In questo discorso tenuto durante un Ted Event dello Psicologo Sociale Thomas Curran, esperto delle caratteristiche di personalità del perfezionismo e di come questo impatti la salute mentale, spiega come la pressione esterna all’essere perfetti sta facendo emergere conseguenze a livello della salute mentale soprattutto nella popolazione più giovane.
Come possiamo creare una cultura più orientata a celebrare anche gli aspetti positivi dell’imperfezione? Scopriamolo in questo interessante speech di Curran.
Buona lettura!
Sono piuttosto perfezionista. Quante volte l’avete sentito dire? Magari bevendo qualcosa con gli amici, o forse con la famiglia al Ringraziamento. È il difetto preferito di tutti, è l’ormai comune risposta alla difficile, ultima domanda dei colloqui di lavoro: “Il mio più grande difetto? È il mio perfezionismo.”
Vedete, per qualcosa che dovrebbe essere una pecca, è sorprendente quanti di noi siano felici di alzare la mano e dire di essere perfezionisti. Ma è una cosa seria e interessante, la nostra ambigua ammirazione per il perfezionismo ci pervade a tal punto che mettiamo continuamente in discussione il concetto nei suoi stessi termini.
Cosa dice di noi e della nostra società il fatto che ci sia una sorta di celebrazione della perfezione e del perfezionismo?
Tendiamo a considerare il perfezionismo un simbolo di valore. L’emblema della persona di successo. Eppure, studiando il perfezionismo, ho avuto pochi riscontri del fatto che i perfezionisti abbiano più successo. Al contrario, si sentono scontenti ed insoddisfatti, nella costante sensazione di non essere abbastanza perfetti. Sappiamo dalla documentazione medica che il perfezionismo cela una serie di difficoltà psicologiche, incluse depressione, ansia, anoressia, bulimia e anche pensieri suicidi. E ciò che preoccupa di più è che, negli ultimi 25 anni, si è visto crescere il perfezionismo ad una velocità allarmante. E allo stesso tempo, abbiamo riscontrato più disturbi mentali nei giovani che mai prima d’ora. Il tasso di suicidio nei soli Stati Uniti è aumentato del 25 percento negli ultimi vent’anni. E si inizia a veder emergere un andamento simile anche in Canada, e nel mio Paese d’origine, il Regno Unito.
Le nostre ricerche suggeriscono che il perfezionismo cresce di pari passo al cambiamento della società
E il cambiamento della società riflette un diverso senso d’identità personale e con esso le differenze nel modo in cui i giovani interagiscono gli uni con gli altri e con il mondo. La nostra società, preminente e basata sul mercato, presenta aspetti unici che includono elementi come la libertà di scelta e la libertà personale, e queste sono caratteristiche che crediamo stiano contribuendo ai livelli quasi epidemici del problema.
Vi faccio un esempio. I giovani d’oggi si preoccupano di più di avere una vita perfetta e un perfetto stile di vita. In termini di immagine, stato e benessere. I dati forniti dal Pew mostrano che i giovani nati negli Stati Uniti a fine anni ’80 indicano il 20 percento più spesso la ricchezza materiale tra i loro obiettivi più importanti, rispetto ai loro genitori e nonni. I giovani chiedono anche più denaro delle vecchie generazioni e spendono una maggiore quantità dei loro guadagni in beni d’immagine e di stato sociale. Queste proprietà, la loro vita e il loro stile di vita sono inoltre ormai dettagliatamente esposte nelle onnipresenti piattaforme social come Instagram, Facebook, Snapchat. In questa nuova cultura visiva, l’apparenza della perfezione è ben più importante della realtà.
Se un lato del panorama moderno che abbiamo così ben preparato per i giovani è quest’idea che la vita è perfezionabile e che lo stile di vita è perfezionabile, l’altro lato è certamente il lavoro. Niente è fuori portata per chi lo desidera abbastanza. O così ci viene detto. Questa è l’idea centrale del sogno americano. L’opportunità, la meritocrazia, la persona che si fa da sé, lavorare sodo. Il concetto secondo cui lavorare sodo ripaga sempre. E soprattutto l’idea che noi siamo gli artefici del nostro destino. Queste idee collegano il nostro benessere, il nostro stato e la nostra immagine con il nostro innato valore personale.
Ma, ovviamente, è totale finzione. Perché anche se ci fossero pari opportunità, l’idea che noi siamo gli artefici del nostro destino nasconde una ben più crudele realtà per i giovani che sono soggetti ad un quasi costante tribunale economico. Voti, classifiche, graduatorie sono diventati parametri per quantificare il merito, usati per suddividere i giovani a scuola, nei corsi e all’Università.
