prima considerazione: i legami affettivi comportano che chi vi prende parte esprima, di giorno in giorno, una propria scelta nel partecipare a quella stessa relazione e nel condividere con lāaltro/altra un qualche interesse che allāaltro/altra lo accomuna e che, al contempo, si costituisce quale obiettivo di quel rapporto.
Ć solo nellāambito di questa scelta reciproca e condivisa su uno o piĆ¹ scopi che il legame affettivo prende senso e assume stabilitĆ nel corso del tempo. In mancanza di questa condivisione, che va continuamente alimentata e rinnovata, il rapporto finisce per venire meno, per far vivere un appiattimento della relazione, portando a incomprensioni e alimentando conflitti o difficili, reciproche, sopportazioni.
La violenza quale fallimento della condivisione
Ć quindi in mancanza di scopi condivisi che in famiglia o nei rapporti di coppia si generano emozioni vissute come poco tollerabili. E, a loro volta, sono queste stesse emozioni a divenire le responsabili dellāinsorgenza di conflitti, dellāinnesco dei litigi o del determinarsi di quelle situazioni che vengono vissute come aggressive o esplicitamente violente.
A chi non ĆØ capitato di provare un qualche sentimento di gelosia verso il proprio partner che, magari, lanciava lo sguardo a unāaltra persona? A chi non ĆØ successo di discutere animatamente per unāincomprensione che, a vederla bene, successivamente, appariva una stupidaggine? Chi ĆØ che non si ĆØ mai sentito provocato dalla persona amata e che non ha agito di conseguenza, rispondendo alla provocazione? Chi, infine, non si ha reagito stizzito, ascoltando per lāennesima volta, la solita lamentela su quella certa cosa da parte del/la partner?
Sono queste solo alcune di quelle situazioni di vita quotidiana in cui, per un nonnulla si direbbe, le coppie iniziano a litigare, lasciandosi andare a volte alle parole piĆ¹ sconvenienti o ai gesti piĆ¹ turpi.
Compreso questo, diremmo che le relazioni intime sono piĆ¹ spesso conflittuali che pacifiche; piĆ¹ sovente rissose che zen.
Ma potremmo anche aggiungere che non ĆØ tanto la quantitĆ di episodi conflittuali o aggressivi a determinare la sensazione di non stare in una relazione soddisfacente, ma piuttosto la capacitĆ dei membri di una relazione di mantenere la capacitĆ di stabilire scopi comuni allāinterno di essa e quindi a condividere le emozioni che la relazione stessa suscita costantemente in loro, senza che queste stesse emozioni vadano subito evacuate, dando vita a moti violenti contro lāaltro/altra.
Sottolineiamo questāultima frase perchĆ©, a nostro avviso, ciĆ² che fa sƬ che i conflitti emergenti nel rapporto si trasformino in litigi ā e che quindi distingue un conflitto da un evento violento ā sia, dal punto di vista psicologico, proprio questo evacuare e agire lāemozione che la situazione conflittuale suscita nelle persone che vi stanno prendendo parte.
Violenza quale esito di una semplificazione emotiva
La violenza, lo sottolineiamo ancora una volta per non essere fraintesi, dal punto di vista psicologico altro non ĆØ che lāesito di un tentativo, malriuscito, di āsemplificareā il proprio mondo interno, dunque di bonificare i propri vissuti, da quelle emozioni intollerabili che una relazione senza scopi condivisi in momenti dati intrinsecamente comporta e fa vivere chi vi prende parte.
Una semplificazione che ha lāunico obiettivo di mettere a tacere quelle incomprensioni che il legame stesso sollecita.
Va da sĆ© che gli agiti coi quali si intende dissipare lāemozione intollerabile non permettono di raggiungere quello stesso scopo che si prefiggono se non a breve, brevissimo termine. E le emozioni di cui ci si libera temporaneamente torneranno a farsi vive, a liberarsi e riemergere nuovamente nel rapporto, forti come e piĆ¹ di prima.
La violenza ĆØ sempre inutile
La violenza, quindi, dal punto di vista psicologico ĆØ sempre falsa e inutile: ĆØ un atto che non permette mai di raggiungere veramente il proprio scopo perchĆ© il suo unico obiettivo potenziale (quello di far tacere le emozioni indesiderate) di fatto finisce per funzionare da volano, da ripetitore o, se vogliamo, da cassa di risonanza di quelle stesse emozioni di cui ci si vorrebbe liberare, e quindi le rinnova, in una sorta di supplizio di Tantalo in cui il desiderio di soddisfacimento del desiderio ĆØ continuamente alimentato e, allo stesso tempo, continuamente impedito nel suo soddisfacimento, dunque perpetuato.
Proponiamo di pensare alla violenza nelle relazione affettive in questi termini perchƩ questo costituisce un vero e proprio modello con cui interpretare tutti quanti gli eventi conflittuali in rapporto ai quali le persone non riescono a tollerare o avere a che fare con emozioni e vissuti evocati nel rapporto.
Al contempo, questo modello concettuale permette di riconoscere la funzione svolta dai conseguenti atti, gesti o comportamenti con cui si intenderebbe liberarsi (temporaneamente o definitivamente) dellāemozione che si sta vivendo.
Lāoffesa, lo schiaffo, il pugno, lāaiuto non dato, la pretesa che lāaltro sia, si vesta o si comporti in un certo modo e non altrimenti, il controllo dellāaltro, le provocazioni e i rimproveri continui sono tutte occasioni che potremmo definire violente, ma in cui a essere violento non ĆØ solo o tanto lāatto in sĆ© (tantāĆØ che in molte relazioni questi atti non sono codificati e vissuti come condizioni estreme o violente, ma considerati per certi versi fisiologici e pertinenti allāesistenza del legame affettivo stesso), ma lo diventano soprattutto in ragione del modo con cui questi vengono interpretati in quella certa relazione, in rapporto, cioĆØ, alla presenza o meno della capacitĆ di continuare a darsi scopi condivisi e reciproci.
Ciascuno di noi, a tratti, viene preso dalle profonde emozioni che attraversano tutti i nostri rapporti; nessuno ĆØ escluso e immune da ciĆ²; tuttavia riconoscere i propri āangoli ciechiā, imparando a evitarli, a pensare sui propri vissuti prima che questi ci portino a diventare aggressivi, ci puĆ² permettere di evitare o modificare degli atti violenti.
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