L’educazione è la prima arena in cui si è misurati così pubblicamente e in cui le valutazioni sono usate come strumento per migliorare gli standard e le prestazioni. E si inizia da giovani. I giovani liceali delle grandi città d’America fanno 112 test standardizzati obbligatori tra la scuola materna e la fine del liceo. Non sorprende che i giovani vedano il dovere di lottare, rendere e riuscire al centro della vita moderna. Sono stati condizionati a definire se stessi nei severi e limitati termini di voti, punteggi e graduatorie.
Questa è una società che colpisce le loro insicurezze
Insicurezze sul loro rendimento e su come appaiano agli occhi degli altri. È una società che amplifica le loro imperfezioni. Ogni imperfezione, ogni ostacolo imprevisto aumenta il bisogno di essere più perfetti in futuro, altrimenti, senza giri di parole, sei un fallito. La sensazione di essere imperfetti e mediocri è molto penetrante… basta parlare con i giovani. “Come dovrei apparire? Come dovrei comportarmi?” “Dovrei essere come quella modella, avere i follower di quell’influencer, devo andare meglio a scuola.”
Un esempio: il caso di John
In quanto mentore di molti ragazzi, vedo gli effetti del perfezionismo in maniera diretta. E uno studente mi viene in mente in modo particolare. John, nome di fantasia, era ambizioso, molto attivo e diligente e all’apparenza, aveva un rendimento eccezionale, prendeva spesso ottimi voti per il suo lavoro. Eppure, per quanto John andasse bene, sembrava sempre vedere i suoi successi come miseri fallimenti, e agli incontri con me, parlava chiaramente di come avesse deluso se stesso e gli altri. La giustificazione di John era semplice: come poteva essere un successo se si impegnava di più rispetto agli altri solo per ottenere gli stessi risultati?
Vedete, il perfezionismo di John, la sua ossessiva etica del lavoro, non faceva altro che rivelare le sue apparenti debolezze a se stesso e agli altri. I casi come quello di John mostrano la pericolosità del perfezionismo come stile di vita. Contrariamente all’opinione comune, il perfezionismo non consiste nel perfezionare una cosa o un lavoro. Non è l’ambizione all’eccellenza. Il caso di John lo dimostra chiaramente. Di base, il perfezionismo è il perfezionamento di se stessi. O, più precisamente, il perfezionamento delle proprie imperfezioni.
Potete vederlo come una montagna del successo che con il perfezionismo immaginiamo di scalare. E pensiamo: “Quando avrò raggiunto la cima, gli altri vedranno che non sono imperfetto e varrò qualcosa.” Ma ciò che il perfezionismo non dice è che poco dopo aver raggiunto la cima, saremo riportati giù nella valle dell’insicurezza e della vergogna, soltanto per riprovare a scalare la montagna. È un ciclo di autolesionismo. Dalla corsa all’inarrivabile perfezione, un perfezionista non riesce a uscire. Per questo è così difficile da risolvere.
Il perfezionismo nella letteratura fino ad oggi
Sappiamo da anni e anni che il perfezionismo contribuisce a molti problemi psicologici, ma non c’è mai stato un modo per quantificarlo. Fino ai tardi anni ‘80, quando due canadesi, Paul Hewitt e Gordon Flett, hanno sviluppato un metodo di autovalutazione del perfezionismo. Proprio così, è qualcosa di misurabile, e include tre elementi chiave del perfezionismo.
1)Il primo è il perfezionismo autodiretto, il desiderio irrazionale di essere perfetti: “Voglio essere il più perfetto possibile.”
Degli studi mostrano che a tutti e tre gli aspetti si associno disturbi della salute mentale, tra cui depressione acuta, ansia acuta e pensieri suicidi. Ma l’aspetto in assoluto più problematico del perfezionismo è quello socialmente imposto. La sensazione che tutti si aspettano che io sia perfetto. Questo aspetto ha una grande correlazione con seri disturbi mentali. E, con l’enfasi che si dà oggi alla perfezione, sempre al centro delle mie riflessioni, ero curioso di scoprire se questi aspetti stessero cambiando.
Ad oggi, le ricerche in questo campo si concentrano sulla familiarità, ma noi volevamo uno studio a livello più ampio. Così abbiamo preso tutti i dati che sono stati raccolti nei 27 anni dalla misura del perfezionismo di Paul e Gordon, e isolato i dati degli studenti universitari. Si trattava di più di 40.000 giovani di college americani, canadesi e britannici, e con tanti dati a disposizione, abbiamo cercato se ci fosse un trend. E, in totale, sono serviti più di tre anni per organizzare le informazioni, fare i calcoli, e scrivere una relazione. Ma ne è valsa la pena perché la nostra analisi ha rivelato una cosa allarmante. Tutti e tre gli aspetti del perfezionismo sono aumentati nel tempo. Ma il perfezionismo socialmente imposto è quello aumentato di più, e di molto.
Nel 1989, solo il 9% dei giovani mostra livelli rilevanti di perfezionismo socialmente imposto. Questi sono i livelli tipici osservati in una popolazione clinica. Nel 2017, il livello è raddoppiato raggiungendo il 18%. Ed entro il 2050, le previsioni basate sui modelli che abbiamo testato indicano che quasi un giovane su tre mostrerà livelli clinicamente rilevanti di perfezionismo socialmente imposto. Ricordate, questo è l’aspetto del perfezionismo che ha la più alta correlazione con disturbi mentali gravi, e per una buona ragione.
I perfezionisti di questo tipo sentono un costante bisogno di soddisfare le aspettative degli altri. E anche se soddisfano le aspettative di perfezione di ieri, poi alzano l’asticella ancora più in alto perché credono che più sono bravi, più gli altri si aspettano che siano migliori. Questo genera un profondo senso di inadeguatezza e, peggio, di disperazione.
Ma c’è speranza?
Certo che c’è. I perfezionisti possono e devono farsi forza con certe cose… sono tipicamente brillanti, ambiziosi, coscienziosi ed industriosi. E sì, la terapia è complessa. Ma un po’ di autocompassione, essere indulgenti con noi stessi quando le cose non vanno bene, possono trasformare tali qualità in sensazione di pace e successo personale. E noi possiamo contribuire con il nostro aiuto.
Il perfezionismo si sviluppa nei nostri anni di formazione, per cui i giovani sono più vulnerabili. I genitori possono aiutare i figli supportandoli incondizionatamente quando provano e non riescono. Possono resistere alla comprensibile smania che c’è nella società competitiva di oggi di controllare i propri figli, perché si trasmette molta ansia quando i genitori vedono i successi e gli insuccessi dei figli come propri.
Ma essenzialmente, la nostra ricerca solleva importanti domande su come stiamo strutturando la società e se la forte enfasi per la competizione, la verifica e la valutazione faccia bene ai giovani. È diventato normale che i personaggi pubblici dicano che i giovani hanno bisogno solo di un po’ di resilienza in più di fronte a queste nuove ed inedite pressioni. Ma io credo che ci stiamo solo lavando le mani rispetto al problema di fondo, perché abbiamo la responsabilità comune di creare una società e una cultura in cui ai giovani non si chieda tanta perfezione tanto per cominciare.
Non prendiamoci in giro. Creare quel tipo di mondo è un’enorme sfida, e per una generazione di giovani che vivono sempre sotto i riflettori di giudizi, graduatorie e social media, il perfezionismo è inevitabile, finché non hanno altro scopo nella vita che conti di più di come appaiono o di quanto siano bravi per gli altri.
Cosa possiamo fare contro l’aumento esponenziale del perfezionismo?
Ogni volta che vengono buttati giù dalla montagna, non vedono altra opzione che scalarla di nuovo. Gli antichi Greci sapevano che questo viaggio senza fine, su e giù per la stessa montagna, non porta alla felicità. La loro idea dell’inferno era un uomo chiamato Sisifo, condannato per l’eternità a spingere un macigno su di una montagna, per poi vederlo rotolare giù e ricominciare daccapo. Finché insegniamo ai giovani che non c’è niente di più reale o di più importante nella vita della disperata ricerca di perfezione, condanneremo le generazioni future alla stessa futilità e disperazione.
Quindi ci resta una domanda. Quando capiremo che c’è qualcosa di profondamente disumano nell’infinita perfezione? Nessuno è imperfetto. Se vogliamo aiutare i giovani a fuggire dalla trappola del perfezionismo, dobbiamo insegnare loro che in un mondo caotico, la vita ci batterà spesso, ma va bene. L’insuccesso non è una debolezza. Per aiutare i giovani a superare la trappola autolesionista dell’impossibile perfezione, dobbiamo farli crescere in una società che abbia superato quell’illusione.
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Articolo liberamente adattato. Fonte: TedTalks
